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Io sicuramente lo prenderò e voi?
Autrice: Adele Vieri Castellano Titolo: Roma 40 d.C. - Destino d’amore Casa editrice: Leggereditore Pagine: 432 Prezzo: 10,00 euro In libreria dal 31 maggio
Il primo romanzo di una trilogia che vi porterà in uno dei periodi storici più affascinanti del nostro passato; una storia che vi catturerà fin dalle prime pagine e alla fine ne rimarrete conquistati.
40 d.C., Città di Roma, Gaio
Giulio Cesare Germanico,
Caligola, Imperatore.
La Trama:
Marco Quinto Rufo è l’uomo più potente di Roma,secondo solo all’imperatore, Livia Urgulanilla ha un passato da dimenticare. Lui è un uomo temprato dalla foresta germanica, bello e forte che non conosce paura né limiti. Lei è un’aristocratica raffinata e altezzosa il cui destino è già scritto. Ma il dio Fato decide altrimenti e quando Rufo la porta via con sé non immagina lontanamente le conseguenze del suo gesto. Roma non è la Provincia dove tutto, incluso rapire una donna, è concesso. E anche se Caligola in persona decide di concedergliela, possederne il cuore
sarà la più ardua e temeraria delle sue imprese. E Livia saprà donare il cuore a un uomo spietato che non esita davanti a nulla, se non a quello che sente per lei?
L'Autrice:
Adele Vieri Castellano pubblica per Leggereditore il suo primo romanzo storico, dopo aver vinto il concorso di racconti indetto dalla stessa casa editrice nel 2011. Nata a metà degli anni Sessanta, ha vissuto per anni in Francia e ha due punti ben saldi nella sua vita: la lettura e la scrittura. Vive a Milano, ha una figlia di diciannove anni, un compagno che si chiama come l’eroe del libro, tre gatti e un computer portatile. Nonostante le traduzioni, l’editing di libri, gli articoli e i romanzi che affollano le sue giornate, non dimentica mai le amiche. Perché senza di loro, il suo sogno non si sarebbe realizzato. La ricostruzione storica esatta e le atmosfere perfettamente rievocate permettono al lettore di tornare indietro nel tempo e di vivere un’esperienza unica al fianco di personaggi verosimili e pieni di forza.
Grazie all'autrice siamo in grado di fornirvi un anteprima del primo capitolo...buona lettura
Roma, 793 a.U.c., ottavo giorno prima delle calende di Iulius (40 d.C., 24 giugno)
Due donne camminavano spedite nei vicoli stretti, affollati e maleodoranti della Suburra, il capo coperto dalla palla e chino sui sandali di cuoio. Saltellavano da un punto all’altro della strada dove pozzanghere di liquami, oggetti abbandonati ed ogni sorta di mendicante stavano a crogiolarsi nel coacervo di schifezze.
«Domina, fai attenzione… attenta!» Gridò una di loro.
L’altra, che la sovrastava di una buona testa e aveva in mano un oggetto cilindrico piuttosto pesante, si voltò a guardarla in cagnesco.
«Ancilla! Smettila di seccarmi. Non manca molto ormai. Ho altre cose per la testa che evitare una pozzanghera.»
Girandosi Livia urtò un uomo corpulento col viso sudato, gli occhi iniettati di sangue e denti marci da far inorridire un mulo. Si sentì afferrare da dita come tenaglie e scrollare due o tre volte, con violenza.
«Guarda dove cammini, stupida femmina.»
Ancilla si erse in tutta la sua statura ma neppure così poté sputare sul viso dello sconosciuto.
«Lascia subito la domina!» Esclamò allora, conficcandogli le unghie nella carne del braccio.
L’uomo non lasciò la presa e mollò un veloce ed inevitabile manrovescio che fece cadere la giovane schiava proprio in una di quelle pozzanghere che aveva avuto tanta cura di evitare.
Qualche passante rallentò. Nel vicolo, in quel punto, si affacciava un’insula rumorosa a più piani e dall’altro lato, l’ingresso di un lupanare sulla cui soglia stavano due lupe.
«Guarda, guarda che bel bocconcino.» Alitò l’uomo dalla fogna che aveva al posto della bocca.
Non aveva tutti i torti. La giovane donna che teneva prigioniera aveva occhi di smeraldo, che spiccavano su un viso dall'incarnato perfetto.
«Dove vai, bella? Entriamo nel lupanare, così mi racconti qualcosa della tua famiglia.»
Livia puntò i piedi nella polvere e tirò indietro il volto. Ancilla saltò addosso all’armadio da tergo, appendendosi al collo taurino. L’uomo cominciò a dibattersi, tenendo stretta Livia.
La confusione aumentò, le due prostitute tifavano per la schiava e alcuni passanti ridevano a crepapelle.
La mano sudicia strappò via la palla dalla testa di Livia. Punte di legno e laccetti di cuoio si allentarono e ciocche castano scuro si riversarono sulle sue spalle. Gli spettatori ne furono deliziati e lo incitarono.
Con un sorriso ebete, mentre sulla testa gli piovevano i pugni di Ancilla, l’infame cercò di lacerarle anche la tunica immacolata ma in quel momento, una voce imperiosa risuonò dietro di loro.
«Che succede, Aulo Plautio? Non hai voluto pagare il divertimento?»
La folla si separò e scese un silenzio tombale. Aulo Plautio rimase solo, al centro della via.
L’uomo che aveva parlato fece qualche passo. Il capo scoperto sovrastava gli astanti e il corpo muscoloso e scurito dal sole, lo collocava immediatamente in una categoria a parte. Sopra la lorica muscolata di cuoio che indossava stava il laticlavio di porpora, che indicava il suo rango.
«Il tribuno laticlavio che ha salvato la vita all’imperatore!»
«L’uomo che Caligola ha portato a Roma dalla Germania.»
«Marco Quinto Rufo!»
Quel nome serpeggiò tra la folla come una folgore e parecchi allungarono il collo, incuriositi.
«Rufo, non ho fatto nulla. Queste arpie mi stanno uccidendo!» Quando ai fianchi del tribuno apparvero quattro guardie pretoriane, la folla cominciò a diradarsi.
Ancilla scivolò dalla schiena del grassone e gli mollò un appagante calcio negli stinchi. Livia, tornata libera, si girò. Chi era quel tizio che aveva raggelato la folla?
Si trovò a fissare un torace ampio, due braccia scoperte fino ai bicipiti gonfi. Su quello sinistro una lunga cicatrice disegnava un serpente di carne che arrivava giù, fino al polso nascosto da uno spesso monile di ferro. Era così alto che dovette alzare il mento per guardarlo in viso.
All’istante si agitò in lei qualcosa di indefinito. Una sensazione che da mesi non provava più e che le attraversò il corpo come una vampata ardente, come dopo un grande spavento quando il cuore batte forte e il sangue sembra crepitare ovunque.
Sgomenta, lo fissò.
Si augurò di non dovergli mai rivolgere la parola. Era troppo spaventosa quella sua faccia dura, dagli occhi crudeli sotto le sopracciglia aggrottate. La valutò come fosse stata merce e dopo averla squadrata con fredda efficienza, si rivolse agli ultimi temerari rimasti.
«Fuori dai piedi.»
Lo disse a voce bassa ma in un attimo, la folla si disperse. Anche le due prostitute sparirono nel lupanare, abbassando la tenda che ne chiudeva l’ingresso.
Livia richiuse le braccia attorno al cilindro di piombo. Il tempo stava cambiando. Un alito di vento alzò la polvere della strada e sfiorò la tunica del tribuno. Gli bastò un gesto e due dei quattro pretoriani raccattarono da terra la feccia che l’aveva assalita. O era stata lei? Livia non ricordava come fosse cominciata la rissa.
Marco Quinto Rufo le si avvicinò. Una sottile cicatrice gli attraversava la guancia rasata. Aveva labbra spesse, ben definite, che teneva serrate.
«Donna,» le disse con tono severo «che cosa fai qui?»
E lui, tribuno laticlavio, non doveva essere al fronte a combattere i nemici di Roma?
Livia tirò indietro le spalle per sembrare più alta e lo fissò negli occhi. Si convinse di non aver fatto nulla di male.
«Solo una commissione, tribuno.»
«Sola con la tua schiava? La Suburra non è posto per te.»
«Stavo tornando a casa.»
Deglutì per calmarsi. Alle sue spalle un grugnito, un tonfo, il rumore inconfondibile di percosse. Il tribuno la sfiorò, oltrepassandola.
Livia fu investita dal suo odore di maschio, aspro di terra e di sole. Fece un passo indietro, sconvolta. Per Venere Ericina, che montagna di muscoli aveva quell’uomo?
I due pretoriani reggevano Aulo Plautio per le braccia.
«Che devo fare di te, Plautio?»
Beninteso, il grassone non gli rispose. Dalla bocca gli colava un rivolo di bava, il volto era tumefatto e sulla tunica lercia, già macchiata di vino, spiccavano ora rosse macchie di sangue.
Rufo lo afferrò per i capelli sporchi, costringendolo a scoprire il collo e portò la mano sinistra sotto la tunica. Livia si mosse senza riflettere.
«Non vorrete ucciderlo!» Esclamò, convinta che quel barbaro stesse snudando un pugnale.
Il contatto con quel braccio sfregiato saettò nella carne di Livia come un dardo di fuoco. La pelle era calda, i peli morbidi. Sentì i suoi muscoli tendersi sotto le dita.
Lui fissò prima la mano sottile che spiccava sulla sua pelle scura, poi le piantò due schegge d’onice nelle pupille. Il dio Crono fermò il tempo. La mandibola virile ebbe un guizzo, un sopracciglio si alzò.
Consapevole della sua audacia, Livia scattò indietro come si fosse bruciata. Un gesto come quello e poteva finire lei stessa sgozzata all’istante. «Perdonami, tribuno.» Mormorò abbassando il capo e trattenendo il fiato.
«Toglietemelo dalla vista.» Ordinò lui ai pretoriani, senza smettere di fissarla con occhi cupi come l’Averno. Infine, con voce arrochita le intimò:
«Torna alla tua domus donna, prima che decida di rovinarti la giornata.»
Livia, un brivido di paura giù per la schiena, non se lo fece ripetere. Un passo indietro, un altro ancora senza riuscire a staccare gli occhi da quel viso rozzo, crudele. Quando sentì Ancilla afferrarle la mano, si voltò e cominciò a correre.
se prelevate siete pregati di citare la fonte!! Grazie ^_^
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