Magazine Salute e Benessere
com'è andata la vostra Pasqua? presto vi racconterò della mia.. direi "densa di eventi", oltre a piena zeppa di cibo!
per il momento, ecco qui a voi, alcune anticipazioni dalla Mondadori: anteprime gustose e (spero) buoni consigli per le vostre prossime letture!
J. BAGGETT HOLLY, C.CORBETT, A. PRESSNER
LOST GIRLS
Le autrici sono tre ragazze di New York non ancora trentenni che decidono di
lasciare il loro lavoro, fidanzati, amici e genitori per fare un giro del mondo
lungo un anno. Per comunicare con le famiglie creano un blog che in poco
tempo diventa molto popolare. (www.lostgirlsworld.blogspot.com). Al loro
rientro scrivono un libro, Lost Girls, e firmano un contratto con Hollywood per
un film. Il libro è insieme un diario intimo delle tre ragazze, tre voci molto
diverse tra loro, una guida di viaggio dal tono fresco e pratico, un racconto
delle loro avventure in giro per il mondo. La molla che le spinge a fare questa
esperienza è esistenziale: tutte e tre non si sentono ancora pronte a mettere la
testa a posto, a prendersi la responsabilità di una famiglia o di un lavoro
stabile e definitivo, uno stato oggi sempre più diffuso.
LE AUTRICI
Amanda Pressner è stata giornalista freelance di viaggi e lifestyle per molte
testate USA, al momento lavora alla rivista di benessere “Shape”. Vive a New
York.
Jennifer Baggett è marketing manager del Sundance Channel. Vive a New
York.
Holly Cobbett, giornalista, si occupa di viaggi e benessere. Vive a New York.
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Scheda libro su Mondadori
IN VENDITA DAL 26 DI APRILE
LESLIE LOKKO
L’ESTATE FRANCESE
Ai tre fratelli Keeler apparentemente non manca nulla. Ricchi, affascinanti e
privilegiati, sembrano condurre una vita facile e piena di successi. Ma è
proprio così? Rafe Keeler, stimato chirurgo, a New York si innamora
perdutamente di Maddie, un’aspirante attrice americana, e la convince a trasferirsi con lui a Londra. Rafe ha tutto ciò che Maddie può desiderare in un
uomo, ma allora perché la donna si sente andare alla deriva? Aaron Keeler è
strafottente, snob e arrogante ma è il ragazzo più bello di Oxford e Julia, così
diversa da lui, lo detesta apertamente, anche se il loro incontro potrebbe
sfociare in qualcosa di esplosivo. Josh Keeler è la pecora nera della famiglia,
abbandonato da tutti, vive senza patria come architetto al servizio dei più
poveri nel Terzo Mondo. Niela, scappata di casa e sempre all’erta, cede al suo
fascino anche se sa che il suo passato può tornare e rovinarle irrimediabilmente la vita...
Lesley Lokko è nata in Scozia nel 1964 da madre scozzese e padre del
Ghana. Cresciuta in Africa, ha studiato in Inghilterra e Stati Uniti. Laureata in
architettura, ha insegnato presso l’università di Città del Capo. Si è occupata
molto di problematiche razziali e della loro relazione con l’architettura. Vive tra
l’Inghilterra, il Ghana e il Sudafrica. Mondadori ha pubblicato Il mondo ai miei
piedi (2004), Cieli di zafferano (2005), Cioccolato amaro (2008) e Povera
ragazza ricca (2010), con un ottimo successo di pubblico.
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Scheda libro su Mondadori
IN VENDITA DAL 26 DI APRILE
ed ecco a voi un breve estratto:
Mougins, Francia, giugno 1969
il rumore monotono del metallo che affondava nel terreno le arrivava attutito, come da molto, molto lontano. Lei osservava in silenzio, con le braccia strette intorno alla vita, i due uomini che stavano scavando una buca poco profonda e si fermavano solo per asciugarsi il sudore dalla fronte o delimitare meglio i bordi della fossa. una civetta sfrecciò sopra di loro e il suo richiamo trafisse la tiepida aria notturna. il profumo di ulivi e di pini le giunse dalla valle che si stendeva sotto di lei. sapeva già che quell’odore le sarebbe rimasto impresso per sempre.
a un certo punto fu tutto finito. uno dei due uomini gridò qualcosa all’altro nella lingua armoniosa di quei luoghi. Lei guardò mentre si passavano di mano il piccolo fagotto, già avvolto nel lenzuolo bianco di mussola, secondo la loro usan- za, e lo deponevano nella fossa. Le sfuggì un lamento, subito coperto dai tonfi della terra che cadeva nella buca quando i due cominciarono velocemente a riempirla. ci misero pochissimo. il terreno venne spianato e battuto, le beole riposizionate. La mat- tina seguente avrebbero riasfaltato il vialetto... ancora qualche giorno e nessuno avrebbe mai potuto neanche lontanamente immaginare che là sotto ci fosse nascosto qualcosa. sepolto, dimenticato. Lei non avrebbe mai più rivisto quegli uomini: faceva parte dell’accordo. si voltò e li osservò mentre riponeva- no i badili nella piccola capanna in fondo al vialetto e poi se ne andavano. aspettò qualche secondo, poi rientrò lentamente in casa e si chiuse la porta alle spalle, sprangandola. era scossa dai brividi. si versò un brandy e andò in salotto. non sopportava l’idea di andare di sopra.
si rannicchiò accanto al caminetto spento, proprio dove aveva trascorso le ultime sei notti, stringendo forte il bicchiere. Dovette buttare giù quasi tutto il brandy prima di riuscire a smettere di tremare. si costrinse a riflettere su quel che sarebbe successo in futuro. Lungo il vialetto, la mattina seguente sarebbe stato consegnato anche qualcos’altro. Qualcosa che avrebbe sistemato tutto e messo fine all’incubo iniziato una settimana prima. bevve l’ultimo sorso. nessuno doveva saperlo. nessuno lo avrebbe mai saputo. se quella storia fosse mai venuta fuori, per lei sarebbe stata la fine. non c’erano altre soluzioni, nessuna alternativa. sarebbe stato così. Per sempre.
Josh
Mougins, Francia, luglio 1973
1
La terra sotto i piedi era deliziosamente calda, come sempre all’inizio delle vacanze estive; l’aria, resa quasi elettrica dal ronzio degli insetti, pareva vibrare nell’afa densa. il cielo, di un azzurro intenso, sembrava perdersi all’orizzonte. Josh Keeler, quattro anni, percorreva a passo di marcia il sentiero con tutta la determinazione di un esperto esploratore della giungla pieno di entusiasmo. Davanti a lui, i due fratelli più grandi, rafe e aaron, saltellavano intorno alla robusta e rassicurante sagoma del padre, Harvey. Qualche passo indietro, vestita con un grazioso abitino a fiori di quelli che indossava solo in vacanza, Diana, la loro mamma, chiudeva la fila, canticchiando fra sé come non faceva mai a Londra.
gli oleandri rosa lungo il sentiero che portava alla piscina frustavano la faccia di Josh mentre rincorreva i fratelli, cercando di tenere il loro passo. il bimbo sprizzava una felicità piena di aspettative. Quell’anno avrebbe imparato a nuotare. i suoi fratelli, che avevano seguito un corso a scuola, erano già esperti, invece Josh era solo un principiante. non era facile essere il più piccolo, soprattutto quando rafe e aaron lo consideravano ancora meno di buster, il cane di famiglia. avrebbe dato qualsiasi cosa per essere come i fratelli, per ottenere la loro approvazione. non riusciva a capire perché non lo accettassero.
anche in acqua faceva caldo. Josh sentiva la leggera pressione della mano di suo padre che gli reggeva il mento e cercò di ricordarsi quello che gli aveva spiegato a proposito di come muovere le gambe a rana per galleggiare sul pelo dell’acqua. rafe e aaron stavano facendo i buffoni dal lato opposto della piscina, sicuri di sé, e continuavano a entrare e a uscire dall’ac- qua tuffandosi dal bordo. Dovevano passare anni prima che lui riuscisse a fare altrettanto, pensò tristemente Josh mentre si dannava per cercare di stare a galla.
Qualche secondo dopo sentì rafe gridare e la presa del padre che lo abbandonava; il corpo di lui, massiccio e ansante, si tuffò verso il figlio increspando l’acqua. Josh avvertì un’improvvisa sospensione, come se stesse cadendo, poi tutto sembrò accadere in un istante. fu investito da un’ondata, che gli coprì la bocca e il naso. andò nel panico e cominciò ad agitare convulsamente le braccia in aria, mentre le gambe affondavano e l’acqua si richiudeva sopra la sua testa.
a un certo punto riemerse, annaspando, ma non c’era niente a cui aggrapparsi. spalancò gli occhi e, prima di affondare di nuovo, vide per un attimo aaron che lo fissava tranquillo. nes- suno si mosse, neanche una mano si allungò per prenderlo. c’era una grande quiete laggiù, nelle profondità vorticanti; i polmoni quasi gli scoppiavano dal desiderio di respirare. aveva paura di aprire gli occhi. il sapore dell’acqua trattata con il cloro gli riempì la bocca e gli gorgogliò dolorosamente attraverso il naso. avvertì la sensazione pungente delle lacrime sotto le palpebre e fu travolto dalla vergogna. non era buona cosa piangere davanti ad aaron. nemmeno davanti a rafe, se era per quello. semplicemente, non era una cosa da fare.
Maddy
New York, settembre 1991
2
il pullman della greyhound entrò lentamente nel midtown bus terminal appena prima dell’alba. fra la trentina di passeggeri che recuperavano i bagagli e si preparavano a scendere c’era una ragazza che dormiva ancora profondamente. era rannicchiata sul sedile, coperta dal soprabito nero da cui spuntava soltanto una massa infuocata di riccioli rossi. La donna che era rimasta seduta vicino a lei nelle ultime sedici ore si soffermò un attimo a guardarla prima di prendere la borsa dallo scomparto sopra i sedili. Le sorrise con aria indulgente e le sfiorò la spalla. «sve- gliati, tesoro» le sussurrò chinandosi. «siamo arrivati.»
La ragazza spalancò gli occhi. Per un breve, confuso istante non riuscì a capire dove si trovasse. si guardò intorno spaesata, osservando l’interno buio e spettrale del pullman, i passeggeri che tiravano giù borse e valigie, un bambino che piagnucolava da qualche parte nelle prime file. Dove diavolo era? Poi, con un’improvvisa stretta allo stomaco, le tornò tutto in mente. new York! finalmente era arrivata! si mise seduta e si passò in fretta le mani tra i capelli, raccogliendoli in una coda. che rabbia! era stata sveglia per quasi tutto il viaggio a guardare fuori dal finestrino, ansiosa per ciò che la aspettava, ogni fibra del suo corpo tesa ad attendere il momento in cui, dalla foschia del primo mattino, avrebbe visto emergere manhattan proprio di fronte a sé... e si era persa lo spettacolo. si alzò con difficolta dal sedile, afferrò cappotto e borsa, continuando a stropicciarsi gli occhi assonnati.
«sai dove andare?» shirley, una donna rotondetta divorziata da poco che era salita sul pullman a franklin, la fermata dopo marshalltown, le sorrise guardandola dall’alto in basso. aveva poco più di cinquant’anni e stava andando a trovare la figlia maggiore che viveva nel new Jersey. era prodiga di consigli a proposito di new York, la maggior parte dei quali incompren- sibili per la diciottenne maddy stiller, che non si era mai spinta oltre chicago, e oltretutto in una sola occasione.
maddy annuì, sperando di apparire, nell’aspetto e nel tono, più sicura di quanto si sentisse. «io... ho l’indirizzo proprio qui» rispose toccando la borsa. «mia mamma ha detto di prendere un taxi.»
«ottimo consiglio, tesoro. È la cosa migliore da fare. ne tro- verai a bizzeffe appena attraversata la strada. basta che tu dia l’indirizzo al tassista e ti assicuri che abbia un adesivo con la scritta nYc sul finestrino. non si sa mai» aggiunse in tono cupo. «allora, spero proprio che vada tutto bene. non vedo l’ora di leggere il tuo nome sulle locandine, un giorno o l’altro. abbi cura di te, maddy, mi raccomando. Vedrai che tutti i tuoi sogni si realizzeranno.»
«be’... grazie» farfugliò lei con le guance rosse per l’imbaraz- zo. guardò shirley che prendeva la valigia e si faceva strada con passo sicuro tra la folla. D’un tratto si sentì travolgere da un’ondata di solitudine. Per quanto avesse appena conosciuto shirley, era l’unica persona con cui avesse parlato da quando era partita. anche se lei sarebbe stata ben contenta di percor- rere in silenzio gli oltre mille chilometri che separavano l’iowa da new York, le era stato subito chiaro che shirley la pensava diversamente. era una donna che martha, la madre di maddy, avrebbe definito una “molestatrice verbale”: il genere di perso- na che non ti avrebbe lasciato in pace finché non fosse riuscita a tirarti fuori fino all’ultimo dettaglio della tua vita. non che fosse scortese... solo insistente. arrivate a Des moines, aveva già appreso che maddy aveva frequentato la meskawi High school a marshalltown, che era l’unica figlia di frank e martha stiller e che frank era sparito una domenica pomeriggio quando maddy aveva quattordici anni. scomparso nel nulla.
si era alzato presto come al solito, era uscito a dar da man- giare alle mucche, poi era rientrato in cucina annunciando che sarebbe andato a Des moines. si era allontanato sul suo pick-up bianco, aveva svoltato a sinistra invece che a destra ed era filato dritto a chicago. aveva abbandonato il pick-up nel parcheggio dell’aeroporto internazionale o’Hare, lasciando un biglietto sul parabrezza che avvertiva di chiamare la signora martha stiller alla Dewey farm, contea di marshall, nell’iowa. martha si era fatta accompagnare lì in macchina da ron, il loro vicino, senza aprir bocca per tutto il viaggio. Qualche settimana dopo erano arrivate una lettera per martha e una cartolina per maddy. Da san francisco. maddy aveva letto le poche righe della cartoli- na, poi l’aveva bruciata. a quanto pareva, c’era qualcun altro “coinvolto” nella situazione, ma maddy non aveva idea di cosa ciò significasse. “Povera martha” dicevano tutti. nessuno che aggiungesse “povera maddy”. “oh, l’abbiamo saputo, tesoro. La tua povera mamma. Questa è la dimostrazione che non si può proprio mai sapere cosa passi per la testa delle persone, vero?” maddy abbassava lo sguardo e si fissava le mani. Quando la gente affrontava l’argomento della scomparsa di suo padre, il che succedeva regolarmente non appena sentivano il suo co- gnome, lei non sapeva mai cosa dire. Lungo l’infinito tracciato dell’interstatale 88 shirley era riuscita a estorcerle che aveva vinto una borsa di studio di quattro anni per frequentare una scuola di recitazione a new York e che, a parte quella gita scolastica a chicago, era la prima volta che usciva dall’iowa.
“santo cielo” aveva detto shirley con un filo di voce, chiara- mente impressionata dal racconto della ragazza. “Devi avere davvero molto talento.”
Lo stomaco di maddy si era stretto ancora di più. talento? no, lei aveva solo voglia di andarsene dall’iowa, tutto lì. anco- ra non riusciva a capacitarsene: meno di tre mesi prima aveva fatto domanda per essere accettata alla tisch, e ora eccola lì. Le sembrava un sogno.
«sono sue?» La voce brusca dell’autista interruppe i suoi pensieri. stava indicando le due valigie piuttosto malandate rimaste nel bagagliaio.
«sì» si affrettò a rispondere maddy annuendo. «eccole...» gliele lanciò senza tante cerimonie. «non posso aspettare tutto il giorno» disse sbattendo il portellone. «rimet- tiamo in strada questo carrozzone» concluse, assestando delle poderose manate sulla fiancata del pullman, poi si allontanò.
maddy cercò di spostarle dal centro della strada, trascinandole impacciata. si fermò sul bordo del marciapiede, stringendo forte al petto la borsetta e tentando di ignorare la paralizzante sensa- zione di paura che la stava attanagliando. si guardò attorno alla ricerca di un segnale – un qualunque segnale – che le indicasse dove andare e cosa fare. La folla continuava a sciamare dentro e fuori dal passaggio sotterraneo della metropolitana all’altro lato della strada. il rumore era assordante. erano quasi le sette del mattino e tutta la città sembrava già in movimento. La gente si affrettava su e giù da quello stretto buco nel terreno, nessuno parlava, nessuno si guardava attorno né cercava un contatto visivo... niente. i corpi sgusciavano l’uno accanto all’altro di corsa, una massa di persone intricata e indistinguibile da cui affioravano dettagli a lei poco familiari: uno zucchetto lì, una lunga tunica bianca dalle linee morbide là; la faccia nera come il carbone di un ragazzino che portava un berretto da baseball alla rovescia e si fermava per prendere un bagel avvolto nella carta; due donne con indosso pesanti tende nere con solo una fessura aperta per gli occhi e grandi panieri della spesa che si intravedevano attraverso la stoffa scura... lei non aveva mai visto niente del genere. rimase lì impalata, troppo sbalordita per riuscire a fare alcunché, a parte guardare. ripensò all’ultima immagine di sua madre, risoluta, in piedi accanto alla fermata del pullman, che salutava con la mano mentre il greyhound svoltava lento l’angolo, e le lacrime le salirono nuovamente agli occhi. maddy si era girata per salutarla, ma ormai martha non si vedeva più. si riscosse. Doveva prendere un taxi, dare al conducente l’indirizzo della casa dello studente della tisch e telefonare a sua madre. e cercare un bagno. il suo stomaco, in ogni situazione lo specchio del suo nervosismo, era perico- losamente prossimo a ribellarsi.
Lungo la strada, una linea continua di taxi gialli avanzava lentamente. cercò di farsi venire in mente che cosa le aveva suggerito shirley... era la luce gialla a sinistra o la luce bianca al centro che indicava una macchina libera? non se lo ricordava. avanzò trascinando i piedi, con le valigie che sbatacchiavano
contro le gambe e i fianchi, nel tentativo di individuare la fine della coda. Più di una volta qualcuno saltò sul taxi che lei aveva adocchiato. sembrava che non esistesse una fila. Provò ad agi- tare una mano come facevano gli altri, ma, non appena un taxi accostava, qualcuno ci saltava sopra prima di lei e si allontanava a bordo della vettura. nessuno faceva assolutamente caso a una giovane, esile rossa il cui viso era la personificazione dell’an- goscia. Quando la scena si ripeté per la decima o undicesima volta, stava quasi per mettersi a piangere. ma quelle persone non conoscevano le buone maniere?
un taxi si avvicinò a maddy a tutta velocità. Lei si guardò rapidamente intorno... sembrava che non ci fosse nessun altro in attesa. agitò freneticamente la mano come aveva visto fare agli altri. Parve funzionare: il tassista si stava dirigendo proprio verso di lei. maddy scese dal marciapiede, decisa a non farsi soffiare il passaggio per l’ennesima volta, stringendo forte le sue valigie. udì un improvviso stridio di freni, avvertì un’ondata di aria fresca investirle il viso e poi sentì qualcuno che gridava: «ommioddio!».
cadde colpendo il cordolo di faccia, dopo essere inciampata in una delle sue maledette valigie. rimase immobile nel silenzio più totale. il rumore del traffico e dei pedoni che correvano verso di lei si attutiva in sottofondo, mentre le loro voci diventavano più assordanti. «cosa diavolo stava cercando di fare?» «cos’è successo? È stata colpa mia? L’ho presa sotto io?» «gesù!»
maddy cercò di rialzarsi, la faccia rossa per l’imbarazzo e le guance rigate di lacrime. Qualcuno si chinò su di lei: «tutto bene?». un uomo si inginocchiò per poterla guardare in viso. La aiutò a mettersi seduta, corrugò la fronte notando un taglio ed estrasse dal taschino un fazzoletto pulito, che le premette sul sopracciglio. «si è ferita... è solo un graffio, niente di cui preoccuparsi. Quando arriva a casa, ci butti sopra un bel po’ di acqua fredda. si rimarginerà più in fretta.» aveva una voce simpatica. maddy chiuse gli occhi mentre lui le esercitava una leggera pressione sulla fronte. «smetterà presto di sanguinare. stia tranquilla.»
«tesoro, non si è fatta niente. guarda che siamo in ritardo!» La voce impaziente di una giovane donna si fece largo in mezzo al brusio confuso che circondava maddy.
«solo un attimo. sta sanguinando.»
«non è niente... solo un graffietto. basta metterci su un bel cerotto.» La donna abbassò lo sguardo su maddy, ancora in- tontita. «faremo tardi al lavoro.» La sua voce cominciava a diventare lamentosa.
un uomo di mezza età si chinò e, insieme al primo passante, aiutò maddy a rialzarsi. «Qualcuno può fermare un taxi per questa ragazza?» tuonò in direzione della piccola folla di cu- riosi che si era raccolta a guardare. Qualche secondo dopo ne arrivò uno. il tassista saltò giù e afferrò agilmente le valigie di maddy come se fossero piume, mentre gli altri la aiutavano a sistemarsi sul sedile posteriore. tenendo sempre premuto sulla fronte il fazzoletto, si appoggiò allo schienale e porse al tassista il foglietto con l’indirizzo della gramercy House, la residenza degli studenti del primo anno, cercando invano di trattenere il pianto. il taxi si allontanò velocemente dal marciapiede e fu ben presto inghiottito dal traffico. maddy cercò di asciugarsi le lacrime senza farsi vedere. L’arrivo a new York non era stato proprio come se l’era immaginato.
cosa ne pensate amici?
a presto, e buona fortuna!
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