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Anteri tra simboli e cromie

Creato il 24 gennaio 2011 da Cultura Salentina
Anteri tra simboli e cromie

© Mimmo Anteri: Argonauta (Acrilico 140x140)

Mimmo Anteri è nato a di Grottaglie, la città del vino e delle ceramiche, ma vive ed opera a Gallipoli, sul mare e si vede dai soggetti che dipinge; è, insomma, un pittore splendidamente mediterraneo e di estrema raffinatezza formale, un pittore che ha una sua cifra segreta, una grazia, che fa apparire tutto lieve e facile quel che noi vediamo impresso sulla tavola, come avviene quando vediamo un danzatore lieve come una farfalla, forte come un arco teso, che si è spezzato le ossa mille volte in segreto prima di presentarsi al pubblico.

Anteri è uno degli artisti più originali e rappresentativi della cultura salentina e pugliese, ma oserei dire della cultura tout court, poiché le sue opere sono conosciute e apprezzate in tutta la nostra penisola e anche all’estero. Un artista che riesce a esprimere il senso della natura e del suo mistero, della profondità e complessità dei fenomeni dell’universo, ma anche tutto lo spirito della bellezza che c’è nella natura stessa, la danza sognante dei gabbiani, nella loro verticalità, o quella sorta di fazzoletti bianchi e celesti, aquiloni azzurri, puri simboli fatti di infinite velature, o il movimento silenzioso delle sfere, la musica dei pianeti che partoriscono altri mondi, altre forme di vita, nuove armonie e nuovi perfetti equilibri: le sue geometrie esistenziali, la sinfonia dei cromatismi, violini invisibili che si muovono nell’etere e lo fanno poeta delle forme e degli spazi, incantatore di voli e silenzi.

C’è in questa danza della natura la passione, la forza, il dolore, la gioia di vivere, un sentimento di possente religiosità panica e le pulsioni del sogno, che gli fanno apparire questi mondi immaginari, visioni che lui realizza in un procedimento quasi alchemico che lo conduce verso ripetuti sentieri, solo a lui noti, di movimento e armonia e di equilibri sottilissimi e perfetti.

E poi lui cerca di capire l’enigma dei colori, perché — dice il maestro Anteri — abbiamo bisogno di colore per vivere. E il colore è pensiero, è vita. Quando parlo dei miei colori parlo in realtà dei miei pensieri, delle mie emozioni, dei miei sentimenti che sono pieni di ricordi, di storie e di miti, metafora di altro, simboli. E il simbolo, linguaggio privilegiato dell’anima, svolge un ruolo fondamentale, decisivo nell’arte di Mimmo Anteri.

Tutto nella sua pittura è simbolico, anche quello che vi sembra figurativismo, a partire dai gabbiani, che sono stilizzati, di carta, come quelli che farebbe un bambino, simboli i paesaggi, il mare, i colori, i fili rossi che ogni tanto appaiono in molti dei suoi quadri, e servono per legare l’al di qua all’al di là; la natura che entra nella sua stanza, o riflessi di mondi sepolti e lontani, emissioni di forze occulte e di nature nascoste, atmosfere evanescenti e danzanti di un mondo dominato dall’apparente leggerezza del volo. Ma quel filo rosso lega anche la sua dolente necessità razionale alla materia, narra anche il dolore della materia, lo squasso, l’urlo che fa la materia crocifissa, un dolore ritmizzato, articolato, fatto di dissonanze e di contenuti inquieti.

Di lui, della sua arte si sono occupati moltissimi critici di fama nazionale e, a suo tempo anche grandi artisti del panorama italiano come Giacomo Manzù, che ha detto: “Anteri è un artista concettuale, ma estremamente sobrio ed essenziale”, e Remo Brindisi, che ha scritto: “Anteri ha una grande sensibilità ed è pieno di risonanze e armonie. E’ un artista che fa ricerca seria, all’osso, alla nudità, all’essenza stessa dell’arte.

La sua pittura appartiene all’arte moderna, che è progetto di un mondo nuovo, comunque diverso, che mira ad erigere le fondamenta di nuovi criteri universali per l’instaurazione di una nuova e migliore immagine del mondo. E’ il progetto di tutte le avanguardie positive — cubismo–purismo–costruttivismo-sperimentalismo–de stiil-neoplasticismo — con la consapevolezza, quindi, che un quadro non è soltanto ciò che mostra, bensì un insieme di memorie e di codici da restituire. E quelle che Anteri propone sono echi di memorie primigenie, figurazioni liriche, esiti di sogno, ricerca di assolutezza naturale, un mondo sospeso e segreto rivolto all’interno; e tuttavia la sua è una pittura priva di riferimento, lontana dalle rigide posizioni dei vari “ismi”, una pittura che riuscirà ad imporsi anche qui a Roma, dove Mimmo è vissuto per oltre trent’anni, dapprima laureandosi presso l’Accademia delle Belle Arti, poi approfondendo i suoi studi ed esperienze alla luce dei movimenti d’avanguardia di quel tempo, dalla Scuola Romana, alla scuola degli Otto, da Città aperta al Fronte Nuovo al Gruppo di Via Margutta, che ancora esistevano negli fine degli anni Sessanta.

Ma i suoi grandi maestri, quelli che costituiscono ancor oggi la sua carpenteria mentale, rimangono Piero della Francesca, con la sua divina proporzione, e — tra i moderni — Cezanne, per i sentieri e i contorni d’ombra blu da cui le cose emergono, Moreau, per la funzione creativa del colore che deve essere pensato, sognato, immaginato, Klimt, per il gusto elegante della decorazione, e Kandisky, per quel suono di flauto, violoncello, contrabbasso e organo che mette nei dolenti lamenti del blu, e,via via, verso le frontiere meno conosciute e piu’ disabitate di cui si nutre la sua pittura. Ma il tutto con modalità e formule proprie, costruite con rigore assoluto derivato dal fattore tecnico e dunque dal mestiere. Potete ammirare le geometrie perfette, il disegno, la luce, lo spazio, in cui si muovono le sue forme che navigano nel cosmo. Anteri è padrone assoluto del cromatismo e della tecnica pittorica. E tutto ciò — la sua infanzia magica, la sua splendida mediterraneità, la sua terra di Puglia, che è frontiera anche mentale, che è pensiero e sogno, prima che luogo reale, regione del mito, luogo di chiarore proiettato nella luce del bene che esisteva nella terra di Pindaro e di Platone, il bene descritto da Pitagora e da Archita, il supremo anelito di libertà dell’uomo — lo ritroviamo, nella sua pittura, trasfigurata in interazioni ambientali, elegie, simboli e cromie.

Per capire meglio il tipo di pittura che vediamo qui davanti a noi dobbiamo
fare un po’ di storia, qualche passo indietro, diciamo a partire dal 1965, quando giovanissimo, espose per la prima volta a Lecce, dove aveva frequentato la scuola d’arte, in una mostra estemporanea intitolata “La Salentina”, a tutte quelle che farà via via negli anni, tante, tantissime, Taranto, Perugia, Roma e provincia (più volte), Abruzzo e Marche, infine all’estero, in varie città del Sud America, in particolare presso la Galeria Los Barrancos di Caracas, e a Lucerna, presso la Stern Galerie, per arrivare ai tempi nostri, a oggi, la Pittura di Anteri è andata sempre evolvendosi, fino a trovare una sua precisa identità e uno stile.

Oggi possiamo dire che la sua arte è cosmogonica e teleologica, nel senso che se tu entri nei suoi quadri, ti ritrovi come un equilibrista gravitazionale, uno che improvvisamente s’aggira nudo nello spazio e si mette a dialogare con asteroidi, pianeti e satelliti, in un sistema perfettamente organizzato secondo un ordine finalistico. Oppure entri in sintonia con il silenzio, o la musica che fanno i pianeti, perché i suoi quadri sono pieni di musica del silenzio. Ma, ci avete fatto caso? Non ci sono uomini nei suoi quadri. E’ una sorta di rinascimento rovesciato, dove non è più l’uomo al centro dell’universo, ma il senso della libertà dell’uomo, il ritorno all’armonia della natura e del creato, a una verginale purezza, ad una sacralità panteistica fatta di mare gabbiani, vele e voli, il tutto realizzato in una luminosa trasparenza, ma anche in un perenne dramma cosmico, che è dentro di lui.

Anteri tra simboli e cromie

© Mimmo Anteri: (Trafittura acrilico su tavola cm 85x85)

C’è nelle più recenti opere di Anteri, — scrive Massimiliano Cesari — quelle che lui chiama “geometrie esistenziali”, tutta la sua essenza poetica, che è riproposta con rinnovato vigore, ad esempio in quelle tavole rosse, o blu, in cui la ricerca si concentra sugli stati d’animo. Sono composizioni dinamiche nelle quali il colore assume forti significati simbolici, si trasforma in una sorta di ponte sull’anima, si torna alle origini, la materia impressa sulla tavola diventa materia ancestrale, pura nella sua concezione temporale. In quelle rosse sembra ribollire come magma che riscalda le viscere della terra, gli squarci luminosi, veri e propri colpi di rasoio, che aprono la compattezza del colore e svelano momenti intimi esistenziali, toccano direttamente le corde dell’essere, riportano lo spettatore al grado zero dell’esistenza”.

E’ un maestro di esperienze e di grande tecnica, che richiede applicazione costante e dura fatica. Un’opera d’arte non piove dal cielo e dall’illuminazione degli dei, ma è un lavoro di precisione, di metodica costruzione di una vera e propria architettura, che può essere simile alle astrazioni della matematica e alle volute dei movimenti musicali, un lavoro in cui non basta la fantasia e l’abbandono alle ebbrezze del cuore, in cui occorre ordine, proporzione, simmetria, profondità spaziale, movimento dinamico, luce. La bellezza è il prodotto di ragione e calcolo. E la bellezza è lì, distesa, in quelle sue grandi tavole di legno, rigorosamente dipinte con colori acrilici, tecnica ingannevole e illusoria, che suggerisce profondità prospettiche o spaziali allargate, ma che impedisce, una volta usato, di riprendere il colore e rimpastarlo, per modificarlo, come si fa con l’olio.

La bellezza è in quegli universi appena creati, nei loro profondi azzurri, nella loro infinità azzurra verde grigia, colori che fanno musica intensa, che diventano armonie, contrappunti, tonalità, che si fanno volo cosmico, fascino del mistero e dell’ignoto, trasparenze della notte, ansia di ricerca della madrepora che è in noi, e discoprono le cifre esistenziali dell’ombra e la cognizione del dolore.

Nei quadri c’è l’armamentario delle sue memorie, l’abbiamo già detto, c’è l’emozione degli incontri, la sofferenza delle trasformazioni, le tematiche religiose che formano l’irripetibile mondo iridato delle sue opere, le quali dilagano fino alla cornice in una inscindibile creazione. C’è in lui sapienza della composizione, ma anche quella che potremo definire vis fisiologica, dall’ombra che poi illumina degli occhi chiusi , una ricerca di immaginazioni.

Per concludere, ci domandiamo: esiste un quadro dove egli riesca a visualizzare energia, movimento, tensione, la musicalita’ di un Debussy o di un Bach, indagando la forma e il colore, la profondità spaziale, la luce e il dinamismo? Un quadro in cui riesca a razionalizzare il verde brillante, l’azzurro rigido, la scansione dei grigi, e realizzare una struttura equilibrata anche nelle sue parti interne, con perfetto accostamento formale e cromatico, in cui l’articolazione dei rapporti intercorrenti tra i piani e i colori —il disegno — e le fredde tonalità che vibrano, dialoghino fra di loro?

Un quadro unico, dove i bianchi si specchiano nel luminoso piatto, e la verticalità, le linee orizzontali, il complicato intrecciarsi di relazioni, delicatezza e fragilità, divengano tenue visione avvolta in un mattino di nebbie, conservando il senso architettonico della composizione?

Esiste questo quadro, secondo voi?

Sì, questo quadro esiste e lo potrete vedere affacciandovi dalla finestra di Anteri, sullo Jonio, a Gallipoli, dove potrete vedere scorrere davanti a voi, come in un film, tutta la storia antica, ancestrale, fatta di elegie mediterranee e sale greco, di quei popoli, la storia degli Spartani di Taranto, dei Messapi di Artas e Anxa e di re Idomeneo, e con loro, “un’infinità incosciente d’ombre, sintesi della natura e della libertà”. Quando Anteri s’affaccia da una finestra spalancata sullo Jonio, si ripete ogni volta il miracolo della luce e dei colori, e l’estasi di voli dei gabbiani, e i platani di cristallo abbracciati come archi di pace, e le geometrie scarlatte, la concrezione delle rocce e le sinfonie delle onde.

Diceva Aligi Sassu che “la pittura è poesia prima di essere verità, la pittura dà forma al disegno, alla poesia, alla mia coscienza, alla mia utopia, di un’arte che è la verità, la concreta splendida verità, che non è mai la riduzione al quotidiano ma il mito di un mondo assoluto, futuro, un’ipotesi che cala nel presente il passato ma anche l’avvenire, ciò che sarà ed è”.

Ma il poeta, il musicista, il pittore, l’artista, in senso lato, non hanno nessun potere taumaturgico, non possono consolare nessuno, né possono abituare l’uomo all’idea della morte; non possono diminuire la sua sofferenza fisica, né promettere un eden, o un inferno più mite. E tuttavia, quando questo mondo dell’uomo sembra non potersi reggersi più così com’è, uno ha bisogno, magari per un attimo, di una proiezione fuori dall’immanente.
Ed è questo, in fondo, quello che ci dona la pittura di Mimmo Anteri.


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