Dal giornalino “Paize Autu”.
Lo ricordo persona alta, massiccia, con voce trapanante i muri.
Penso fosse Tunin di nome, ma….era “U Sardu” e basta.
Lui raccontava d’aver fatto parte della Marina Sarda. Forse era un suo vezzo, oppure la memoria lo tradiva.
La marina Sarda cambiò nome dopo il 1860 e, per quanto fosse d’età avanzata, non poteva certo essere nato prima della metà del XIX secolo.
Il nome gli fu affibbiato per i lunghi 40 mesi passati in Sardegna al servizio della novella Marina Sabauda.
Lo ascoltai dire che passò più d’un mese prima di poter usufruire della libera uscita, cioè la franchigia marinara.
Non aveva commesso alcuna mancanza militare. Era solo colpa dei suoi enormi piedi, in deposito non v’erano scarpe oltre il 45….
”I ghe l’an duvue fa aposta!”.
Ottenute queste, cominciarono a fioccare i rapporti delle ronde militari di Cagliari, La Maddalena e Porto Torres.
Non avendo mai messo scarpe nei piedi, in franchigia appena poteva le toglieva “pè caminà ben” e le ronde rapportavano.
Detto da lui quegl’anni li ha passati più a pelar patate o di radassa, che in servizi marinareschi.
Queste avventure le snocciolava tra una calata di sciabica o poste notturne, di manate o sardenài.
Quest’ultime erano reti pelagiche, allora ancora in auge, presto sorpassate dalle “moderne” lampare a gas acetilenico.
Io solo decenne, ricordo i suoi piedi corazzati con vero e proprio cuoio. Pure d’inverno nessuno l’aveva mai visto con calzari.
Un giorno “Suta au ponte d’u Fulan” con piglio da chirurgo, lo videro operarsi un piede. Gli si era conficcato un cornetto, conchiglia con 8/10 aculei che raggiungono anche i due centimetri.
Per fortuna era un esemplare ancora tenero, giovane ma il dolore si faceva sentire.
U Nosciu, col suo coltellino ovviò stoicamente all’impedimento. Che tempra d’uomo!
Quando s’infettò, rifiutò le cure della buona signorina Brizzi, factotum del pronto soccorso sito davanti a palazzo scolastico Bertela.
La guarigione fu favorita “da l’aiga sarà d’a marina Arzienga”.
Tutto O.K., natura crea e Sardu conserva!
Autunno del 1940, primi mesi di guerra.
“S’è astracau” un piccolo relitto a riva. Si tratta di una piccola cassetta di foglie di Tobacco preventivate di essere trasformate in sigari di “Churchilliana” memoria.
Quanto ne masticò o bruciò nella capace pipa il nostro eroe Sardu? Le pipate salsedinate somigliavano a fuochi pirotecnici scoppiettanti “insc’e u Cavu aa sèira de Sant’Ampeiu”.
Le scintille erano veri razzi, uscendo dalla pipa. La guerra che doveva essere “lampo” fu lunga e lo accompagnò all’aldilà.
Certamente fu pago di non averne visto tutte le brutture che susseguirono.
Lui in vita sua mai aveva torto un solo capello a chicchessia…. ”e sci che de forsa u n’aveva tanta”.
P.S., una notte d’insonnia mi ha fatto ricordare il suo cognome: Aprosio, come la madre di mia nonna materna, Mira de Gianè.
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Antichi rapporti tra Sardegna e Liguria: la storia di Tunin U Sardu
Creato il 26 dicembre 2011 da Yellowflate @yellowflatePossono interessarti anche questi articoli :
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