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“Antigone”, tragedia di Sofocle: il biasimo ateniese per i regimi tirannici

Creato il 26 febbraio 2014 da Alessiamocci

L ‘opera, tra le più famose dell’antichità, fa parte del Ciclo Tebano; si inserisce nella spirale di sangue in cui fu coinvolta la famiglia dei Labdacidi, cui appartiene il celebre Edipo e la sua discendenza. Il ciclo contiene: Edipo re, Edipo a Colono, I sette contro Tebe, Antigone, che la continuazione di quest’ultima opera.

“Antigone”, tragedia di Sofocle: il biasimo ateniese per i regimi tiranniciRappresentata alle Grandi Dionisie del 442 a.C. aprì un aspro dibattito nell’Atene democratica di Pericle, per l’attualità del tema trattato: il conflitto, come ebbe ad evidenziare Hegel, tra la legge della famiglia e quella dello Stato, e una riflessione sui pericoli di una gestione dispotica di questo.

Andiamo ai fatti: I fratelli Eteocle e Polinice (figli di Edipo, da questo maledetti) sono morti in un sol giorno con duplice strage, combattendo alle sette porte di Tebe di Beozia. Polinice ha armato sette guerrieri e li ha posti alle porte della città portando guerra al fratello Eteocle, sostenuto dai Tebani. In un duello di sangue i due si danno la morte.

Questi fatti sono narrati ne I sette contro Tebe. A tragedia avvenuta, si apre l’Antigone: Creonte (il cognato di Edipo), il re-desposta dà ordine di seppellire Eteocle, ma di lasciare agli uccelli insepolto Polinice, che ha portato guerra alla città di Tebe. Pena la morte per chiunque osi contravvenire alla dura legge.

Un messaggero informa  che sul corpo di Polinice è stata gettato un pugno di terra, simbolo di sepoltura e che si è vista Antigone allontanarsi il lacrime. Ne viene decretata la morte da Creonte, a nulla servono le proteste del popolo e le richieste del figlio Emone, promesso sposo di Antigone. Ella viene chiusa in una caverna a morire di fame.

Di contro alla determinazione di Antigone, che strenuamente difende la legge di Zeus e della famiglia, si pone la debole Ismene, sua sorella, la quale non vuole collaborare alla causa dell’eroina. Solo alla fine vorrebbe morire con lei , ma viene cacciata da Antigone, con la consueta ostinazione.

“Antigone”, tragedia di Sofocle: il biasimo ateniese per i regimi tiranniciAntigone si dà la morte, sul suo cadavere si toglie la vita Emone, poi è la volta di Euridice, la moglie di Creonte, sua madre. Una catena di orrori ha come palcoscenico Tebe, continua la saga di una famiglia sbagliata e si spiega quali possano essere gli effetti devastanti di una ragione di Stato dispoticamente applicata.

La tragedia interpreta tutto il biasimo ateniese per i regimi tirannici e rappresenta quel momento in cui la legge della famiglia viene sostituita dalla legge di Stato (V sec. a.C.). La legge di Stato è una necessità storica, ma, se il re si macchia di tracotanza (hybris) gli effetti sono devastanti,  e non resta che disperarsi per il danno prodotto (piange infatti impotente Creonte alla fine del dramma). Ecco perché il coro, che interviene negli stasimi, appoggia la causa di Antigone interpretando il pensiero del popolo nell’Atene democratica.

La tragedia è di fama mondiale, perché mette in gioco i conflitti tipici della Grecia e dell’umanità tutta: legge della famiglia/ legge di Stato; volontà dell’uomo/necessità divina; uomo/donna; patriarcato/matriarcato; democrazia /tirannide,   e così via.

Antigone è l’eroica che incarna la lotta delle donne contro gli uomini, delle donne segregate in casa per volontà dei maschi; è una femminista ante-litteram e anticipa i germi del femminismo euripideo; ella si oppone al dictat di Creonte, non solo perché tiranno, ma perché maschio, e il maschio risponde con atroce crudeltà a frenare lo spirito ribelle non solo del suddito, ma della donna.

La donna, sola, perché soli sono tutti i personaggi tragici, combatte, ma non con  l’autolesionismo di una Medea, ma con “Antigone”, tragedia di Sofocle: il biasimo ateniese per i regimi tiranniciquello dello spirito di conservazione che vuole salvare i suoi affetti più cari (Polinice) Anche gli dei sono con lei, perché il rispetto per il defunto è una sacramento della religione pagana. La debole Ismene è la donna convenzionale che sottostà alle regole del patriarcato, ma, a, ben vedere, è il doppio di Antigone, la parte fragile che viene schiacciata dall’ostinazione di una decisione irrevocabile.

In questa tragedia ci sono gli stasimi (parti corali) più famosi e più intensi della letteratura mondiale: si riflette sul destino dell’uomo, che molto è avanzato sotto tutti i profili; ha solcato il mare infecondo rendendo navigabile, ha sconfitto le malattia, ha progredito nella tecnologia, ma nulla può contro la morte e la potenza degli dei. Amara, ma vera, riflessione sul destino dell’uomo mortale, che, l’unico tra gli esseri viventi, ha consapevolezza della morte e, quindi presenta naturale inclinazione ad interrogarsi sull’ulteriorità, come sottolinea anche il filosofo Umberto Galimberti ne Le cose dell’amore.

La tragedia è un ammonimento a non superare i limiti dell’uomo, perché l’hùbris ha effetti devastanti sull’umanità tutta, rovesciando il principio protagoreo per cui “L’uomo è misura di tutte le cose”, mentre è sotto gli occhi di tutti che “Il dio è misura di tutto le cose”. Questo il punto di vista del religiosissimo Sofocle. 

Written by Giovanna Albi


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