Antipippone buonista sulla felicità ovvero sul Natale.

Creato il 25 dicembre 2012 da Cristiana

Questa mattina mi sono alzata e mi è venuta in mente una cosa istintiva, una specie di incisione nella scheda di memoria che mi ha riportato a quando con papà preparavamo il latte con i biscotti per il passaggio di Babbo Natale o Gesù Bambino ( a seconda se eravamo a Bergamo o a Roma), per il sostegno da dare al suo lungo viaggio.

Era facile da piccoli dare senso ad un viaggio così lungo e faticoso, tutto in una notte. La logica, crescendo, prendeva sempre più il sopravvento fino a non ritenere più credibile che potesse accadere. Dice che si chiama diventare grandi. La disillusione di quando capisci che 4 renne non possono neanche entrare nel tuo terrazzino, figurati fare il giro del mondo fermandosi casa per casa.

E quindi poi cresci e ti viene da sperare che quel latte e quei biscotti papà li rimettesse a posto per far finta che Babbo Natale li avesse mangiati e bevuti per non sprecarli.

Poi cresci e sì, banalmente, vedi anche tutto l’eccesso del Natale. Insomma il disincanto e la consapevolezza sostituiscono quell’attimo di gioia in cui a piedi nudi corri sotto l’albero a vedere la misura di quanto sei stato buono, che in realtà era la misura di quanto si potevano permettere i tuoi genitori. Nel mio caso si stava bene, ma si usava morigeratezza. Educativa, credo.

Oggi non sai cosa regalargli ai bambini, ai bambini nostri dico, non a tutti i bambini del mondo. Hanno le camere piene di giochi, non hanno la cesta dei giochi da una parte: tutta la stanza è una specie di sala giochi.

Mi sembra che prima ci fosse più fantasia. Forse c’era anche meno TV o almeno non c’era solo la TV: se scrivevo una lunga lettera a Babbo Natale chiedendo il castello di Re Artù, il suo cavallo e tutto il regno, mi arrivava una coperta di lana per l’inverno che, ovviamente, era quella del Re. Ed io ero felice. Un regalo utilissimo, la uso ancora dopo più di 30 anni. E magari il monopoli.

Un anno arrivarono il libro “La Storia Infinita” (il più bel viaggio della mia infanzia) e una bambola di colore.

Un altro anno una BMX, ma non tutta, solo una parte. Il resto da pagare a rate con la paghetta settimanale.

Non voglio attaccare un pippone buonista sulla decrescita e sul consumismo, lungi da me. Ma se vogliamo ridare senso non al Natale in se (che chi se ne frega), ma al Natale come “momento di gioia infantile” (lasciate perdere che è una festa religiosa, alla fine la festeggiano tutti, inutile negarlo), forse dobbiamo restituire il desiderio ai bambini.

Se uccidiamo il desiderio li rendiamo abituati ad avere tutto e forse questo fa male. Poi ti abitui che tutto è dovuto (sì è banale ma vedo che anche le banalità non sono scontate).

Se tutto è dovuto la fantasia dorme e non immagini più niente. Io desideravo tantissime cose e mi industriavo su come chiederle. Su come sarebbe stato averle. E poi quando ne arrivava una, ero felice. Insomma se smettiamo di regalare il desiderio ai bambini, ammazziamo la fantasia e pure la felicità.

Non è una cosa che si fa con una legge e nemmeno con una religione. Non lo so come si fa, si comincia a fare e basta. Che non significa rendere un figlio infelice perché hanno tutti la PlayStation III. C’è una via di mezzo tra fare di un figlio un disadattato e fare di un figlio un buon adulto. Non so nemmeno se è politica questa è solo un umanissimo augurio che faccio a tutti i miei nipoti veri ed acquisiti: che conservino la misura del desiderio e possano provare la felicità (da non scambiare per la cultura un po’ religiosa del senso di colpa e della privazione, che non c’entra nulla quindi non tiratela in ballo).

Due giorni fa una nonna in libreria tutta felice: “…mio nipote legge tantissimo, ha una biblioteca enorme, divora libri….” Ed era stupefatta di questa eccezionalità e io dentro di me mi sono augurata che quel bambino lo proteggano come il Panda.

Vi regalo la storia di Junus, che ha 92 anni, è nato nel 1915 ha vissuto il regime albanese, poi è venuto qui a campare di elemosina ed ora recita Amleto dal suo letto di ospedale dove implora un aiuto per andare via, e insegna ancora Storia a chi lo ascolta. L’ha raccontata Ernesto. Io l’ho ascoltata dal vivo da lui.


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