Essere "figlio d'arte" porta con se talmente tante responsabilità che pochi possono comprendere o sostenere. E' la classica croce sulle spalle, perché se da un lato avere "un nome" ti apre molte porte, da un altro te le chiude. E se non ci credete chiedete a Jennifer Lynch. Chiedete. Antiviral (2012) è l'opera prima di un figlio d'arte: Brandon Cronenberg. Fare i conti con quel cognome è faticoso, soprattutto adesso che il Cronenberg Senior viene dato per spacciato da chi ha reputato i suoi ultimi film una specie di "canto del cigno". Eppure Brandon, come facesse sto lavoro da una vita, se ne esce con un film che reputare straniante sarebbe limitante. Se ne esce con una pellicola originale, autoriale, dotata di un'identità precisa. E noi qui a fare la ola perché eventi del genere sono veramente rari.
In un futuro non meglio precisato le case farmaceutiche si appropriano dei diritti di virus che contagiano le star per poi rivenderli ai fan adoranti che sognano di condividere qualunque cosa con i loro beniamini. Syd March è un dipendente della Lucas Clinic ma lavora anche per il mercato nero coltivando all'interno del proprio corpo i virus che deve rivendere. Solo che l'ultimo di questi, quello che ha infettato la star Hannah Geist, è mortale.
Antiviral è a tutti gli effetti un film distopico. Da un punto di vista formale, perché ne mantiene le caratteristiche narrativo/strutturali (ambientazione in un futuro non meglio identificato, pessimismo, società di massa, negazione della figura eroica, potere distopico contro cui il protagonista si scontra), da quello ideale, perché ne mantiene gli scopi: proiettare le ombre di un presente storico amplificandole, rappresentare uno scenario da incubo in cui poter riconoscere le caratteristiche di quello in cui viviamo.
Il mondo raccontato in Antiviral è succube di un' allucinazione collettiva che chiamiamo celebrità, di una spersonalizzazione delle masse che priva l'individuo di ciò che lo rende tale. Ecco che allora il corpo umano diventa involucro privato della sacralità che lo contraddistingue, riempito dal culto dell'immagine su cui si basa lo star-system e che come un virus si propaga da persona a persona. Persino dopo la morte della star.
Brandon Cronenberg (anche sceneggiatore) in un certo senso fa sua l'esperienza paterna e la rielabora, scegliendo però una strada differente, persino opposta. Perché se l'interesse di David, almeno inizialmente, era per la carne, suo figlio si concentra su quello che la carne nasconde. Va sottopelle, precipita nel corpo umano a cui aggiunge o sottrae l'essenza proprio come le siringhe riprese insistentemente con inquadrature grandangolari nell'atto di penetrarlo. Poi il corpo muta, si corrompe e si disfa, ma come conseguenza di qualcosa di più intimo, forse addirittura intangibile. Anche per questo il protagonista è un etereo Caleb Landry Jones, quasi trasparente se non fosse per i capelli rossi e i suoi grandi occhi verdi e fissi. Il corpo di un attore che acquista intensità ed espressività mano a mano che passano i minuti e il suo personaggio si approssima alla morte. Una morte che lo porterà ad identificarsi sempre più con Hannah Geist (interpretata dalla bellissima Sarah Gadon) fino alla fusione carnale con essa attraverso il sangue nell'ultima, terribile, scena.
Un opera straniante, questo Antiviral. Gestito come un thriller o una spy story, il film ti imprigiona con il suo bianco senza speranza e ti colpisce con esplosioni di colori improvvise, su tutti il rosso del sangue. Ti ipnotizza con scenografie spoglie per poi sbatterti in faccia interni sporchi e caotici, oscuri. Stanze dentro stanze dentro altre stanze. Zone d'ombra. Doppifondi. Ti fredda con l'assenza di qualsiasi emozione per poi graffiarti con una pornografia non carnale ma ideale, intima. Come quando si mette in atto l'idea del reality show definitivo, quello che ritrae la morte di una persona solo perché è probabilmente simile a quella della star assurta a divinità (nuova carne?) dopo la morte terrena. E poi, quando meno te lo aspetti, il volto sardonico di Malcolm McDowell, ormai presente in quasi tutte le produzioni indipendenti al di là dell'Atlantico.
Ma soprattutto Antiviral è un film diretto con classe, che si sviluppa lentamente, senza sensazionalismi ma con fare spietato, con qualche tocco weird e un finale che più pessimista non si può. Ho idea che non tutti apprezzeranno, non è certo cinema di consumo, però ora posso dirlo: benvenuto tra i grandi, Brandon Cronenberg.