Antoine de Saint-Exupéry nel 1943 pubblica Il Piccolo Principe, best seller da oltre 140 milioni di copie e libro più tradotto al mondo dopo la Bibbia. Richard Bach è l'autore de Il gabbiano Jonathan Livingston (1970) dal quale Hall Bartlett ha realizzato l'omonimo film candidato all'Oscar nel 1974 per miglior fotografia e miglior montaggio.
Questi due scrittori hanno parecchie cose in comune: entrambi piloti (anche se Antoine de Saint-Exupéry muore in volo nel 1944) ed entrambi erranti alla ricerca di un'infanzia perduta. Quel che più sbalordisce è che la ritrovano su un aereo!
A grandi linee tutti conosciamo la storia del protagonista de Il Piccolo Principe; come si può dimenticare quel bambino con la tutina azzurrina che acchiappa una stella e vola via verso l'avventura? Le chiavi di lettura del romanzo sono infinite e non è facile affrontare le sue pagine con leggerezza in età adulta. Ma non è semplice farlo nemmeno da bambini, perché, con i disegni dell'autore a descrivere i vari asteroidi che le Petit Prince incontra, molte sono le domande che coloro che non hanno ancora compiuto dieci anni si porranno e vi porranno. Le più frequenti, indice di una logica e di un buon senso che troppo spesso si smarrisce crescendo: Come fanno i personaggi a dormire in spazi così ristretti? Dove fanno i loro bisogni? Cosa mangiano?
Del resto si sa che il mondo della fantasia ha le sue regole e questionare su alcuni particolari, per carità fondamentali nel mondo reale, può diventare un giochino alquanto sterile: il gabbiano Jonathan sopravvive a non so quante cadute nel corso del racconto, ma probabilmente non è questo che deve colpirci del testo. Tornando a ciò che lega Antoine de Saint-Exupéry all'autore de Il gabbiano Jonathan Livingston, è un altro il libro di Bach a cui faccio più riferimento per questo confronto: l'autobiografico Via dal nido, titolo italiano di Running from Safety (1994).
Qui lo scrittore comincia la narrazione mettendo a nudo una sua paura, quella per l'altezza. È raro che un pilota soffra di vertigini, ma fin qui sarebbe tutto normale, se ad un certo punto non venisse fuori, quasi fossimo in un film horror, un bambino che nascosto nell'ombra rivendica la sua esistenza. Bach cerca di sdrammatizzare inserendo nel contesto l'apparizione di un angelo e la rassicurante presenza della splendida attrice Leslie Parrish (la ricordiamo in pellicole come Va' e uccidi di John Frankenheimer e 3 sul divano di Jerry Lewis), moglie dello scrittore dal 1977 al 1999.
Il bambino si chiama Dickie ed altri non è che lo stesso Bach all'età di nove anni. È proprio in questo volume che possiamo rintracciare l'origine della storia del gabbiano Livingston, con lo scrittore che mette nero su bianco un conflitto interiore che ha tenuto rinchiuso in un angolo buio della sua mente per cinquant'anni e che affronta grazie all'incontro con Sheperd, l'angelo custode che gli suggerisce di ripensare alla sua infanzia. Vorrebbe rispondere a tutte le domande del piccolo Dickie, ma inevitabilmente più che risposte ha solo tante domande da fare; la scena si ribalta ma come gli abitanti solitari degli asteroidi visitati dal Piccolo Principe, Richard Bach deve trovare un giro di parole per lasciarci intendere che in fondo la risposta è dentro di noi: e così le paure infantili che ci sembravano inaffrontabili si sgretolano di fronte alla sorte. Come succede a Dickie che non riusciva a salire sulla scala della cisterna dell'acqua o a metabolizzare la malattia che gli portò via il fratello.
Tornando a Il Piccolo Principe molto ci dice la prefazione scritta da Nico Orengo per l'edizione Bompiani con la traduzione storica di Nini Bompiani Bregoli (dal gennaio di quest'anno non più l'unica sugli scaffali, visto che moltissime case editrici hanno deciso di pubblicare l'opera ormai entrata nel pubblico dominio): "Il bambino che gli si presenta improvvisamente nel deserto è un'altra parte di se stesso, una parte che ebbe la fortuna di incontrare: dal pianeta della sua infanzia forse, senza il quale il pilota avrebbe finito per dimenticare come di solito succede ai grandi. Siccome il Piccolo Principe non risponde alle domande, non si conosce la sua età. Ma è probabile che abbia pressappoco sei anni, l'età del narratore Saint-Exupéry nel momento in cui gli adulti hanno scoraggiato la sua vocazione per il disegno, "convincendosi" a non vedere nient'altro che un cappello nel serpente boa che aveva ingoiato un elefante tutto intero. Ma l'ex bambino aveva sempre conservato quel foglio, per non dimenticare, giustamente, a che punto la mancanza di immaginazione degli adulti potesse essere grande e scoraggiante".
La vicenda del Piccolo Principe finisce in modo tragico; nessuno dovrebbe raccontare una storia che finisce con la morte di un bambino, che si tratti di una proiezione di se stessi o di un alieno venuto dall'asteroide B612. Ma la cosa più straziante è assistere al suicidio di questa creatura così piccola e indifesa senza poter smettere di leggere, perché il narratore comincia il racconto costringendoci a pensare come bambini e quindi si procede con la lettura sperando che l'aviatore arrivi in tempo e riesca a fermarlo. La stessa sensazione di impotenza si percepisce nelle pagine de Il gabbiano Jonathan Livingston, quando il giovane gabbiano si butta a capofitto contro uno scoglio; lì ti aspetti la tragedia, sai che non potrà sopravvivere ma alla fine lo ritrovi in volo al fianco del suo maestro senza un graffio, come se avesse attraversato un varco spazio-temporale.
"Ebbene, siate gentili! Non lasciatemi così triste: scrivetemi subito che è ritornato". Così Antoine de Saint-Exupéry conclude il suo libro, ma, quando chiede ai lettori di dargli notizie del piccolo se stesso, certo non sa che l'appello avrebbe suonato per i posteri come una sorta di premonizione della sua morte in volo avvenuta al largo dell'Île de Riou.
Questa ricerca dell'infanzia perduta da parte dei due scrittori ricorda vagamente Pascoli e la sua poetica del fanciullino, quello spirito sensibile che alberga dentro di noi e che gode di vita propria come fosse una radice dalla quale non possiamo staccarci, e, sebbene Bach abbia inciso una frase bellissima riguardo l'essere liberi ("Tu sei libero di essere te stesso, qui e ora, e nulla può sbarrarti la strada"), di questa radice non si può negare l'esistenza, non la si può lasciare in un angolo buio per cinquant'anni e, soprattutto, non la si può mettere sotto una campana di vetro.