1° MARZO – Per i tifosi del Chievo può essere considerato senza dubbio come “The Voice”, la voce delle radiocronache delle partite della loro squadra del cuore. Il giornalista Simone Antolini, fin dall’esordio della squadra di Campedelli in serie A nel lontano 2001, ha d’altronde abituato i radioascoltatori alla sua cronaca descrittiva, colorita, divertente e per molti diventata nel tempo addirittura imprescindibile. Già, perché la sua crescita professionale è coincisa negli anni con la crescita del Chievo e molta gente alla lunga si è affezionata a quel modo garbato e simpatico che il giovane cronista ha saputo sempre utilizzare per raccontare le “partie de balon del Ceo”. Un amore nato quasi casualmente, tanti anni fa. Già nel 2000-2001 il giovane Simone, classe ’75, si collegava dallo Stadio Bentegodi durante le partite del campionato di serie B per brevi resoconti delle partite del Chievo che, alla fine di quella stagione, giunse quarto in classifica e venne promosso per la prima volta nella sua storia nella massima serie. Radio Verona a quel punto acquistò i diritti radiofonici per trasmettere in diretta le cronache delle partite di serie A del Chievo e ad Antolini venne affidato l’incarico di accompagnare chi non poteva seguire direttamente allo stadio o in tv la squadra allora allenata dal “mitico” Gigi Del Neri. E sono molti, oggi, a poter dire di conoscere le emozioni trasmesse da quel Chievo anche grazie all’inconfondibile voce di Simone Antolini.
Simone, undicesimo anno consecutivo a raccontare le gesta dei Mussi Volanti. Che sensazioni provi?
“Mi sembra davvero ieri e invece dagli esordi è già passato tutto questo tempo. Ricordo la mia primissima radiocronaca da solo. Fu per un match di Coppa Italia a Pistoia a metà agosto del 2001. Arrivai un paio d’ore prima dell’inizio della partita ed era una giornata molto calda. Mi era stata consegnata la valigetta con i macchinari per trasmettere la radiocronaca, ma, forse anche per l’emozione, non riuscii a collegarla correttamente e dovetti fare la radiocronaca utilizzando un comunissimo telefono cellulare, all’interno di un gabbiotto. Per gli amanti delle statistiche quella partita finì 1-2 per il Chievo”.
Fu solo un paio di settimane prima dell’esordio in serie A, sempre in Toscana.
“Si, la partita dello 0-2 a Firenze contro la Viola. Fu un’emozione bellissima. Non sono un tifoso, sono un giornalista che cerca di trasmettere emozioni e devo dire che furono molte quelle vissute insieme al Chievo, soprattutto in quei primi anni di serie A”.
Qualche esempio?
“Come dimenticare la prima volta a San Siro, con l’Inter di Vieri e Ronaldo sconfitto dal piccolo Chievo, grazie ai gol di Corradi e Marazzina. Che serata! Fu la prima volta in cui forse si cominciò a percepire l’esatta dimensione della Favola”.
Emozioni che però a volte sono state vissute in negativo.
“Indubbiamente. Ci fu ad esempio la grandissima delusione di qualche partita dopo, sempre a San Siro, contro il Milan, quando il Chievo perse per 3-2 e si ebbe la netta sensazione che la squadra di Del Neri dovesse essere fermata a tutti i costi, con mezzi leciti o meno leciti”.
Radiocronaca vuol dire anche seguire la squadra in trasferta. Ce n’è qualcuna che ricordi in maniera particolare?
“Beh, la bella vittoria di Roma, nel secondo anno in A con Del Neri, quando nel finale contro i giallorossi segnò Cossato su assist di Marazzina, che in quei giorni aveva avuto qualche problema con l’allenatore ed era entrato soltanto nei minuti finali, il che però non gli impedì di risultare decisivo. Forse, però, e lo ricordavo proprio in questi giorni in occasione della sfida con la Samp, la vittoria più bella è arrivata quando durante il primo anno con Bepi Pillon in panchina nel 2005-2006 il Chievo sbancò Marassi contro i blucerchiati grazie ad uno strepitoso gol di Victor Obinna. Avevo visto quel ragazzino in ritiro a San Zeno durante l’estate e ricordo perfettamente di aver desiderato che riuscisse a portare la sua velocità, la sua tecnica, la sua gioia e le sue capriole in prima squadra. Avvenne a Genova quel giorno e fu davvero bellissimo”.
A chi ti chiede per che squadra tifi, cosa rispondi?
“Sono cresciuto, come tanti, nel mito dell’Hellas e ne sono sempre stato tifoso. Quella è stata sempre la pancia, ma quando ho iniziato la carriera professionale ho avuto la fortuna di emozionarmi con il Chievo. Nel tempo ho messo la vocazione giornalistica davanti a tutto e vivendola a livello professionale le mie emozioni venivano epurate dalla passione del tifoso. Debbo ringraziare entrambe le squadre veronesi, perché Chievo ed Hellas in vari modi mi danno ancora oggi modo di crescere professionalmente. L’adrenalina che l’Hellas mi ha regalato è stata ed è unica, ma anche certe emozioni che mi ha dato il Chievo sono state a loro modo uniche. Per dirla in una battuta direi che per me l’Hellas è la Storia, il Chievo è la Favola”.
Una partite che non avresti voluto raccontare?
“Facile dire quella della retrocessione a Bologna, nella drammatica partita contro il Catania. Si ebbe per tutto il match l’impressione di poterla portare a casa e invece alla fine ci si ritrovò in serie B. Una grande amarezza. Però grazie a quella retrocessione potemmo vivere, un anno dopo, l’emozione degli ultimi 7 minuti a Grosseto, quando il Chievo grazie ad un gol di Ciaramitano riuscì a pareggiare e a strappare il punto della matematica promozione in serie A. Quindi non tutti i mali vengono per nuocere!”.
Cosa ti piace di questo mestiere?
“Grazie al Chievo ho avuto la possibilità di scoprire il mondo. Sono andato in Giappone, in Scozia, in Spagna. I primi anni il Chievo era a tutti gli effetti una squadra da esportazione. Ricordo anche la prima partita in Coppa Uefa al Maracanà di Belgrado, con lo stadio strapieno di tifosi avversari e uno sparuto gruppetto di supporter gialloblù. Il Chievo ne uscì con un pareggio per 0-0 che faceva ben sperare per il passaggio del turno”.
Fra le tue caratteristiche c’è anche quella di affibbiare qualche nomignolo ai giocatori più rappresentativi?
“Ho sempre avuto la curiosità di dare soprannomi ai giocatori, anche per regalare al radioascoltatore una chiave diversa al momento dell’esultanza. Poi però nel tempo ho cominciato ad uniformarmi nella radiocronaca mantenendo quasi sempre i cognomi veri. Fra i soprannomi che ricordo posso citare, ad esempio Riccioli d’oro per Fabio Moro, il Bel Bernardo per Corradi, il Conte Max per Marazzina, Pelobomber o Pelo Mannaro per Pellissier. Poi, più recentemente, Capitan America per Michael Bradley. Ho sempre cercato di dare soprannomi simpatici. Chiamavo Erjon Bogdani Principe dall’Epiro visto che l’Albania, in epoche lontane, si chiamava Epiro, ed era bello ogni tanto scoprire come in alcuni articoli albanesi quel soprannome fosse ripreso.
Qualche difficoltà, in tutti questi anni?
“Beh, ovviamente si soffre il caldo d’estate e soprattutto il freddo d’inverno, ma ci sta e non è un vero problema. Mi è dispiaciuto nel secondo anno in serie A arrivare un paio di volte in ritardo: per un Inter – Chievo finita 2-1 a causa di una coda pazzesca all’ingresso di Milano. Entrai allo stadio verso il 30’ del primo tempo quando il punteggio era già sull’1-1. Poi un’altra volta per un Empoli–Chievo, a causa di una tormenta e relativi problemi di circolazione, arrivai allo stadio addirittura al 75’ e potetti raccontare solo il gol nel finale di Brighi, che fissava il punteggio sul 2-1 per la squadra toscana. Le trasferte sono spesso fonte di ispirazione e di racconti incredibili. Con l’amico giornalista Marcello Scandola abbiamo spesso pensato a realizzare un libro con gli episodi personali vissuti in occasione delle trasferte. Un progetto che chissà, prima o poi…”
Un mestiere che di per sè può anche essere logorante…
“E’ sicuramente un’attività che richiede tanta energia e io di certo non mi risparmio. Dopo 11 anni di radiocronache ininterrotte all’inizio di questa stagione calcistica è arrivato un momento in cui mi sentivo un po’ scarico. Ho avuto bisogno di una salutare pausa fra settembre e dicembre. Poi ovvio, le persone ti ascoltano e c’è chi dice ad esempio che faccio troppe pause o trova comunque qualcosa che non va nei miei racconti: sono consapevole che non posso piacere a tutti, ma va bene così”.
Ti sei mai ispirato a qualcuno?
“Ma no. C’è chi dice che voglio assomigliare a Puliero (storico radiocronista delle sfide dell’Hellas Verona, ndr), ma lui è un mito e sarebbe soltanto un grosso errore cercare di imitarlo. Ho cercato di essere sempre me stesso, utilizzando uno stile molto descrittivo, aiutando l’ascoltatore a capire in che zona del campo si trovasse il pallone e in generale a visualizzare al meglio le azioni di gioco. Spero di esserci sempre riuscito. Poi c’è questo mio modo di urlare il gol, tenendo le vocali lunghe, ispirato ai telecronisti sudamericani, che mi è sempre piaciuto. Ricordo che una volta, durante il primo anno in una sfida con la Lazio all’Olimpico di Roma, ero capitato fuori dalla tribuna stampa e dovetti fare la radiocronaca in un settore destinato ai tifosi biancocelesti. Il Chievo pareggiò il gol iniziale di Inzaghi con un colpo di testa di Legrottaglie nei minuti finali Ricordo di essermi girato e aver urlato il gol coprendomi con il cappotto cercando di non farmi sentire troppo da chi mi stava attorno! P”.
Nel tempo sei diventato un personaggio a tal punto che su TeleArena (televisione locale veronese, ndr) il Bifido fa le parodie anche su di te.
“Ho pensato, visto che un po’ narciso lo sono, che se sei diventato personaggio qualcosa di buono, spero, lo hai fatto. Sono consapevole che non posso piacere a tutti, ma spero in generale di aver lasciato un ricordo in positivo. Ho sempre cercato di raccontare il calcio attraverso la mia personalità, ma penso che sia stato anche apprezzato il fatto di non aver mai fatto valutazioni negative che invadessero il campo personale. Solo critiche sportive, di natura giornalistica e professionale. Non sono mai andato oltre”. E di questi tempi scusate se è poco.