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La fama del poeta statunitense Edgar Lee Masters è solennemente legata agli anni 1914-1916, anno, quest'ultimo, in cui appare l'edizione definitiva della raccolta “Antologia di Spoon River”.
L. Masters è attivo anche prima del '14: la prima raccolta di poesie risale al 1898 e, con lo pseudonimo di Webster Ford per non danneggiare la carriera di avvocato, gli vengono pubblicati alcuni componimenti su vari periodici, tra cui il “Mirror”.
L'importanza letteraria di questo autore è però legata alla sola “Antologia di Spoon River”: nessun'altra sua opera ne sarà all'altezza, nonostante l'autore possa vantare una modesta bibliografia, tra poesia, teatro e critica. Il suo genio poetico si era già esaurito ai tempi di Spoon River, opera che conteneva già tutto se stesso.
Innanzitutto, il titolo della raccolta si rifà ad un fiume dell'Illinois, mentre la città che fa da cornice è una mediazione tra Petersburg e Lewistown, visitate entrambe dal poeta.
L'idea di creare un'opera che raccontasse delle sue conoscenze personali nei territori dell'Illinois, dove è cresciuto, era già arrivata prima del '14, ma il poeta era indeciso sulla forma da attribuirle.
Il contatto con opere quali l'”Elegy” di Thomas Grey e l'antologia Palatina, contenente circa quattromila componimenti tra epitaffi ed epigrammi, consigliate da un suo editore, ispirarono in gran parte il capolavoro di L. Masters.
L'”Antologia di Spoon River” raccoglie, nell'edizione finale, 244 componimenti: quelli che seguono “The Hill”, proemio che annuncia di una cittadina dove già tutti gli abitanti dormono sulla collina, danno voce, in prima persona in ciascun epitaffio, ad un abitante del villaggio diverso.
Ciascun brano porta il titolo omonimo della voce narrante, per la quale L. Masters sacrifica la lirica e ne designa l'essenza del destino, di una vita come tante oscillante tra progettualità e sogni infranti, spesso anche causa di morte.
Ormai perduto il lirismo del verso, la poetica è conservata per descrivere con un realismo psicologico, orientato spesso al pessimismo, una cronaca apparentemente da giornale, di un America provinciale a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Dentro la cornice di questo fiume, quasi infernale di Dantesca memoria, si articola un vero e proprio storytelling al pari di un romanzo, con un numero di punti di vista altissimo quanto i componimenti, tutti di pari dignità, tra chi è presentato al lettore con il nome proprio personale o con un titolo.
Da questa commedia umana così ben congegnata, appare un vero microcosmo in cui il lettore diviene l'unica presenza onnisciente, sfogliando, pagina dopo pagina, le memorie di ogni fantasma, ripescando dalla luce dell'oblio circa una ventina di intrecci.
La disposizione delle voci post-mortem degli abitanti sembrano dar l'impressione al lettore del senso del tempo e del potere del senno del poi, estendendo in parte questo minuscolo cosmo Ottocentesco ad un livello introspettivo più globale.
Con un opera di tale importanza, nonostante i ridimensionamenti critici subiti poco dopo il successo, non si possono paragonare le altre quaranta opere circa di L. Masters.
D'altronde, romanzieri come lo stesso Hemingway e cantautori come Fabrizio De Andrè, trassero molto a livello d'ispirazione dall' “Antologia di Spoon River”.
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