“Antologia di un ventennio”: nel libro di Beppe Lopez la storia d’Italia basata sul ricatto e la necessità di ripartire dagli anni Settanta

Creato il 11 aprile 2013 da Antonellabeccaria

Gli anni Settanta. Sono quelli la chiave per comprendere gli ultimi lustri della storia repubblicana. Se ne ha conferma a leggere Antologia di un ventennio (1992-2012) del giornalista Beppe Lopez. Tangentopoli, la discesa in campo di Silvio Berlusconi o le fregole presidenziali in vista di un’agognata (e scellerata) modifica istituzionale non nascono negli anni Novanta, con l’arresto di Mario Chiesa o con un messaggio televisivo studiato come neanche un film di Hollywood.

Ricostruire la trasposizione contemporanea delle bibliche piaghe d’Egitto – trasposizione di fatti che hanno portato alla devastazione del Paese fino ai livelli oggi – non può prescindere da ciò che è avvenuto prima. Che siano il delitto Moro, l’occupazione della cosa pubblica da parte della P2, il tramonto dell’ipotesi della solidarietà nazionale con il Pci o, ancora, l’ascesa di Bettino Craxi e del craxismo, nulla dei fatti degli ultimi vent’anni appare casuale. Non lo può essere la più volte tentata riforma della giustizia così come non lo sono tanti altri aspetti, dalla frattura del fronte sindacale al progressivo superamento di concetti politici che facevano la differenza tra uno schieramento e l’altro.

Scrive Beppe Lopez anticipando altri passaggi dell’introduzione del suo libro elettronico:

Negli anni Settanta si giocò una partita mortale: da un parte, istanze insieme di democratizzazione e modernizzazione; dall’altra, istanze di mera “modernizzazione” [...] senza democratizzazione (e senza vero sviluppo), inaugurando negli anni Ottanta una pratica politica e un costume che raggiunsero la massima potenza negli anni Novanta e che Mani Pulite mise a nudo in tutta la sua mediocrità etica, morale e politica.

C’è chi, come l’autorevole editorialista del Corriere della Sera Angelo Panebianco, pur non citando esplicitamente l’assassinio di Moro e la fine della collaborazione fra Dc e Pci, ritiene al contrario che “per tutto il periodo della guerra fredda la democrazia italiana sopravvisse più a causa dei vincoli esterni (la Nato e, per essa, il rapporto con l’America, la Comunità europea in subordine) che a causa delle sue tradizioni e della sua cultura politica”, sottolineando insomma “il potentissimo ruolo stabilizzatore che ebbero le costrizioni esterne”. Laddove per “stabilizzazione” si intende evidentemente anche l’esclusione sistematica dalla piena partecipazione alla vita democratica, ottenuta con qualsiasi mezzo lecito e illecito, di un terzo della popolazione nazionale.

Rimane il fatto che dal 1978 – “negli ultimi venti anni”, come dirà nel 1998 l’allora pubblico ministero milanese Gherardo Colombo – “la storia della nostra Repubblica è una storia di accordi sottobanco e patti occulti. L’Italia la si può raccontare a partire da una parola… Ricatto.

La cosiddetta seconda Repubblica sembra nascere non come superamento della prima e delle sue brutture. Ma il suo scopo è apparso più quello di nascondere sotto il tappeto le vergogne di una democrazia rimasta monca fin dai tempi di Yalta e che, dopo l’abbattimento del Muro e di tutto ciò che rappresentava, ha preso un declivio in cui è sparita anche una scienza comparsa costantamente negli anni del secondo dopoguerra: l’ingegneria del crimine. Quello tale per cui si deviava dai propri compiti pubblici e istituzionali seguendo regole, costruendo coperture, rendendo vita difficilissima ai magistrati che osavano ficcare il naso.

Con Craxi e con l’esplosione dello scandalo P2, invece si inizia a prendere vie più facili, più sfacciate. Si inizia a sistematizzare un attacco che solo Michele Sindona aveva osato avviare: quello alla magistratura a cui era stata cucica addosso una braga politicizzata e colorata ovviamente di rosso. Alla vigilia della seconda Repubblica è stato strumentalizzato di tutto: dai suicidi all’opinione pubblica. Lo si è fatto in un gioco sempre più smaccato, incurante delle evidenti smentite, che si spera oggi non sia divenuto un modus vivendi ormai inestirpabile.


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