Antonello Cresti, “Solchi sperimentali”, Crac Edizioni, 2014
Di ROBERTO FRANCO
Nel 1979, l’ensemble sperimentale inglese Nurse With Wound allegò al vinile del suo surreale esordio, “Chance Meeting on a Dissecting Table of a Sewing Machine and an Umbrella” una lista di 291 gruppi o musicisti più o meno noti, oscuri, o addirittura completamente sconosciuti, omaggiati per avere ispirato il progetto stesso. Più che di una mera lista, si trattava però di una sorta di manifesto, che in pieno post-punk recuperava una serie di “irregolari” della musica del Novecento, dall’avanguardia al prog – soprattutto quello tedesco ma anche francese e italiano, oltre un certo numero di musicisti sperimentali britannici eredi della cosiddetta “Scuola di Canterbury”. Vi si poteva trovare anche jazz di confine, psichedelia, oltre all’”avanguardia immaginaria” della Los Angeles Free Music Society e al post-punk coevo più audace, fuori dagli schemi e “illuminato”. Di colpo venivano recuperate e messe in relazione tra loro una gran serie di esperienze “al limite”, anche di quel mondo della musica freak e progressiva, colta e pseudocolta che il punk credeva di aver spazzato via solo poco tempo prima.
Non è un caso che Antonello Cresti, dichiarando umilmente di non aver seguito alcun criterio preciso per la scelta degli artisti sperimentali analizzati in questo libro, evochi d’altro canto la suddetta lista come una tra le sue fonti di ispirazione. Nel suo lavoro meno formalmente programmatico è più personale, Cresti ci dona una visione estetica non banale; rigorosa, se non nella struttura, nell’ispirazione che l’ha guidato nel compilare questo eccezionale mosaico. Egli ci dà conto. nella prefazione, che il suo decennio di riferimento è quello che parte dalla fine degli anni Sessanta e copre i Settanta; ma non certo i Settanta di Emerson Lake & Palmer, Yes o Return To Forever, quanto piuttosto quelli di un sottomondo sospeso tra la parabola discendente dell’eclettismo “freak” e della psichedelia più radicale (molto più lunga di quello che si è solito pensare) e lo sperimentalismo mistico e/o post-psichedelico tedesco, oltre a quello di grandiosi irregolari francesi e belgi quali Magma, Lard Free e Univers Zéro, o britannici come Comus, Jade Warrior, Henry Cow e, su tutti, Penguin Cafè Orchestra e Third Ear Band – e le intuizioni “pre-punk” o “pre-new wave” o addirittura “proto-industrial” di colossi come Silver Apples, Red Crayola, Residents e la Nico oscura degli anni ’70.
Ma tra questi (relativamente) grandi nomi emerge una deliziosa pletora di schede dedicate a perdenti, dimenticati, “irregolari” di ogni genere, specie e nazionalità, che hanno sbagliato anno, o paese, o strategia – magari titolari di uno o pochi album di difficile reperibilità, veri e propri tesori occulti tra i meandri dei quali, con scelte sì arbitrarie, ma come dicevo prima, non prive di intima coerenza, l’autore ci aiuta a penetrare Chiarisce ancora più l’impostazione estetica dell’autore la scelta di considerare Terry Riley, l’irregolare, mistico, pseudo-hippie Riley, il campione del minimalismo rispetto ai più freddi ed accademici Philip Glass e Steve Reich. Riley è forse il personaggio più centrale dell’intero volume. Egli possiede in massima misura la capacità di essere “al limite” tra mondi musicali diversi se non apparentemente antitetici: ed è questo “essere al limite” che è più in generale la più importante chiave di lettura del percorso di Cresti.
Avanguardisti britannici sospesi tra underground e accademia come Basil Kirchin e AMM di Cornelius Cardew (cui Cresti attribuisce una particolare importanza per lo sviluppo della psichedelia inglese di fine Sessanta) sono esaminati insieme al collettivo-comune transnazionale Musica Elettronica Viva, e sono certo che, se ci fosse stato lo spazio sufficiente, sarebbe saltato fuori uno dei dischi italiani di Alvin Curran, membro a intermittenza di detto collettivo e “irregolare” quasi per antonomasia. Per quanto riguarda la scena sperimentale-progressiva italiana, grande rilievo è ovviamente dato a Franco Battiato, e un degno spazio anche al suo “discepolo” Roberto Cacciapaglia. Esperienze prog-avanguardiste nostrane completamente “fuori dalle righe” come quelle di Claudio Rocchi, Opus Avantra e Pierrot Lunaire sono preferite a nomi ben più noti, ma dalla produzione più convenzionale.
Ma sono anche i sottili percorsi verso gli anni Ottanta e la contemporaneità che Cresti traccia nei vari capitoletti, a emozionare e sorprendere. Come si deduce dai suoi lavori precedenti, sopra tutti “Lucifer Over London” (Aerostella) e “Come To The Sabbath” (Tsunami), l’autore considera il milieu post industriale-esoterico degli anni ’80-’90, quello di Coil, Current 93, Psychic Tv, Whitehouse e i più defilati 23 Skidoo – a cui si aggregheranno, dopo i primissimi lavori, gli stessi Nurse With Wound, il nucleo da cui riparte una delle più strane e sconvolgenti riletture dell’eclettismo sperimentale britannico e del suo coinvolgimento con l’esoterismo, anche se non mancano nel libro inclusioni di chi poi, da quella musica rituale che informava alcune di dette avventure sonore, prese ispirazione per opere più rigorose nel senso della mistica esoterica e della musica iniziatica, come gli italiani Ain Soph e LAShTAL (nota per l’editor: lasciare LAShTAL così come è scritto, maiuscolo con la h minuscola), il fondamentale musicista austriaco Michael DeWitt alias Zero Kama, fino ai gallesi Zone, il cui esoterismo aprì, alla fine degli anni Ottanta, orizzonti musicali molto più eclettici rispetto alle esperienze sopra citate, meritando di essere considerati dall’autore “Forse il progetto musicale più criminalmente sottovalutato… Relativamente agli anni Ottanta”. Ma sono molti gli “irregolari” del post punk, dell’industrial e del post-industrial, del dark-ambient, del post- black metal che Cresti ricollega allo spirito eclettico ma mai superficiale o vuoto, che egli ritiene di aver parzialmente delineato nel suo monumentale lavoro analisi dei “borderline” di fine Sessanta- Settanta.
Nonostante la mia ricerca di un bandolo della matassa che ho “avvertito” mentre scorrevo le pagine del libro, la presente opera vuole essere principalmente una cornucopia di tesori nascosti da scoprire con ludica curiosità. Antonello Cresti vuole farci partecipi, non importa in quanta parte, della sua decennale ricerca e delle gioie che egli stesso ha provato nel conseguirla. E’ quindi il suo un libro per l’appassionato, l’esperto, ma anche per il “novizio”.
Le schede, tracciate in modo sobrio ma brillante, senza eccessivi tecnicismi, sono, e questo è forse l’aspetto più notevole in un’opera dedicata alla sperimentazione in musica, comprensibili pressoché a chiunque.