Nato a Villamar, a metà strada tra Cagliari e Oristano, nel 1950, Antonello Salis imparò a suonare la fisarmonica da autodidatta, dopo averne ricevuta in regalo una per bambini dal nonno all’età di sette anni. Una volta raggiunta la padronanza dello strumento, iniziò a suonare come accompagnamento dei balli tradizionali sardi nelle sagre paesane. Contemporaneamente, sempre da autodidatta, si dedicò con successo al pianoforte, all’organo Hammond e alle percussioni. Dopo le prime esperienze in qualche rock-band giovanile, già dal 1973 diede vita con il contrabbassista Riccardo Lay e il batterista Mario Paliano al trio di improvvisazione jazz Cadmo, nel giro di pochi anni divenuto una delle più interessanti proposte della scena italiana, con la partecipazione a numerosi festival ed entrando in contatto con leggendari jazzisti americani, come Lester Bowie degli Art Ensemble of Chicago. Successivamente, con l’entrata al sax di Sandro Satta e al trombone di Danilo Terenzi, il trio si trasformò in un quintetto. Dalla metà del decennio iniziò ad esibirsi da solo con pianoforte e fisarmonica, formula con la quale, negli anni a venire, avrebbe calcato i palchi dei più prestigiosi festival internazionali.
La strabordante vitalità musicale di Salis non si esaurisce di certo nelle funamboliche performance solitarie, nelle quali letteralmente eviscera l’anima dei suoi strumenti, in un calderone di lava in cui armonia, melodia e ritmo si fondono in un’amalgama inscindibile, tra purissimo talento, istinto animalesco e il poliedrico e smisurato bagaglio di esperienze musicali. Nella sua ormai più che quarantennale carriera, Antonello Salis ha collaborato con jazzisti di statura mondiale: oltre al già citato Lester Bowie, guru dell’etno free-jazz di Chicago, Don Cherry, Cecil Taylor, Horacio “El Negro” Hernandez, Billy Cobham, Nana Vasconcelos, Javier Girotto, Pat Metheny, gli italiani Massimo Urbani, Enrico Rava, Furio Di Castri, Roberto Gatto, Stefano Bollani e l’elenco potrebbe andare avanti all’infinito. Nonostante la sua spiccata vocazione cosmopolita, il polistrumentista campidanese non ha di certo lesinato attenzioni per la sua terra, portando avanti con i migliori esponenti della ricca scena isolana – da Paolo Fresu (con cui ha creato il trio P.A.F., con Di Castri al contrabbasso) al chitarrista sperimentale Paolo Angeli e al polifiatista e vocalist Gavino Murgia, con i quali ha dato vita al progetto Giornale di bordo, con Hamid Drake alle percussioni- riuscite fusioni tra il jazz e la tradizione musicale sarda. Anche in campo non strettamente jazzistico, l’apporto di Salis è stato richiesto da artisti quali Pino Daniele, Ornella Vanoni, Vinicio Capossela e i Quintorigo.
Con il chitarrista francese Gerard Pansanel ha portato avanti un lungo sodalizio, culminato nella colonna sonora del 1998 per il film Racconto d’autunno del prestigioso regista Eric Rohmer. Ma le sue infiammate evoluzioni musicali sono state richieste anche da importanti esponenti del teatro come Lucia Poli, Remondi & Caporossi, Leo De Berardinis e il Festival di Sant’Arcangelo, oltrechè da importanti compagnie di danza e festival cinematografici, in particolare per la sonorizzazione di capolavori del cinema muto. Nè sono mancate le produzioni discografiche, da solista o frutto delle innumerevoli collaborazioni. Nonostante abbia abbondantemente superato i sessant’anni, Antonello Salis appare come un eterno Peter Pan (o, per dirla alla cagliaritana, Piccioccu de Crobi ) del Jazz italiano, il fisico asciutto e nervoso, l’occhio curioso e ingordo di sempre nuove esperienze, il funambolico virtuosismo improvvisativo mai fine a se stesso, ma sempre pronto a cogliere l’essenza stessa della musica e ad offrirla al pubblico, capace al contempo di spregiudicata contaminazione cosmopolita e di forte e sincero sentimento identitario sardo.