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Antoniazzi e il declino sindacale

Da Brunougolini
Antoniazzi e il declino sindacale
Leggo sul sito "Sindacalmente (www.sindacalmente.org) uno scritto di Sandro Antoniazzi, già dirigente Cisl, rivolto alla prossima assemblea organizzativa nazionale della stessa Cisl.  L'articolo parte dalla constatazione del momento difficile che vivono i sindacati "visti dall’opinione pubblica sempre di più ripiegati su se stessi, istituzioni utili". Sarebbe necessario, dice, un Congresso straordinario capace di delineare un disegno programmatico. Antoniazzi indica tre temi: la partecipazione dei lavoratori alle imprese; la trasformazione dell'economia, per realizzare un "economia umana"; una quotidiana visione mondiale. Un testo interessante che indica la volontà di non assistere passivamente al declino sindacale, accanto al declino del ruolo del mondo del lavoro. Ecco l'intero articolo:
"Per il prossimo novembre è convocata l’Assemblea Organizzativa Nazionale della Cisl. Tradizionalmente  l’Assemblea Organizzativa, a metà percorso tra un Congresso e l’altro, discute lo stato dell’organizzazione, ma non manca di pronunciarsi sullo stato più generale del sindacato. Ora non c’è bisogno di grandi analisi per constatare che il sindacato si trovi oggi ad attraversare un momento  difficile. Da anni la sua azione è sostanzialmente difensiva di fronte a una situazione economica perennemente critica, a governi  reticenti al dialogo, a rapporti unitari giunti al loro minimo storico.  Così i sindacati sono visti dall’opinione pubblica sempre di più ripiegati su se stessi, istituzioni utili, ma come tutte le istituzioni a rischio di burocratizzazione, con le inevitabili episodi di deterioramento.
Per questo un’Assemblea Organizzativa oggi non deve  guardare solo all’interno, non deve essere autoreferenziale, perché darebbe corda proprio  a questa critica, ormai diffusa e quasi pregiudiziale.
In realtà più che un’Assemblea Organizzativa, ciò di cui il sindacato avrebbe bisogno  è un Congresso dedicato in modo esclusivo solo alle  idee; un Congresso ideale e programmatico che definisca che cosa il sindacato vuole e deve essere in questa fase storica, per i prossimi dieci, venti anni. Non sarà possibile trasformare l’ Assemblea Organizzativa  in questo senso, ma bisognerebbe parlarne emagari prendere un impegno per il futuro. Un Congresso straordinario, di tipo nuovo, che lasci un segno  importante di innovazione nel mondo del lavoro e nella società italiana.
Si possono chiedere aiuti anche a studiosi amici, nazionali e internazionali, per mettere a fuoco un disegno programmatico sostanzioso, che costituisca poi il riferimento autorevole per il prossimo futuro. Molti sarebbero in proposito i temi da affrontare: mi permetto di segnalarne tre essenziali.
Innanzitutto quello della partecipazione dei lavoratori nelle imprese (dei lavoratori prima e poi del sindacato), di tutti i lavoratori e le lavoratrici, di ogni genere, categoria, lavoro e territorio, perché la partecipazione dei lavoratori vuol dire la loro valorizzazione, la loro dignità, la loro libertà. Non abbiamo la democrazia in azienda: la partecipazione è quanto di più le assomiglia. E inoltre il lavoro prevalentemente relazionale e cognitivo dei nostri giorni rivaluta il ruolo delle donne, quelle di tante categorie spesso ai margini, richiede la partecipazione della persona  (il lavoro relazionale è un  rapporto con le persone, non colla macchina).  E’ il momento di sollevare una proposta di alto livello a riguardo.
In secondo luogo con più coraggio (Davide contro Golia) va affrontata la necessità  di trasformazione dell’economia. Questa economia funziona fuori da ogni regola, generando diseguaglianze inaccettabili,  provocando grandi problemi di occupazione, di reddito,  di squilibri territoriali, di ingiustizie a livello planetario. Il sindacato non  può più limitarsia distribuire la ricchezza che viene prodotta; deve preoccuparsi della formazione del reddito, dell’equità, della distribuzione del lavoro.
Non può più solo godere dei frutti dell’economia, bisogna mettere le mani dentro l’economia. Battaglia nuova, dura, impegnativa che impegna tutto il sindacato (e naturalmente tuti i sindacalisti, a uno a uno, nessuno escluso, che devono essere all’altezza del compito). Il sindacato deve decidere di dare una battaglia storica per realizzare un’economia umana. Si presentano decenni di lotta, ma attorno a questa bandiera si raccoglieranno le forze migliori per la battaglia “politica” più importante da giocare nella nostra società.
In terzo luogo occorre che il sindacato esprima una concreta, realistica, quotidiana  visione mondiale. Un esempio veramente notevole a riguardo  è costituito dal pensiero di Papa Francesco,  che in molti casi si presta  ad un trasferimento  in termini politici e sociali.  Non si tratta solo di prestare più attenzione ai problemi internazionali, quanto di costruirsi un pensiero e un modo di vedere che sia originariamente non d’impronta nazionale o occidentale, ma  aperto agli altri popoli e alle altre culture. Occorre diffondere nel sindacato una pedagogia  adeguata. L’urgenza e l’importanza di questa scelta  è data da un fatto evidente e incontrovertibile: molti dei problemi che gravano sulle nostre società ed economie  hanno una dimensione mondiale e molte decisioni vengono prese a questo livello.
Ora a livello mondiale si gioca una strana partita dove scende in campo una squadra sola, quella liberista (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del Commercio, multinazionali, banche e finanza mondiali); l’altra squadra, quella sociale, non si presenta e per un solo e solido motivo, perché non esiste. E non esiste perché il capitale non ha difficoltà a spostarsi e organizzarsi a livello mondiale, ma così non è per le masse di lavoratori.
Non possono essere  qualche ufficio internazionale e  pur benemerite organizzazioni  mondiali (fra l’altro estremamente deboli rispetto  al compito) a superare questo squilibrio: occorre trovar il modo per  rendere attivi milioni e milioni di lavoratori per questa prospettiva, per questa battaglia. Problema che sembra fuori dalle nostre possibilità, ma che al contrario non solo è possibile, ma necessario e fa parte delle nuove prospettive che il sindacato deve aprire.
Fa parte di quegli orientamenti del mirare alto che soli possono  far uscire il sindacato dalle secche attuali e restituirgli un ruolo decisivo nel riformare l’economia e affermare una società più umana".

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