Valentina Di Bennardo 19 giugno 2013
La Fondazione Sicilia dedica allo straordinario genio di Antonino Leto (Monreale, 1844 – Capri, 1913) Un secolo, ma non si vede. Antonino Leto nelle collezioni della Fondazione Sicilia, di scena dal 27 maggio al 29 settembre 2013 nella splendida cornice di Palazzo Branciforte a Palermo. La mostra è un omaggio al grande artista siciliano che ha dato un’espressione soggettiva e personale del realismo pittorico. Si tratta, ancor più specificatamente, di 13 opere – appartenenti alla collezione della Fondazione – che ripercorrono i vari stadi esperienziali del pittore, la sua vita, i suoi viaggi, gli incontri con gli altri colleghi. Allestita a cura dell’architetto Corrado Anselmi, l’esposizione è allocata nella Sala della Cavallerizza, in cui già trovano posto i reperti archeologici dell’ente organizzatore: nonostante la differenza di manufatti, l’impatto risulta piacevole dal momento che rinvia all’ampio spessore culturale della Sicilia. Seppur poco conosciuto ai più, Leto ha dato un’interpretazione sublime della natura e, in generale, del vero interrogandolo con fare poetico e passionale. I dipinti che potete ammirare a Palazzo Branciforte seguono l’ordine cronologico della vita del pittore monrealese e i suoi progressi dal punto di vista artistico.
Lo stabilimento enologico dei Florio a Marsala (1865-1870), prima opera in mostra, rimanda al periodo vedutista di Leto e, allo stesso tempo, ricorda una delle più famose famiglie siciliane, i Florio, imprenditori di successo, protagonisti della belle époque palermitana. Grazie alla fama tra gli estimatori d’arte, Leto riuscì a conquistare l’interesse del senatore Ignazio Florio che gli commissionò la realizzazione di una veduta dello stabilimento enologico da lui fondato. All’epoca Leto aveva trascorso solo un semestre a Napoli dove aveva stretto amicizia con Palizzi e i pittori della Scuola di Resìna e frequentato la bottega del siciliano Luigi Lojacono conoscendo la pittura verista di origine positivista del figlio Francesco, ma ancora non poteva vantarsi di una formazione artistica completa e solida. Eppure la genialità è già evidente nella razionalità ed equilibrio nella rappresentazione dell’edificio industriale insieme alla luce offuscata dell’alba in cui è rappresentato.
La coppia seguente di dipinti, Scena agreste (1874 ca.) e L’ultimo tacchino (1875 ca.), invece, è rappresentante del passaggio dell’artista a Napoli tra il 1873 e il 1874 e a Firenze nel periodo compreso tra la fine del 1874 e il 1877. Durante queste esperienze di viaggio Leto indagò ancor più in profondità la natura grazie a Francesco Paolo Michetti – artista che durante il primo soggiorno gli permise il perfezionamento della resa del paesaggio – e alla scuola macchiaiola – corrente artistica che influenzò la sua concezione coloristica dando vita a espressione emotivamente più coinvolgente e in linea col naturalismo francese. Un capitolo a parte è La fanciullezza di Zeus (1877), opera realizzata durante il periodo fiorentino dell’artista, di chiaro impianto mitologico. Nonostante la tematica – estranea al verismo pittorico, probabilmente sviluppata per la diffusione a Firenze di saggi tedeschi trattanti mitologia classica – è ben evidente la meticolosità del particolare e la naturalezza dei colori.
Leto visse la transizione dal XIX al XX secolo, nonché gli ultimi anni della sua vita, sull’isola di Capri dove – nonostante la lontananza dai grandi centri di diffusione culturale – elaborò un linguaggio espressivo coerente con il naturalismo europeo e con il sentimento verista che mise a frutto al meglio l’esperienza macchiaiola. L’isola e con essa l’arcipelago napoletano sono immortalati in diverse tavolette e dipinti esposti quali Bambino e fico d’india, Pescatore in riva al mare, Piccola veduta caprese, Spiaggetta caprese, Spiaggia con agavi, Studio per La sciabica, Atrio di un palazzo antico e Ragazzo sul prato (opere realizzate tra il 1880 e il 1890). La natura e gli abitanti dell’isola, il mare, l’attività umana: sono queste le tematiche studiate dall’artista che rappresenta in questi dipinti le ricchezze vegetative e paesaggistiche con un impianto disegnativo preciso ma quasi volutamente dissimulato con la resa delle macchie di colore.
Leto lasciò Capri solo due volte, dal 1879 al 1880 quando fu a Parigi per l’Esposizione universale, e per un brevissimo soggiorno a Palermo – durante il quale lavorò per i Florio realizzando le decorazioni per villa all’Olivuzza e per villa ai Colli, ritornando nell’isola napoletana definitivamente nel 1882. Negli anni capresi il suo stile è ormai pienamente definito: il totale equilibrio tra il preciso impianto del disegno e la stesura del colore è stato raggiunto, rimanendo attenta ed emozionata la riflessione dell’artista verso la natura. Bellissimi gli abitanti di Capri ritratti da Leto: pescatori, donne e fanciulli immersi nella luce solare e impegnati in attività quotidiane. Il percorso pittorico in esposizione si conclude con la tredicesima opera, La mattanza a Favignana (1887), esposta in modo permanente presso il Ristorante Branciforte, ubicato all’interno del Palazzo. Si tratta di un quadro notevole per dimensioni (misura 188×96 cm) e qualità formali. Stupefacente la portata sentimentale di questo dipinto: il vero, alias la brutalità della lotta tra le forze dell’uomo e del tonno, è estremamente permeato di intenso pàthos.
Antonino Leto morì a Capri il 31 maggio 1913 in miseria e ormai lontano dai circuiti commerciali dell’arte. Il pittore Gustave Courbet, celebre rappresentante del movimento realista francese di fine Ottocento, ha lasciato un testamento dal significato inequivocabile: «Ho cinquant’anni e ho sempre vissuto libero; lasciatemi finire libero la mia vita; quando sarò morto voglio che questo si dica di me: Non ha fatto parte di alcuna scuola, di alcuna chiesa, di alcuna istituzione, di alcuna accademia e men che meno di alcun sistema: l’unica cosa cui è appartenuto è stata la libertà». Antonino Leto non ha sottoscritto materialmente questa volontà, ma è possibile che l’esistenza libera da qualsiasi legaccio sia un antidoto all’invecchiamento così come l’incondizionata ricerca del vero e la forza illimitata della creatività? Sono passati cent’anni dalla scomparsa del pittore monrealese, eppure la sua arte – libera e vera – è in grado ancora di stupire per la sua straordinaria modernità.
In copertina: Antonino Leto – Spiaggia con agavi (1884)