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Antropologia della corruzione

Creato il 06 giugno 2014 da Albertocapece

corrAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ma non sarà arrivato il momento di passare dalla sociologia all’antropologia, nemmeno quella criminale anche se le facce dei protagonisti loro malgrado delle cronache, abituati alla schiva riservatezza di chi preferisce il sottobanco e certe penombre favorevoli, riporterebbero in auge il mio illustre congiunto. No, vale proprio la pena di rispolverare gli strumenti per l’osservazione “partecipante”,  diretta e non passiva dei comportamenti dell’essere umano e delle relazioni tra i ruoli e con la società.

Avremmo la probabile conferma che la corruzione nelle sue varie forme, declinazioni, modi è una componente genetica se non biologica dell’uomo o almeno dell’homo oeconomicus, esaltata in questo che è il “tempo della finanza”, dall’alterazione del ruolo dello Stato, la cui sovranità – e quindi quella popolare – è corrosa e limitata in favore di centri di potere interni ed esterni.

Non è per compassionevole indulgenza che va detto che si tratta di un fenomeno planetario, sui marziani che il papa attende per dar loro i sacramenti, poco sappiamo. Sappiamo invece che si manifesta in varie forme nelle varie latitudini e che un carattere nazionale della corruzione consiste, a differenza che in altri Paesi, non solo nei livelli di diffusa tolleranza, nella ripulsa alla condanna morale per generalizzata acquiescenza attribuibile all’imitazione di certi modelli, nemmeno in una giurisprudenza e in una sua applicazione a dir poco flessibile. Bensì nel fatto che – proprio a proposito di grandi opere, ma anche di interventi meno faraonici – in gran parte del mondo le tangenti, le mazzette girano intorno a attività reali, a costruzioni, speculazioni, azioni e prestazioni che si esercitano, realizzano, compiono, mentre un’anomalia italiana consiste nel formidabile brand delle incompiute, del non fare, in modo da prolungare i tempi, ritardare, moltiplicare costi, fare di multe, sanzioni un business, convertire l’inazione in immobile ma proficuo profitto.

Ci sono imprese che vivono del Ponte sullo Stretto, per il quale non è mai stato presentato un piano di fattibilità né un vero e proprio progetto con preventivo dei costi. Per non dire della Tav, per non dire appunto del Mose, di autostrade, tratte ferroviarie, canali, gran parte dei quali fortunatamente restano monchi, parziali, abbozzati, visto che solitamente sono caratterizzati da esuberante cemento e altrettanto ridondante impatto ambientale. Ma anche su scala minore sono note imprese nemmeno tanto piccole che campano dell’affitto di impervie gru, impastatrici di calce in siti trasformati da anni in musei di archeologia industriale o costruttiva, in monumenti del fermo lavori, in voragini di soldi pubblici e tombe di imprese di subappalto.

Certo l’indagine antropologica non può non tenere conto che nel corso delle epoche storiche è cambiato il modo di concepire al ricchezza, che oggi identifichiamo nel denaro, sia pure anche nella sua configurazione immateriale, ma che un tempo era soprattutto possesso, proprietà immobiliare e fondiaria, influenza, autorità, tanto che i banchieri per crescere nella scala sociale si compravano a caro prezzo un titolo nobiliare. Oggi vale invece l’accesso a un ruolo di potere, a una carica e al suo mantenimento, più interessati alla visibilità e al prestigio che ne deriva, che alla reputazione. L’economia della finanza usa il denaro sottraendolo ai cicli produttivi per produrre altro denaro, che serve a espandere se stesso. Così l’avidità diventa insaziabile, forse suicida come succede all’uroboro, il serpente che si morde la coda, il condizionamento del gioco d’azzardo finanziario si estende alla formazione di coalizioni politiche funzionali, le larghe intese, alle compagini ministeriali, formate da tecnici provenienti dal mondo bancario. Le spinte sociali non omologabili a questa logica sono emarginate, neutralizzate o introiettate, incluse.

L’esposizione alla corruzione diventa quindi sempre di più un carattere umano e il suo esercizio un poderoso strumento di pressione, controllo e ricatto. Non a caso viene denunciata con riprovazione dalla stessa Europa che finora ha finanziato il Mose con un totale di un miliardo e mezzo di euro in più tranche : la prima di 400 milioni è stata sborsata direttamente al Consorzio Venezia Nuova nell’aprile 2011; altri 500 milioni sono stati sbloccati nel febbraio 2013 e c’è da sospettare che arrivino gli altri 600 milioni, malgrado la tempesta che si è scatenata. E non c’è la solita Mantovani SpA dietro al Passante di Mestre anch’esso finanziato dalla Bei con 350 milioni di euro sborsati in un’unica trance nel 2013? Proprio mentre l’OLOF, l’organo anti-corruzione europeo lo scorso marzo ha rigettato la richiesta di aprire un’indagine sulle responsabilità europee nell’affaire Passante di Mestre a fronte di un esposto di varie organizzazioni della società civile.

Si lascia dunque esprimere tutto il potenziale distruttivo dell’economia della corruzione, in modo che sempre di più i privati possano occupare spazi, interstizi, poteri, autorità di controllo, comprando controllori, soggetti di vigilanza, corrodendo la sovranità e le funzioni statali, e a un tempo incrementando le voragini del debito pubblico in modo da impoverire sempre di più i popoli e impaurendoli per consegnarli all’inamovibilità di ceti dirigenti che perpetuano loro stessi almeno quanto i loro brasseur d’affaire, i signor G, i Frigerio, i Baita.

Sono loro gli eterni vincitori, che occupano anche il nostro immaginario, che colonizzano la nostra coscienza proponendo modelli umani, politici e culturali aberranti, spregiudicati, disinvolti, ambiziosi, ignoranti, sopraffattori, indifferenti, i Gekko di Wall Street, ma anche componenti di governicchi collocati su troni pericolanti, che appunto per questo vi
si aggrappano con gli artigli dell’ubbidienza e dell’avidità, soddisfatta in costanza di potere.

Eh si la corruzione non si genera e non si alimenta solo col passaggio di buste in qualche squallido locale, pratica mai obsoleta, che piacciono le vacanze nei resort, le mutande verdi, i restauri delle ville, ma la musica prediletta è il frusciar delle banconote. C’è un gas tossico che respiriamo, un veleno che circola nelle vene. Ne è risparmiato solo chi ha scelto di vivere ai margini, come i selvaggi osservati in forma “partecipata” dagli antropologi culturali, che si salvano dalle malattie dello sviluppo conservando luoghi di appartenenza e usi. E non chiamateli tristi tropici.

 


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