Un eventuale abbandono del paese ellenico non fermerebbe la crisi. Anzi !!
CIAO CIAO GRECIA ?– Il futuro della Grecia è diventato il problema numero uno per l’Europa. Se settimana scorsa la Germania, attraverso il suo ministro delle Finanze Schäuble e il presidente della Bundesbank Weidmann, ha fatto il muso duro ad Atene, minacciando di cacciare il paese ellenico in caso di mancato rispetto del Memorandum della Troika, ora altre voci rimarcano tutti i rischi di questo scenario. Ieri il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha ribadito che la Grecia deve rimanere nell’euro, perché questa è ancora la soluzione migliore, tanto per il popolo ellenico quanto per l’intera Europa
Il Fmi e’ tecnicmente preparato per qualsiasi ipotesi sulla Grecia. Il direttore generale Christine Lagarde ribadisce che l’uscita della Grecia dall’area euro e’ una delle molteplici opzioni alle quali guardiamo tecnicamente ma questo non significa che sia l’opzione auspicabile”, ha detto il numero uno del Fmi in una intervista alla tv olandese Nieuwsuur. ”Non sto proponendo che l’uscita della Grecia sia la soluzione desiderabile – ha aggiunto – auspico e spero per il meglio e il meglio e’ che la Grecia rimanga nell’euro
Christine Lagarde corregge così il tiro in modo chiaro rispetto agli altri componenti della Troika, seguendo i nuovi toni già assunti dal nuovo presidente Hollande, suo connazionale anche se in passato avversario politico. Il Fmi e la Francia, così come gli stessi Stati Uniti, ritengono esiziale per il futuro della moneta unica, e dell’economia mondiale, una fuoriuscita della Grecia dall’euro, che potrebbe essere tecnicamente fattibile ma avrebbe esiti catastrofici.
COME FERMARE IL PANICO – Il diritto europeo non permette il controllo dei capitali, e dunque non esiste il quadro giuridico per fermare in modo legale il bank- run. L’unico modo per farlo sarebbe un’ulteriore infrazione al diritto comunitario, una delle tante, visto che non esiste il presupposto giuridico per permettere al momento la fuoriuscita dall’euro di un paese appartenente all’area della moneta unica. Per bloccare il panico di massa che sconvolgerebbe prima i mercati e poi le economie continentali, l’editorialista suggerisce di fare alcune di quelle cose che non sono state fatte per evitare il collasso della Grecia.
• La creazione di eurobond e di un fondo di salvezza delle banche europee
• Un programma di acquisti senza limiti di titoli di Stato da parte della Bce
• Nominare Wolfgang Schäuble ministro delle Finanze europee, non semplice capo dell’eurogruppo
• Una retromarcia della Corte Costituzionale tedesca, che riconosca come l’Unione Europea non abbia una sovranità condizionata rispetto alla Germania
• Fare tutte queste cose in fretta, prima dei Giochi Olimpici, e non con il consueto, barocco e lunghissimo processo decisionale dell’Europa.
Münchau evidenzia come niente di questo in realtà accadrà, facendo aumentare le possibilità di una fuga di capitali che metterebbe in ginocchio l’economia europea. Il piano originale per decidere infatti se trasformare la Ue in una vera unione fiscale dotata di debito comune, oppure se frantumare l’area euro, prevede infatti che la decisione arriverà dopo le elezioni federali tedesche del 2013. Ma all’Europa manca il tempo per contenere questa crisi, e se la Greci uscirà, poi anche Spagna ed Italia saranno costrette a farlo, perché non si potrà fermare la fuga dei depositi bancari che già si vede in questo momento nell’eurozona.
SCENARIO ATTUALE – Sul blog di Tyler Cowen, un noto economista di tendenze libertarie, c’è un grafico sull’andamento dell’aggregato monetario M2 – la moneta circolante, le riserve bancarie, i depositi a vista più quelli a breve termine – che evidenzia una già significativa fuga di capitali.
L’aggregato monetario M2 non è l’indicatore più corretto come nota lo stesso Cowen, ma la tendenza che emerge da questo quadro palesa uno degli effetti dell’eurocrisi. I paesi in maggiori difficoltà subiscono una forte contrazione dei loro depositi a breve termine, mentre in Germania questo indicatore è in netta crescita. In Grecia l’ M2 è calato del 16,8% rispetto all’anno scorso a febbraio, in Spagna la contrazione è stata del 4,7%, mentre in Portogallo la diminuzione si è assestata al 3,8%. L’Italia invece ha visto una crescita dei depositi molto contenuta, poco più dell’1% su base annua, un dato che conferma lo stato di debolezza della nostra economia. In Germania invece l’aumento è stato netto, 7,5%, e come rimarca lo stesso Cowen, parte di questo incremento è derivato proprio dai flussi di depositi dai paesi in eurocrisi verso le banche tedesche. Allo stesso modo è interessante notare come l’inizio di questa divergenza di crescita dell’aggregato monetario M2 sia iniziato nel 2010, quando l’area euro fu colpita dalla crisi in Grecia, i cui primi aiuti finanziari furono stanziati nella primavera di quell’anno. La crisi delle moneta unica sta portando dei benefici al paese in questo momento più ricco, mentre i cosiddetti PIIGS si impoveriscono sempre di più, con una fuga di liquidità che mette sempre più a rischio la tenuta dei loro sistemi creditizi e produttivi.
E che succede se si ritorna alla lira?
Il Corriere della Sera pubblica un articolo a firma di Gino Pagliuca nel quale si spiega cosa succede se un paese esce dalla moneta unica e cosa accade con il ritorno delle monete nazionali. Il Corriere prende ad esempio la dracma per spiegare cosa succederebbe alla lira, partendo dai mutui:
La prima conseguenza riguarderebbe naturalmente i prestiti-casa. Su due fronti: il ritorno alla valuta nazionale e i tassi d’interesse.
Ed ecco lo schema:
Con la dracma (o la lira) si dovrebbe poi passare alla riconversione dei contratti:
Sì, è uno scenario, anche se in realtà l’analogia non è del tutto convincente: allora si era passati da una valuta che veniva abbandonata a una nuova valuta; oggi il passaggio avverrebbe partendo da una valuta che invece rimane sul mercato. E comunque se si adoperasse il tasso di cambio del 2001 (340,75 dracme per un euro) la valuta certo non passerebbe la prova dei mercati, perché il lunedì successivo all’annuncio la quotazione crollerebbe. C’è chi ipotizza un passaggio con una svalutazione preventiva molto forte; un recente studio Ubs ad esempio parla del 50% come minimo.
In uno scenario di contratti integralmente ridenominati in dracme che ne sarebbe di chi ha un mutuo?
Dipende dal tipo di mutuo: se si tratta di un finanziamento a tasso fisso, da un punto di vista formale non cambierebbe nulla; nei fatti, siccome verrebbero riconvertiti anche gli stipendi e l’inflazione renderà il costo delle merci primarie assai più care, la rata del mutuo diventerà ugualmente meno sostenibile perché andrà a incidere su un reddito che ha un potere d’acquisto molto più ridotto di oggi. Sui mutui a tasso variabile l’effetto sarebbe peggiore perché oltre a quanto detto prima la ridenominazione in dracme porterà all’abbandono dell’Euribor (il tasso a breve sull’euro) che sarà sostituito dal tasso corrispondente in valuta locale con effetti molto pesanti sulle rate. In tabella abbiamo provato a calcolare come varierebbe la rata di un prestito indicizzato con il nuovo tasso, ipotizzando che si posizioni tra il 4 e il 15%. Il passaggio al 10% (scenario nemmeno troppo pessimista) comporterebbe nell’immediato il raddoppio della rata mensile. Tutto questo senza contare che si aprirebbe per le banche elleniche uno scenario davvero fosco.
E se invece i mutui rimanessero denominati in euro?
Ci sarebbe un piccolo sollievo per le banche ma sarebbero guai anche per chi ha un mutuo a tasso fisso, perché il suo finanziamento si trasformerebbe in mutuo in valuta e il debito aumenterebbe in proporzione a quanto si svaluta la dracma rispetto all’euro. source