Magazine Cultura

Apollinaire: la Poesia Assassinata dall’Economia

Creato il 27 marzo 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il marzo 27, 2012 | LETTERATURA | Autore: Mario Turco

Apollinaire: la Poesia Assassinata dall’EconomiaIl gergo economistico sembra percorso e percosso dallo sperimentalismo di un futurismo spinto. Acronimi cacofonici come BCE, FMI, BOT, BTT, tormentano le nostre orecchie, vomitati da una politica immolatasi per intero ai principi della finanza. Che il mondo gravitasse attorno all’economia è stata pratica esecrata dai poeti di ogni tempo. Ma che adesso si attorcigli attorno a operazioni finanziarie costruite sul nulla, su interessi, previsioni, statistiche, percentuali, è roba che uccide la sensibilità di ogni artista. «A morte i poeti» – è il mantra che i totalitarismi, nella loro ingenua prevaricazione, hanno da sempre adottato quando giunti al Potere. Finora però la loro forza bruta non era mai riuscita a spegnere del tutto la voce autentica della poesia. Solo la dittatura morbida dell’economia sta riuscendo in questo scopo. Un secolo fa Apollinaire faceva linciare Croniamantal, il maggiore dei poeti e alter-ego dell’autore, dal popolo, astutamente aizzato da Tograth, singolare figura di economista-agronomo. In nome dell’improduttività dei poeti, della loro agiatezza acquisita tramite la vincita di un numero troppo elevato di trofei letterari, essi venivano additati all’opinione pubblica come la più privilegiata delle caste. “Il poeta assassinato” era uscito alle stampe nel 1916 e raccoglieva una serie di novelle redatte tra il 1913 e il 1914. Io faccio riferimento a una copia ormai difficilmente reperibile edita da Orsa Maggiore Editrice con la traduzione di Nino Magrini, che si nascondeva nella cassapanca di un mio lontano zio. Mi soffermo sulla data e sull’autore, imprescindibili trait d’union con il ragionamento abbozzato. Guillaime Apollinaire è innanzitutto lo pseudonimo del poeta e critico d’arte Wilhelm Albert Włodzimierz Apolinary de Wąż-Kostrowicki, nato nel 1880 a Roma da un ufficiale svizzero e da una nobile polacca, di cui portò il cognome. Ebbe una giovinezza movimentata e percorse, come precettore di ricche famiglie, l’Europa in lungo e in largo prima di stabilirsi definitivamente a Parigi nel 1902. Divenne ben presto il più famoso personaggio di Montmartre, il quartiere degli artisti, mostrando una particolare sintonia con le maggiori avanguardie artistiche del tempo, dal futurismo al cubismo (fu amico di Picasso e recensore dei suoi colleghi con il libro “I pittori cubisti”). Ormai apprezzato dopo la pubblicazione della raccolta di poesie “Alcools” (1913), Apollinaire, portavoce inquieto della nuova dirompente sensibilità artistica, riunitasi soprattutto attorno la capitale francese, lanciò con “Il poeta assassinato” (la lunga novella che dà anche il titolo al libro) la propria provocazione.

Apollinaire: la Poesia Assassinata dall’Economia

L’omonimo racconto occupa metà della raccolta ed è il più importante per esito e progettualità letteraria. «Stimolato da una meditata lettura di Rabelais», Apollinaire cercò di piegare la prosa verso una nuova forma che oscilla tra lirismo e satira. Canovaccio e stile seguono inoltre modalità più teatrali che romanzesche: nel bel mezzo dell’azione i personaggi si lasciano andare a riflessioni auliche e inverosimilmente persino le levatrici non si esimono dall’accostare i cannoni da guerra a vigorosi priapi. “Il poeta assassinato” narra le vicende di Croniamantal, dal suo concepimento quasi leggendario fino alla morte. Attraversato da palesi spunti autobiografici, l’autore vi incunea come leva principale del racconto l’amore del poeta per Tristouse, che farà da base terrena per la vis poetica dell’infelice artista. All’interno della novella, che con certosina laboriosità è disseminata di tematiche volutamente contrastanti tra loro, Apollinaire si muove con una pluralità di linguaggi che denotano i suoi multiformi interessi. Vi è quindi il richiamo ai miti greci e latini, all’eleganza decadente dell’enumerazione di città e oggetti esotici, a certa lirica provenzale, a satira mordace, al libertinismo sadiano (di cui è un perfetto esempio “Le undicimila verghe” (1907), ideale e ancora più feroce prosecuzione dei culti del divin marchese), a inserti metaletterari, all’accostamento senza senso di suoni e lettere tipico del futurismo. Soltanto il finale recupera una vera unitarietà d’intenti e cifra stilistica e ciò lascia intuire ragionevolmente come su di esso Apollinaire volesse far confluire il suo messaggio. Il poeta Croniamantal viene assassinato da una folla che egli aveva apostrofato con il tono profetico che ha sempre l’alta poesia: «Il tuo eroe, plebaglia, è la Noia, che porta con sé la Sventura». E ancora «è la Noia e la Sventura, il mostro nemico dell’uomo, il Leviatano vischioso e immondo, il Behemoth macchiato di stupri, di violenze e del sangue dei poeti meravigliosi». La novella, come detto, fu scritta durante gli anni che portarono allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Apollinaire: la Poesia Assassinata dall’Economia

L’irrazionalità montante e il nichilismo di un’epoca tormentata sono ben esemplificati da una folla che si lascia trascinare dai pericolosi miracoli laici di Tograth piuttosto che dai moniti morali di Croniamantal. Al poeta, come fa dire sconsolatamente Apollinaire dall’uccello del Benin, non resta che la costruzione di «una profonda statua di nulla, come la poesia, come la gloria». Il resto delle novelle stride vistosamente (volutamente?) con quella che dà il titolo all’opera. Queste si rifanno alla migliore tradizione dei racconti fantastici che va da Gautier a Hoffmann e Poe. Sono omaggi che non hanno nulla da invidiare all’originalità di quei maestri ma che nella loro brevità (3/4 pagine al massimo) si affastellano senza un senso delimitato e così stancano presto. Una disposizione più cinematografica che prevedesse come centro e climax “Il poeta assassinato”, inframmezzata dalle novelle più brevi avrebbe reso la lettura più stimolante. Anche perché gli spunti narrativi sono in gran parte coinvolgenti. Ecco allora che in “Il re luna” il protagonista si perde nella caverna fantastica del defunto re Luigi II di Baviera, ove non mancano invenzioni che permettono di copulare con donne del passato, il tutto permeato dal criptico simbolismo di Apollinaire. “La favorita” sovverte radicalmente stile e si rifà al naturalismo francese e al verismo italiano. Altro racconto che riporta alla mente questa volta Maupassant è “La dipartita nell’ombra”, dove un oscuro commerciante ebreo rivela al protagonista che un corpo perde l’ombra trenta giorni prima di morire. Appena fuori dal negozio egli si accorge che la sua fidanzata non l’emana più. La chiusura della raccolta spetta a “Il caso del brigadiere mascherato” e, sebbene come rivela la postilla finale, essa sia stata aggiunta a conflitto in corso, migliore epilogo non poteva trovarsi. L’ultima novella infatti abbandona il tono strano e fantastico delle precedenti e ritorna al lirismo a lui più congeniale. In un affettuoso e significativo cammeo finale tornano tutti i personaggi degli altri racconti e in appena quattro pagine trovano spazio alate immagini derivate dall’esperienza di guerra che lo stesso Apollinaire provò in prima persona, essendosi arruolato volontario. A imperitura memoria questo verso: «O trincee, cupe sorelle delle mura». Se nella prima metà del secolo scorso il nemico era visibile perché si palesava sotto sembianze militari, nel Duemila esso si nasconde subdolamente dietro le maglie dell’inevitabilità economica. C’è da augurarsi che i poeti, avanguardie del popolo reazionario, sappiano riconoscerlo e, oggi come allora, combatterlo con il coraggio dei martiri invece che subirne l’inesorabilità.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :