Apollo è sdegnato per il vilipendio del corpo dell’eroe troiano e ne prende le difese, scagliandosi violentemente contro Achille, con motivazioni che vanno al di là del dovuto riconoscimento della devozione che Ettore ha sempre manifestato agli dei e della predilezione che Apollo ha sempre avuto verso di lui. Gli dei che parteggiano per Achille, li rimprovera Apollo, sono crudeli e funesti: non era forse puntuale Ettore nelle offerte rituali? Ma la collera del dio investe soprattutto il comportamento di Achille.
In questo canto Apollo non è il vendicativo dio ‘dall’arco d’argento’ che bersaglia con le sue saette gli Achei rei di aver offeso il suo sacerdote, o il nume tutelare di Troia che respinge Patroclo dalle mura della città e lo consegna inerme ad Ettore, ma svolge già un ruolo che gli sarà proprio nell’età classica: è il dio promotore della civiltà. Come tale è raffigurato, per esempio, sul frontone occidentale del tempio di Zeus ad Olimpia (471-456 a.C.): l’armonia e la compostezza della sua figura gli conferiscono una forza, calma e sicura, simbolo dell’autorità della ragione, con la quale egli domina una scena di lotta, metafora dello scatenarsi caotico degli istinti, delle passioni incontrollate e selvagge.
Apollo come emergente dio della razionalità, fatta di misura e di ordine, non può dunque tollerare il comportamento di Achille: la sua hýbris, la ‘tracotanza’, che egli manifesta agendo sfrenatamente secondo gli impulsi e le sue passioni, il dolore, l’ira, la rabbia, il furore, non è conciliabile con l’ordinamento civile di cui Apollo si fa promotore e garante. Le passioni ‘private’ di Achille devono cedere di fronte alle norme ‘pubbliche’: il suo rapporto con Ettore, con il nemico, non può regolarsi secondo il modello regressivo e selvaggio della ‘faida’ privata. Ad Ettore morto, secondo le norme, spettano onoranze funebri, familiari e pubbliche: non è nella disponibilità di Achille negare al nemico l’estremo legittimo onore, estendendo oltre misura la sua vendetta.
Invece Achille è ‘rovinoso’, non ha ‘mente assennata’ né ‘un animo trattabile’: si comporta come una belva, un leone feroce che si lascia trascinare dalla sua violenza e dal suo ‘cuore superbo’. Agisce in modo irrazionale e asociale. Nel suo furore si accanisce contro ‘insensibile terra’, esibisce, per la perdita dell’amico Patroclo, un comportamento isterico (cfr. Graves R. Greek Myths 163.3), non consono alla comune natura umana, che le Moire, le dee del destino, hanno dotato di un cuore ‘adatto a soffrire’ e a rassegnarsi: questo, dice Apollo, non è dignitoso e non gli reca alcun vantaggio. E’ necessario invece che Achille ritrovi in sé la ‘compassione’, éleos, e soprattutto il ‘pudore’, aidốs, che (nell’efficace traduzione del Monti, XXIV v. 62) “l’uom castiga co’ rimorsi e il giova”.
Aidồs è un elemento fondamentale dell’etica sociale greca: la sua mancanza, in Esiodo, caratterizza l’Età del ferro, quella del poeta, l’ultimo stadio del processo di caduta delle stirpi umane dal paradiso dell’Età dell’oro; per Protagora, secondo l’omonimo dialogo platonico (Prot. 322 c-d), insieme con la giustizia, dikē, aidốs è la virtù indispensabile per la civile convivenza fra gli uomini e per questo, mediante l’educazione, familiare e sociale, essa deve essere acquisita da tutti. Aidốs è il sentimento della vergogna che si prova per la violazione di una norma condivisa e il cui rispetto costituisce un’attesa sociale largamente diffusa. Chi prova vergogna si cura di esibire un comportamento onorevole, che gli procurerà la pubblica approvazione e gli eviterà le sanzioni e la riprovazione sociale. Zeus, “che sa imperituro consiglio”, vuole infatti che Achille, ottemperando alla norma, acquisisca ‘vanto’, kýdos, e non venga considerato invece un ‘folle’, uno ‘sconsiderato’, un ‘empio’: tale è appunto chi si pone al di fuori, o al di sopra, della norma comune, la legge, e, per ciò stesso, fuori dalla convivenza civile.
Achille è un ‘nobile’, agathós, un membro dell’élite, che gode di ‘onore’, timế, adeguato al suo rango e al suo merito, ma non per questo, sostiene Apollo, gli è permesso di vivere solo secondo i ‘propri’ istinti, desideri, codici, ma deve anche finalizzare la sua condotta alla realizzazione dell’ordine ‘comune’. Nell’invettiva di Apollo sono dunque adombrati due temi, diversi ma convergenti, uno etico, l’altro che possiamo definire politico. Il primo è la nascente convinzione che la civiltà è frutto del dominio della ragione sugli impulsi e le passioni, il secondo è la contestazione, qui ancora aurorale, della hýbris aristocratica che costituisce un grave pericolo per la vita ordinata della comunità.
Featured image, Apollo istruisce le Muse Euterpe e Urania, olio su tela di Pompeo Batoni, ca. 1741, Varsavia, Muzeum Narodowe.
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