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Apologia dell'inquietudine/10

Creato il 27 aprile 2012 da Gianlucaweast @gianlucaweast
Il lettore anonimo mi ha posto un ultimatum: o pubblico o lui smette di mandarmi racconti. Lo ammetto: sono stato un po' incostante negli aggiornamenti dei suoi post. Ho anch'io, anche se potrebbe non sembrare, le mie due o tre cose da fare. Tuttavia, per sdebitarmi, aggiungo, qui di seguito, il commento che egli acclude alla decima puntata del suo ancora lungo racconto. Il lettore anonimo, in sostanza, scrive che questo blog assomiglia a un fan club, in realtà lui utilizza la parola "pollaio". Me lo aveva già segnalato, a suo tempo, un altro lettore e oggi non ricordo se il suo post era stato pubblicato o se, invece, avevo dimenticato di farlo o scelto di non farlo, diplomaticamente, ritenendo il momento prematuro. Il lettore misterioso ha ragione, certo in parte soltanto, ma insomma, una parte è una parte. Condivido quanto mi confida. E preciso che la riflessione riguarda pochi (poche) iscritti (iscritte), ma insomma qualcosa c'è. Riporto il pensiero dello scrittore spontaneo non per guadagnarmi la sua incondizionata simpatia, ma perché a volte ho davvero l'impressione di essere circondato da balie. Un piccolo esercito di badanti. Alle quali piace la mia immagine di uomo immerso dentro le storie dolorose della vita e che non capiscono nulla dell'uomo a cui la vita piace per quello che è, giusta e ingiusta, dolorosa e divertente, buona e cattiva, crudele e generosa. Una infinita contraddizione. E, di fronte a tale spettacolo, il seguito (sparuto, per carità) di chi prende il mio blog per me. Se volessi parlare di me, me ne starei zitto. Qui parlo degli altri. Il senso del tutto è nelle parole scritte. Le sole a cui chiedere conto. Il mio cordiale e affettuoso appello, sostenuto dall'argomentazione dello scrittore occulto, è questo: leggetevi, se vi piace, questo blog. Ma per favore cercate di assomigliare un po' più a Delia. Ironica. Creativa. Forte. Ora la decima puntata.
Delia era lanciata a cento allora sul ghiaccio della propria anima. I battiti del cuore erano lame che lasciavano sfregi profondi sulla superficie fredda e impassibile. L'incontro con A. era stato un disastro. Dieci anni di silenzio radio avevano inquinato le frequenze di una comunicazione auspicata ma impossibile. Aveva bussato allo studio e si era trovata davanti un ometto ingrassato e impaurito. A. aveva gli occhi gonfi come palloncini offerti il sabato a famiglie disperate in cerca di distrazione nei centri commerciali. Muto. Impaurito. Incapace di guardarla negli occhi. Figurarsi nella bocca. Ciao. E addio. Addio davvero. Il dente l'avrebbe sistemato qualcun altro, la guardia medica, la clinica del pronto soccorso dentistico. O se lo sarebbe strappato con le proprie dita, che sentiva capaci di tutto. Delia era lanciata a cento allora sulla superficie levigata del suo cuore. Il ritmo dei polmoni (aria dentro, aria fuori) trasmetteva al suo sistema nervoso energiche frustate da dopo sauna fillandese. Il bar. Il baaaar. Sapeva che sarebbe dovuta tornare da L., per accertarsi che fosse ancora in vita il poveretto. Prima (prima) si sarebbe fatta un goccetto. Gin tonic, niente di che. Quanto basta per darsi la carica. E affrontare L., che la scarica, quella elettrica, se l'era presa un giorno prima. Meritata. Dal primo volt all'ultimo. Delia che apre la porta del bar. Delia che il ritmo del suo cuore scende e si trasforma in un delizioso richiamo per chi lo sa ascoltare. Delia che mette un piede dopo l'altro. Delia che fa un passo dopo l'altro. Delia che si sente addosso gli occhi di tutti, o se non proprio almeno di quelli che meritano. I suoi occhi, lenti come la parabolica di un radar a bassa frequenza, trasformano il locale in terreno di caccia. Si faccia avanti il piu' coraggioso. E sia mooolto prudente. O avventato. Il gesto rapido della mano destra di Delia, proiettata dalla tasca dell'impermeabile leggero verso la fronte, colpisce un ciuffo ribelle ma delizioooooso dei suoi capelli che cedendo alla imperiosa dinamica motoria rivelano la scritta immaginaria ma inequivocabile: io non perdono.  

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