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Apologia della zappa. Quando l’istruzione non è più una virtù

Creato il 24 febbraio 2012 da Cultura Salentina
Apologia della zappa. Quando l’istruzione non è più una virtù

Jean Francois Millet: Uomo con la zappa

Da qualche annetto sono impegnato nel mondo dell’educazione, della formazione e dell’istruzione e ormai, in più di un’occasione, faccio fatica a trattenere considerazioni che possono risultare scomode. “Professore, come va mio figlio a scuola?”. “Con la corriera, signora!”. Giusto per non consigliare a quella povera madre di tenersi il pargolo a casa e fare più figura. Lungi da me il prendermi gioco di ragazzi dal basso quoziente intellettivo o con problemi particolari di apprendimento. Al contrario, proprio chi rientra in queste due categorie, nella maggior parte dei casi, si sforza di più e meriterebbe 10 e lode quantomeno per l’impegno. La serie di alunni che mi fa saltare i nervi è quella in cui sono beatamente spoltronati coloro che, pur avendo tutti i requisiti in regola, pur dotati di una buona intelligenza, gettano i propri talenti naturali alle ortiche.

La Costituzione italiana, all’art. 33 e soprattutto all’art. 34, parla di scuola aperta a tutti e di istruzione inferiore gratuita e obbligatoria da impartirsi per almeno otto anni. Tale lasso di tempo dovrebbe garantire una formazione umana e culturale sufficiente al discente per affrontare le varie situazioni della propria vita futura, fondando sulle solide basi del “sapere elementare” (leggere, scrivere e far di conto) qualsiasi scelta professionale successiva. L’obbligo di frequenza e la gratuità, invece, non riguardano l’istruzione superiore e l’istruzione universitaria. Circa questi ultimi due livelli, infatti, sempre la Costituzione italiana afferma: «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso» (art. 34).

È così introdotto il cosiddetto principio meritocratico, giustamente fondato sul fatto che non tutto è per tutti. Eppure oggi, con risvolti socio-economici devastanti, c’è la corsa degli asini… alla laurea. Non si è nessuno, se non si possiede quel pezzo di carta. Carta straccia, se la si è ottenuta con mezzucci di bassa lega o attraverso scorciatoie! Il guaio è che molti di tali asini arrampicatori ce li troveremo all’apice della classe dirigente, da qui a pochi anni. Pronti a fregiarsi dei vari “dott.” e “prof.”, sono motivo di voltastomaco per chi, come me, ha consumato le natiche sulla sedia a studiare e oggi certo non naviga nell’oro. E non è l’invidia a farmi detestare certa gente, ma l’amara costatazione che di questi tempi il “Sapere” va perdendo il “sapore”, giacché la stessa etimologia (dal verbo latino sapio) suggerisce che l’apprendimento debba avvenire con gusto. E molti dei nostri ragazzi gusto non ne hanno affatto.

Quanto sembrano lontani gli anni ‘50 e ‘60, quelli della giovinezza dei miei genitori! Entrambi di famiglia contadina, a mio padre e mia madre la cultura e il benessere sono costati sudore della fronte. Tra lavoro in campagna e non pochi sacrifici, nel profondo Sud segnato dalla miseria del dopoguerra, si impegnarono alacremente ma con gusto negli studi e si realizzarono secondo i propri talenti. Papà si laureò in Lettere, prestando servizio nella Scuola per un quarantennio. La mamma, che col suo primo stipendio aveva fatto rientrare in Italia suo padre emigrato in Svizzera, è stata insegnante elementare anche lei per quasi quarant’anni. E io sono cresciuto così, tra libri e arnesi, amante della cultura nelle sue più varie espressioni ma ancorato alle cose semplici della vita e al lavoro manuale. Quella cultura e quegli arnesi che mi hanno fatto andare avanti nonostante la crisi.

Così credo che un buon punto di partenza per risollevare l’economia possa essere un’adeguata formazione professionale, che garantisca al Paese una rivitalizzazione della categoria artigiana e contadina. Per non finire a terra, dunque, dobbiamo ritornare alla terra!

A chi insegna – per primo a me – l’invito ad offrire ai ragazzi stimoli per appassionarsi alle varie materie e occasioni quotidiane per amare un Sapere ampio e variegato, mai frammentario o mercenario. Ai genitori e ai ragazzi, d’altra parte, l’invito a puntare all’istruzione più elevata solo se c’è gusto e amore per lo studio… ricordando loro, per dirla con Guareschi, che «è meglio un buon contadino per amore che un cattivo professore per forza».


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