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Approccio al tipico esemplare di emiliano: il dialetto

Creato il 07 giugno 2012 da Ladylindy

Approccio al tipico esemplare di emiliano: il dialetto.

Avviso: post lungo e barboso.

Era nata questa interessantissima discussione, nei commenti dell’ultimo post, riguardo i dialetti (in particolare il marchigiano). A me ‘sta cosa è piaciuta molto, quindi ho deciso di erudirvi un po’ sulla mia amata regione, amata anche di più dopo il recente sisma (sarà finito? Sperèm), in particolare sul dialetto.

Ho deciso di occuparmi solo di quello emiliano, perché quello romagnolo lo sento più raramente e rischierei di dire qualche cavolata (è molto allegro, comunque. Sa di piadina. Mi sentirete spesso paragonare i suoni ai cibi, non so perché ma mi riesce bene.) Se fossimo persone serie e posate, inizieremmo subito e pomposamente dicendo che l’emiliano “appartiene al gruppo gallo-italico delle lingue romanze occidentali: pertanto, come il francese, l’occitano ed il catalano presenta fenomeni fonetici e sintattici innovativi che lo distinguono dall’italiano”.

Ma a nessuno frega del ceppo linguistico. Io vi sto donando un manuale di sopravvivenza con i fondamentali, sintetico e semplice, per parlare proprio come un emiliano d.o.c..

Tralasciamo le influenze dell’emiliano nelle altre regioni, quindi carrarese, pavese, mantovano, casalasco e viadanese che si trovano in Toscana, Lombardia e sconfinano linguisticamente anche nel Veneto. Concentriamoci su tre città in particolare, Bologna, Modena e Ferrara (chiedo scusa alle altre!).

Bologna. La lingua più chic è di certo quella cittadina, ovvero parlata fra le antiche mura che adesso sono i viali di circonvallazione. Ha un che di brioso e impertinente, ma negli ultimi anni ha preso molti suoni dall’italiano vero e proprio (si diceva Bulåggna, quasi con la e al posto della prima a, al tempo dei miei nonni; adesso si sente più Bulagnna). Questo non è accaduto al bolognese montano, che si divide in medio e alto. Quello medio si parla nella zona collinare (ad es. Porretta Terme), quello alto ovviamente in quota (Lizzano in Belvedere, Granaglione…). Per intenderci, fra Porretta e le sue frazioni c’è una grandissima differenza dialettale – figuriamoci fra Bologna City e la montagna. In linea generale, sono più nasali e mantengono le e laddove i bolognesi dicono la a (es. casĕtt, cioè cassetto, in città è casatt). Ancora più difficile è porre dei paletti al bolognese di pianura, che sfocia spessissimo nel modenese o nel ferrarese a seconda della posizione geografica. Posso testimoniare che molte parole sono prestiti dal francese, basta considerare pòmm (mela), che in francese si dice pomme.

Conoscete Andrea Mingardi? Ecco, le sue canzoni sono un esempio di bolognese cittadino.

Approccio al tipico esemplare di emiliano: il dialetto.

Modena. Un dialetto poco conosciuto, e spesso confuso col bolognese da chi non se ne intende (guai! Questo è il miglior modo per farsi guardare male). Anche in questo caso c’è da distinguere fra il modenese cittadino, con suoni gutturali e influenze tedesche a causa della dominazione austriaca, e quello appenninico, parlato per esempio a Zocca, Palagrano, Sestola. Ma a questo punto dobbiamo aprire altre parentesi importantissime, ovvero il carpigiano (parlato anche nella campagna, fino a Novi) e il mirandolese. C’è campanilismo anche qui: il carpigiano, a differenza del modenese puro, ammette un solo suono per la lettera z, ovvero quello che in italiano ha la s in rosa. A Mirandola si parla una lingua differente ancora, diffusa in tutta la bassa modenese (Finale Emilia, San Felice, Camposanto, Medolla, Concordia…) fino ai confini della bassa bolognese (Budrio, Crevalcore, San Giovanni). Quei paesotti, insomma, dove potete ancora mangiare le tigelle senza sentirvi traditori del capoluogo.

Per avere un assaggio del modenese cittadino, dovreste recarvi in quella città il giovedì grasso, e ascoltare i discorsi della seconda famiglia più conosciuta dai modenesi dopo quella del Vangelo. Sto parlando di Sandrone, Sgorghiguelo e la Pulonia, ovvero la famiglia Pavironica, maschere carnevalesche dei geminiani. Notate che il discorso lo sanno a memoria.

Approccio al tipico esemplare di emiliano: il dialetto.

Ferrara. Arrivo al mio tasto dolente, perché il ferrarese è veramente incomprensibile. Vi regalo un paio di esempi, frasi normalissime. Al par sut al parsut (il prosciutto sembra asciutto), A tiè séch bresch (sei secco asciutto, ovvero sei magro come uno stecco), poi il classico scioglilingua “Ti che at tachi i tachi tacam i me tachi!  Mi che at taca i to tachi? Tacati ti i to tachi!”. Ora provate a dirlo velocemente, e sappiate che ha un senso logico. La cosa più bella e buffa della pronuncia ferrarese è la l, che ricorda molto quella russa.

Il lessico fondamentale dei veri emiliani

Riporto qui di seguito le poche paroline che vi apriranno ogni porta (emiliana).

Nei nostri dialetti, la negazione non si dice con il non, bensì con la magica parolina brisa. Perché noi siamo speciali. Ad esempio: non c’è pane = an ghè brisa pan. Poi, a seconda che vi troviate in una delle città sopraelencate, la pronuncia cambia.

Soccmèl. Potrebbe essere l’inno dei bolognesi. La traduzione in italiano è volgarissima, ci arrivate da soli, ma in dialetto ha ormai perso ogni sfumatura scabrosa e si usa per ogni occasione. “Ho vinto un miliardo di euro” “Soccmèl!”. “Mi si è rotta la macchina” “Soccmèl che sfiga” e via soccmellando.

Maiàl. Versione ferrarese del soccmèl, ma di solito si è più portati ad usarla in contesti negativi, come parola liberatoria. Ovviamente ha sfumature di significato molto suine.

Ninet / Ninèta. Anche qui siamo nel campo suino, perché siamo emiliani e ci piace. Questi termini modenesi indicano sia l’animale vero e proprio, sia una persona unanimamente ritenuta di facili costumi.

Scevd (o scevàd). Il peggiore insulto che possiate mai dedicare ad un piatto emiliano, ovvero insipido, o in senso lato insapore.

Arzdòra (o arzdoura). La tipica massaia emiliana, che prepara la sfoglia, i tortellini, la casa. Donna dedicata alla famiglia e alla vita quotidiana, colei che vi lancerà i mattarelli in testa se le direte che i suoi piatti sono scevdi (vedi).

Giaz. Letteralmente sarebbe il ghiaccio, ma si usa per indicare gravi ristrettezze economiche.

E ora potete venire da noi, e farete un figurone.


Filed under: Dato che a scuola ci vado pure io...


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