Un paio di anni fa lavorava qui un ragazzo, che in altri tempi avresti definito un signore, vista l’età, che non mi sarei stupito un giorno veder entrare in ufficio imbracciando uno Savage-Springfield a pompa e fare una strage. Cioè, non mi sarei stupito dopo, perché probabilmente non sarei sopravvissuto nemmeno io. Questo perché aveva tutta una serie di hobby e interessi, diciamo così, che comunemente vengono associati a pratiche violente. E sapete, la saggezza popolare a volte non va distante dalla realtà, anche se l’intelligenza che ci ha concesso di evolverci dovrebbe consentirci di frenare gli istinti, trattenere la pancia, non generalizzare e non giungere a conclusioni affrettate. Il ragazzo che lavorava qui ascoltava musica metal, passava ore a giocare ai giochi elettronici, votava un partito di destra ed era particolarmente incline a farsi prendere dal fascino della tecnologia. Forse leggeva anche Tolkien ma su questo non ne sono sicuro. Tutti sospetti che non sono certo nati oggi. I giochi elettronici sono stati posizionati nei bar sin dai primissimi anni 80, il metal intamarrisce i nostri usi e costumi ormai da qualche decennio, sui movimenti nazifascisti sappiamo tutti come è andata la storia, la tecnologia è un diversivo nerd al sesso puberale fai da te sin dai tempi delle radioline smontate e rimontate in cantina di nascosto dai genitori. Prima di tutto questo i ragazzini sfogavano gli impulsi repressi colpendo con la fionda i piccioni per strada, il che se ci pensate non è molto diverso, forse solo un po’ più primitivo.
Ma tutto questo, ed è lì che voglio arrivare e questa volta l’ho presa addirittura più alla lontana del mio solito, ora ha un denominatore comune che è proprio quello che avete davanti. Non il mio blog, ma lo strumento che vi consente di leggerlo. L’Internet, che è come un infinito videogame, non ha solo messo in evidenza la componente ciarlatana e cazzona che è dentro di tutti noi. Non a caso i socialcosi e molti degli spazi virtuali a cui abbiamo accesso con sempre più dispositivi pullulano di eterni adolescenti che, a furia di azioni di insert coin e press player one applicate a ogni ambiente più o meno temporaneamente occupato, demandano a una espansione deresponsabilizzata del sé tutto l’irrisolto e l’irrisolvibile delle proprie esistenze in carne e ossa. Un fattore che ci fa sembrare indispensabile il bisogno a consumo di digitalizzare sempre più aspetti e momenti della nostra vita per stringerci armoniosamente con questa dimensione che conserva ancora tutto il fascino dei nuovi mondi inesplorati. Prova ne è il fatto che mentre mettevo giù questi appunti a penna su una vecchia agenda promossa a ruolo di diario segreto, mi aspettavo di veder sottolinearsi in rosso le parole scritte erroneamente, con il correttore automatico di Word.
Tutto ciò genera alcuni comportamenti di larga diffusione favoriti soprattutto da quel fenomeno altrove definito come consumerizzazione dei commutatori analogico – digitale. Entro in un luogo e posso essere posizionato da coordinate geografiche. Ascolto una canzone di cui ignoro l’autore e consulto un database di rappresentazioni grafiche di forme d’onda per cercare quella che vi somiglia di più, una volta campionata, per soddisfare all’istante la mia sete di curiosità. Insomma avete capito a cosa mi riferisco. Il passo successivo è condividere queste informazioni con altre persone così, per fare comunella. Questo per dire che anche in questo caso l’Internet ha portato a un estremo, la cui estremità ovviamente è soggettiva come qualsiasi altro comportamento, che è lo sfruttamento di un mercato che sta cercando di raschiare il barile creando bisogni in ogni spazio disponibile. Leggevo per esempio questo reportage su una cosa semplice e naturale come l’attività fisica, che in alcuni casi sembra non poter più esimersi dall’utilizzo di strumenti di supporto come il sistema che traccia il percorso che fai, quello che ti sceglie la musica a seconda della velocità che devi tenere eccetera eccetera. L’unica fortuna in tutto ciò è che l’insieme di queste utility può essere contenuto in un telefono portatile, altrimenti noto come smartcoso. Tutti i dati salvati poi possono essere condivisi per far sapere che da qualche parte, nell’infinito videogame di cui sopra, ci siamo anche noi e siamo addirittura così prestanti da portare a termine delle prodezze atletiche. Ed è proprio l’esasperazione che mi mette a disagio. Così mi è venuta in mente l’idea di sviluppare una app che misuri in automatico le dimensioni dei pesci pescati, per confrontarle con gli amici. Un posto nell’Internet dove dici che hai preso un pesce grosso così. Ma probabilmente esiste già.