Battambang, 27 agosto
La prima cosa che ti succede appena entri nella "Crocodile farm" di Battambang è che ti mettano in mano un piccolo grosso lucertolone che dicono essere appena nato. I movimenti, in effetti, sono lenti e sgraziati, la vista è prossima allo zero e scuotendolo un po' ne esce un rumore gutturale simile a un singhiozzo. Visto così non fa paura a nessuno. Le squame, però, passandoci i polpastrelli delle dita, sono come te le immagini, l'esatta metà tra duro e viscido. Un po' come stringere le mani a Ignazio La Russa, per intenderci.
L'ingresso in questo luogo a dir poco controverso, a malapena edulcorato dal nome che manda alla mente gite domenicali al Parco delle Cornelle, costa ben 2 dollari. Ci accompagna Myha, una ragazza sui trent'anni con due figli a carico che oziano sul pavimento della casa di legno poco distante. Se la ridono quando avvicino il coccodrillo alla faccia per fare una foto.Myha gestisce questo allevamento per conto di un proprietario cambogiano ("molto molto ricco") che ha deciso di arrotondare aprendo le porte delle gabbie ai turisti. Metaforicamente, si intende. Ha la fossetta nelle guance, i capelli raccolti e le maniche arrotolate di chi lavora tutto il giorno. Non sembra il tipo di persona che si renda complice di cose terribili.400 coccodrilli in tutto, perlopiu stancamente ammassati l'uno sull'altro tra qualche sporadico sbadiglio, movimenti lenti e calcolati di chi il sangue ce l'ha freddo sul serio e tuffi improvvisi in una piscina putrida dove possono a malapena nuotare. Quelli della lega anti vivisezione non sarebbero molto contenti, anche se organizzare una spedizione notturna per liberare gli animali in questione potrebbe non essere l'idea del secolo. I denti, visti da vicino, fanno davvero impressione. Come in un documentario del National Geographic, non si fatica a credere che possano aprire in due un mammifero di media taglia senza troppa fatica.
Questi grossi rettili nascono, crescono, si riproducono dentro queste mura al solo scopo di diventare borsette, cinture e mocassini di cattivo gusto, perlopiù destinati al mercato cinese. Non che sia illegale ("perché mai?"), ma comunque in Cambogia non viene prodotto niente di tutto ciò. Gli animali vengono venduti vivi, come i barboncini al negozi di animali di fianco ai centri commerciali. 28 dollari quelli appena nati, lunghi appena qualche centimetro, e fino a 600-700 dollari per i più grandi, a volte ventenni e con 4 metri di lunghezza, coda inclusa. Quando arriva un ordine il marito di Myha con altre 7 persone si cala con dei bastoni nella vasca e in qualche modo catturano la preda. Dall'alto della passerella in cemento che guarda sulle vasche da più di un metro e mezzo d'altezza senbra pura follia. Non ne è mai scappato uno, perlomeno non uno grande. Le donne si riconoscono perché sono più piccole.
I coccodrilli, a quanto pare, mangiano parecchio. O almeno vorrebbero. Gli animali, infatti, tendono a diventare irrequieti per la fame intorno al quinto-sesto giorno di digiuno. Prima che si sbranino a vicenda rovinandosi la preziosa pelle, all'alba del settimo giorno una tonnellata di ratti, serpenti e pesce viene gettata nelle vasche in un rumoroso banchetto domenicale.
Le foto sono venute bene, le borse lo saranno altrettanto. Prima di andare osservo per un po' gli occhi inespressivi di questi animali, con quella strana è ipnotica fessura verticale nel mezzo del verde dell'iride. Non comunicano niente, nemmeno apatia. Del resto anche la canzone è chiara in merito: "il coccodrillo come fa, non c'è nessuno che lo sa".
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