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Tra i film d’inchiesta che affollano il cinema americano contemporaneo, “Il caso Spotlight” rappresenta un’eccezione non solo per come tratta la materia sul piano tematico ma anche per come questo discorso trasli verso le modalità della messinscena.
A cominciare dalla dinamicità del montaggio, questa a propria volta favorita anche dalla minuzia con cui sono stati stati curati gli eventuali movimenti della m.d.p., McCarthy riesce a mettere insieme un complesso visivo tutt’altro che scontato – si noti, ad esempio, i personaggi impegnati nell’inchiesta quasi sempre raggruppati nella stessa inquadratura, mentre nei dialoghi con gli antagonisti la regia torna a naturalizzarsi con inquadrature di quinta montate col classico campo/contro-campo.
A rendere efficace la resa visiva in ultimo – da non sottovalutare, a tal proposito, il lavoro del reparto fotografico, con una luce mai troppo anonima né troppo invadente – va sottolineata l’eccezionalità dello script che, oltre a dare sostegno ritmico all’intero impianto, grazie all’accurata caratterizzazione dei personaggi permette anche agli attori di contribuire non poco alla riuscita degli intenti del regista, su tutti uno straordinario Mark Ruffalo. Antonio Romagnoli
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