3 luglio 2013 Lascia un commento
Lo vidi al cinema alla sua uscita e da allora non mi ha piu’ lasciato.
A quel tempo non potevo capirlo appieno e’ chiaro, certo non colsi le valenze junghiane e le mille altre chiavi di lettura, fermandomi all’azione e poco altro ma l’impronta che lascio’ in me fu indelebile e potente.
Trovai la conclusione noiosissima figuriamoci e viene da se’ che oggi le mie preferenze siano totalmente ribaltate ma tutto quanto accresce il legame che ho col film dal momento in cui sa offrirmi nuovi punti di vista sempre diversi e come per i personaggi, ad ogni visione e’ uno scendere sempre piu’ in fondo nel cuore della tenebra. Scovo questo volumetto in prima edizione del 1980 e non me la perdo, per approfondire ma soprattutto per penetrare ancora piu’ a fondo nella genesi e nella realizzazione del film.
Non ho mai creduto in "Apocalypse now" come apologia contro la guerra, tantomeno contro la guerra del Vietnam e se l’idea e’ narrare un viaggio, questo puo’ compiersi solamente nell”anima dell’uomo. La cronaca di Eleanor Coppola lo conferma e lo sottolinea, laddove emerge forte il transfert psicologico del marito all’interno del suo film o dovrei dire dei suoi film.
Per Francis Coppola, ogni pellicola e’ un tentativo di risposta alle domande o ai dubbi che lo assalgono, come individuo e come artista e il percorso nella jungla sino all’incontro decisivo con Kurtz, altro non e’ che una seduta psicoanalitica le cui sorti sono legate a filo doppio con la riuscita del film.
E’ lampante come egli sia Willard e Kurtz tutto il film e il finale che non vuole compiersi, si stempera nel sacrificio crudele ma necessario del colonnello, la cui follia e’ metafora delle difficolta’ nel realizzare un’opera cosi’ complessa.
Non e’ un meccanismo nuovo. Fellini uso’ "8 e 1/2" per via di fuga ma soprattutto penso ad Herzog e "Fitzcarraldo" e come ad un certo punto, far scollinare un battello smise di essere finzione per trasformarsi in ragione di vita, quella "conquista dell’inutile" che ci separa dall’idea di uomo dal suo realizzarsi.
Per Coppola come Herzog, il fallimento divenne una resa inaccettabile ma c’e’ qualcosa che e’ oltre il film, l’insuccesso o la carriera, c’e’ l’affermazione come individuo, come uomo che resta tale fintanto si conserva piu” forte delle proprie paure e delle proprie insicurezze.
Oltre l’aneddoto quindi, oltre la narrazione, oltre la curiosita’, questo e’ l’aspetto piu’ importante del diario di Eleanor Coppola, l’idea potente di fare arte di se stessi. E’ vero che verso la fine, il diario assume tinte molto personali legate alle difficolta’ di convivenza col regista, con le sue idiosincrasie e i suoi tradimenti, il tormento di un uomo che ad un certo punto vorrebbe fermare la macchina troppo grande per lui ma oramai inarrestabile.
Il libro non e’ propriamente un diario di produzione ma le informazioni sono tante e l’approccio piu’ umano che tecnico, traccia una nuova linea di lettura che maggiormente si avvicina al senso profondo del film come narrazione.
Ricordiamo inoltre che parallelamente al diario la moglie ha girato un dietro le quinte uscito poi col titolo di "Viaggio all’inferno", compendio visivo del testo ma conoscere il film e’ gia’ piu’ che sufficiente, pensando magari alla versione "redux"