"Il silenzio originariamente si chiamava Timoka. Avvenne per pura combinazione. Vidi la parola su un libro estone, senza sapere cosa significasse. pensavo che fosse un bel nome per una città straniera. La parola significa: appartenente al boia”.
(Ingmar Bergman, dal suo libro-diario Immagini)
SINOSSI
In uno scompartimento ferroviario viaggiano, di ritorno in patria, dopo un viaggio di villeggiatura all'estero, due sorelle: Ester ed Anna, e il figlio di questa (ovviamente nipote della prima).
Il caldo è soffocante e procura un malore ad Anna, già gravemente malata.
Si rende urgente la discesa dal treno alla prima stazione e una sosta in un albergo della città di Timoka, dove si parla una lingua incomprensibile, anche per Anna che è una traduttrice.
Lasciata Ester ed il figlio in albergo, Anna si reca in un locale dove in un angolo vede due persone che fanno sesso pubblicamente e in modo disibinito.
Ne è eccitata e si offre al barista.
Quando il figlio di Anna, Johan rivela ad Ester che ha visto la madre baciarsi col cameriere, Ester ha un crollo.
Anna decide di proseguire il viaggio, abbandonando la sorella alla malattia e, forse, alla morte.
Nelle mani di Johan appare una lettera della zia nella quale c'è scritto: “Per Johan”.
E il bambino vi legge la parola sconosciuta: “Hadjek”.
Che vuol dire anima, parola ricorrente nella filmografia di Bergman.
Terzo film della cd. “Trilogia religiosa” (o “di Dio”, o “del silenzio di Dio”).
Dopo “Come in uno specchio” e “Luci d'inverno”.
Lo stesso Ingmar Bergman, che era solito suggerire l'analisi singolare dei suoi film, sembrò invece, accomunare questi tre nella classificazione che segue.
"Questi film trattano di una riduzione:
- Come in uno specchio: (rappresenta, ndr) una certezza conquistata;
- Luci d'inverno: (rapppresenta, ndr) una certezza messa a nudo;
- Il silenzio (che doveva chiamarsi “il silenzio di Dio”, ma il titolo fu considerato dallo stesso autore: ...“impossibile per un film”): (rappresenta, ndr) la copia in negativo. Perciò (i tre film, ndr) formano una trilogia”.
Il Maestro si smenti alcuni anni dopo. Disse che l'idea della Trilogia era una "Schnapps-idee" ..."come dicono i Bavaresi". Aggiungendo in Conversazione con Inmgar Bergman di O.Assayas e Stig Bjorkman che quella era solo ....un'invenzione per compiacere certi giornalisti.
Molteplici, come sempre quando ci si appresta ad analizzare un'opera del Maestro, gli spunti di riflessione offerti dal film.
Quella che io personalmente prediligo è la chiave autobiografica.
Bergman, come accade spesso con (quasi tutte) le sue opere si appresta ad una vera seduta di auto-psico-analisi.
Le due protagoniste del film Anna ed Ester (interpretate rispettivamente da Gunnel Lindblom ed Ingrid Thulin) incarnano due diversi tipi di donna; due caratteri contrapposti che potrebbero essere contenuti in un'unica figura femminile.
Anna è la donna sensuale, corporale, fisica.
Ester è la donna lucida mentalmente ed intellettualmente, che domina i suoi istinti, ma è malata, sofferente, cagionevole.
I caratteri contrapposti delle due donne, sembrano confluire nella personalità del regista.
A loro volta incarnano il femminino del maestro: lucido ma sofferente; psicologicamente vivo ma fisicamente provato; intollerante dell'autorità ma eticamente saldo.
E, come al solito, trattandosi di un'opera di Bergman, il film fu accolto all'epoca della prima uscita da pareri alternanti e critiche contrastanti.
Chi gridò fin da subito al capolavoro, apprezzando ed elogiando lo stile potente, rigido, austero, rigoroso del racconto.
Chi gridò allo scandalo, per via di alcune scene molto audaci per gli standard dell'epoca.
Ed in effetti il film incontrò seri problemi sulla stada dell'ottenimento dei visti della commissione censura.
Chi lo accolse con delusione.
Perchè si aspettava che Bergman avesse fornito un passo avanti nella ricerca di Dio ma, invece, dovette ricredersi.
Avevo solo fornito un passo avanti nella incomunicabilità umana.
Chi lo stroncò additandone degli “eccessi espressivi” e stigmatizzandone gli “urli espressionisti”.
Come li definì, aperttamente, Mario Verdone.
In realtà Bergman sembra affermare, attraverso i dialoghi del film che chi si allontana da Dio, chi abbandona la fede, chi perde i suoi valori spirituali si abbandona al vizio, al peccato e all'egoismo.
Ma non si può certo affermare che faccia, né tantomeno che voglia farlo lungo, un discorso su Dio.
In effetti, Dio è citato, direttamente o indirettamente, solo tre volte.
- Quando Ester ricorda con un monologo la morte del padre. “Ora è l'eternità” le disse l'uomo guardandola negli occhi.
- Nella preghiera di Ester: “Mio Dio fate che arrivi a casa prima di morire”.
- Con la parola Hadjek (anima) che il bambino Johan legge sull'appunto datogli dalla zia Ester, prima che lui e la madre ripartano.
Timoka è la metafora del Mondo.
Il suo mistero e la sua incomprensibilità.
E' la proiezione fisica di un posto popolato da una umanità avvilita, che non può o non vole comunicare, ed è avviato all'isolamento e alla guerra, come unica soluzione delle controversie.
Di qui i nemmeno tanto allusi riferimenti agli strumenti bellici.Di qui anche l'uso di una lingua incomprensibile.
Che prelude alla negazione del rapporto dialogico.
E, che, paradossalmente, non può essere capita nemmeno dalla donna, Anna, che professionalmente fa l'interprete.
E così ci troviamo davanti al solito, ricorrente paradosso di Bergman della professionalità irrisa e derisa.
Altro esempio, dopo quello, ben più esplicirto, riscontrato ne “Il volto”.Dove il dottor Vergerus (interpretato da Erland Josephson) viene irriso e deriso dal Mago Emanuel Vogler (interpretato da max von Sidow).
L'dea di una città misteriosa e sconosciuta, dove si parla una lingua incomprensibile deriva a Bergman da una raccolta di racconti dello scrittore Sigfried Siwertz, letti da bambino.
Si chiamava “Il circolo” del 1097; mentre il racconto ispiratore si titolava “La tenebrosa dea della vittoria”.
Ma anche Stoccolma, vista da Bergman con occhi da bambino contiene molti spunti curiosi sui quali si fonda l'immagine e la costruzione della città di Timoka.
Lo stesso Maestro racconta nel suo libro-diario Immagini quando da bambino passeggiava nel quartiere di Birger-Jarl, dove si aprivano sulla strada tanti curiosi negozietti nelle cui vetrine si divertiva a cogliere espliciti o nascosti riferimenti erotici: protesi; busti; pompette uterine e stampati vagamente pornografici.
“Nel silenzio io e Sven (Nyquist, direttore della fotografia, ndr) avevamo deciso di essere spudoratamente impudichi. Là c'era una lussuria cinematografica che ricordo con gioia. Era semplicemente divertente, in modo pazzesco, fare Il silenzio. Inoltre le attrici erano dotate, disciplinate e quasi sempre di buon umore. Che il silenzio, in certo qual senso, sia diventato la loro disgrazia, questa è un'altra storia. Il film fece sì che i loro nomi divenissero internazionalmente noti. E l'estero, come al solito, si degnò di fraintendere la peculiarità del loro talento".
(I.Bergman dal suo libro-diario Immagini)
Curiosità
1) Lo stile dell'immagine in Il silenzio, in Come in uno specchio e in Luci d'inverno è austero, per non dire casto.
I movimenti di macchina pochi, corti, essenziali.
Tipici di un certo stile di cinema da camera bergmaniano.
Un agente di distribuzione americano un giorno domandò al Maestro, con voce disperata:
"Ingmar, why don't you move your camera anymore?”
2) Un commento autentico del regista sul suo film a distanza di qualche tempo:
"Quando oggi rivedo Il silenzio, devo ammettere che in qualche parte risente di una certa letterarietà ... Per il resto non ho alcuna recriminazione da fare” (I. Bergman).
SMR