Debito il tempo è la seconda raccolta di Valeria Raimondi e fin dalle prire righe, noto che la sua scrittura ha un passo diverso dalla precedente raccolta, dove la parola era una sorta di diario poetico con il bisogno fortissimo di scavarsi a fondo per far parlare la parte più profonda e rimasta nascosta ai più.
Qui il tempo è un collante – bisogno.
Il tempo che gira lento e a volte furioso.
Quel tempo che prende forma nelle parole, nel desiderio di renderlo anche infinito.
Nella silloge, il tempo diventa luogo da abitare, qualcosa che si tocca e si respira.
E l’attesa diventa anche pazienza.
E’ profodna questa scrittura, regala memorie che arrivano dritte nei punti nevralgici del corpo, arriva a toccare ogni respiro e s’intreccia al tempo che inesorabile scorre.
Ha in qualche modo mutato pelle, sempre profonda ma diversa, ottima prova.
***
Alcuni testi dalla silloge:
questo tempo promette nell’incontro quel che
l’altro nega con mirabile misura;
la clessidra arresta la discesa di un granello
sempre uguale nella sabbia che trascina;
è un tempo strano, va con ali
che nessun fruscio sollevano;
si adagia calmo il pensiero sulla coltre delle ore
plasma il destino, quello stretto tra le pieghe
*
poggia tutto qui l’antico male
assorbe il dolore che raggruma
e deforma il profilo del paesaggio
il ricordo che rovescia e frantuma
avanbza sui carboni ardenti
la vita che ci resta:
è una reliquia un indice puntato
sono resti di una cenere dispersa
c’è già tutto domani in questo oggi
un tempo che non medica o lenisce
e un’illusione ottica a ritroso rigetta
dentro ieri le radici
*
solo adesso che passa il temporale
solo adesso il fulmine arriva
e non si sente neppure da qui
la parola nel boato del tuono
proprio adesso che si scrive
da una periferia bagnata
che cadono stelle e stracci
si fa algido il fuoco nel camino
brucia l’alcolsceso in gola
a stemperare il naufragio
solo adesso il male dentro risale
sottopelle come un dubbio sottile:
che mai più saremo felici
e se anche cambia il tempo
e se anche vanno gli anni
è così che non c’è scampo
ci si accampa in una vita
già scaduta tra le dita
*
e se ti spio nel varco
di un’estasi sconosciuta
dalla fessura che crepita,
nel “dopo” pallido, bagnato:
so di possedere meno di un cuore
più di un corpo che si è fatto riabitato
un bagliore divino trapela dalle platiche
pieghe mentre “pose” si fanno
ma già nella prospettiva sfocata
svapora l’intento, cementa la piaga
*
ti cerco verso l’ora del tramonto
quando l’ultimo raggio duole al cuore
e si fa opaco lo sguardo dentro l’ombra
la polvere degli anni è scorza dura,
è marmo trattenuto alla carezza
sono dita che non chiedono di toccare
forse cercarti asseconda quel disegno
già nato vecchio, segnato dal destino
o da un costoso pegno alla pazienza
*
tocco il mondo con dita sporche di vita
intinte nell’inchiostro delle cose
incrostate di piaceri scritti tra le righe
poi lo sciacquo in lavaggi solitari
o nelle strette di un’avara umanità
mi pare di tenere il cuore tra le mani
quando i palmi si chiudono nei loro
ma se lo sguardo si fa aspro tutto cambia
e mi pare di aver dita da tortura
fatte vili come in atto di giudizio
inesperte nella forma dell’incontro
rami secchi già rimessi al proprio inverno