In origine furono rappresentanti, poi divennero impiegati, oggi sono salumieri. I rappresentanti appartenevano ad un’èlite sociale, gli impiegati erano iscritti al partito, i salumieri fanno parte della casta. Ritorno, in questa era del governo Monti che ha mandato in soffitta il Berlusconismo e l’Antiberlusconismo, sul tema della Salumeria del Parlamento perché ho letto un articolo del 1956 che Piero Calamadrei pubblicò sulla rivista “Critica sociale” e che ora si può rileggere nel libro “Lo Stato siamo noi” edito da Ciarelettere. Un “pezzo” chiaro e perciò illuminante sul “professionismo parlamenatare” che oggi, con veline, escort e accatastati vari, ha raggiunto vertici di “professionalità” inimmaginabili anche dal previdente fondatore del mensile “Il Ponte”.
Un tempo – un secolo fa - le Camere si riunivano di rado e i parlamentari non erano dei professionisti del Parlamento: avevano un loro lavoro, una professione, interrompevano l’attività e svolgevano il loro servizio pubblico per poi tornare a casa e vivere del loro lavoro o di rendita. La carica parlamentare era un di più, un prestigio senz’altro, perfino un interesse, ma non era un impiego o un mestiere: l’indennità parlamentare non era stata ancora inventata e il politicante professionale era visto come un affarista spregevole. Naturalmente, era quello un altro mondo e il mandato parlamentare quasi un privilegio. Ragion per cui l’indennità parlamentare, quando nascerà, sarà il segno di un cambiamento dei tempi, oltre che di una conquista democratica. E con l’avvento della stagione della democrazia ecco che il Parlamento dilata i suoi tempi e allarga i suoi interessi: in modo tale che i deputati che avevano una professione, dalla quale traevano il pane per vivere e dare da campare alla famiglia, si trasformano in deputati a tempo pieno e il pane per sé e per la famiglia è il frutto dell’impiego parlamentare e partitico. Il senatore e il deputato diventano in poco tempo “funzionari stipendiati”. Piero Calamandrei, prevedendo dove si sarebbe andati a finire, scriveva cose che oggi muovono al sorriso: “Bisognerà arrivare a inibirgli il cumulo coll’esercizio di ogni altra attività retributiva, professionale o impiegatizia, come si vieta agli impiegati dello Stato, la cui attività dev’essere interamente dedicata alla loro funzione, dalla quale essi legittimamente ritraggono quanto basta per vivere”.
Il tempo dei funzionari di partito, degli attivisti, degli impiegati, dei “quadri”, dei burocrati e di tutta quella grande attività a metà strada tra Stato e Partito ha completamente trasformato la figura e la funzione del rappresentante del popolo. Lo dico senza alcun moralismo ma prestando attenzione al fenomeno storico e politico. Calamandrei, infatti, nel 1956 – dico: 1956 - scriveva che “chiamare i deputati e i senatori i ‘rappresentanti del popolo’ non vuol più dire oggi quello che con questa frase si voleva dire in altri tempi: si dovrebbero piuttosto chiamare impiegati del loro partito”. Il Partito nella democrazia che abbiamo conosciuto – e per la quale a volte si sente in giro una ingiustificata nostalgia - dominava su tutto, al punto che Calamandrei, che scriveva quando scriveva – che anno quel Cinquantaesi! - poteva già dire che “la elezione dipende dalla scelta dei candidati: la quale è fatta non dagli elettori, ma dai funzionari di partito”. Aggiungeva: “E i candidati, più che per meriti personali di specifica competenza professionale, sono scelti per le loro attitudini a diventare buoni funzionari del loro partito in Parlamento”.
Il passaggio dal “rappresentante” all’ “impiegato” ha un valore non solo morale – ma sono mondi diversi - ma tecnico: il rappresentante era pur sempre un uomo che sapeva questo e quell’altro della sua professione e in quel settore portava il suo contributo; con l’impiegato le cose cambiano, tanto che Calamadrei scrive che “oggi – l’oggi è il 56, preciso - chi voglia continuare a coltivare gli studi bisogna che rinunci a ogni incarico parlamentare: e chi viceversa vuol dedicarsi alla professione parlamentare, bisogna che si contenti di addestrarsi in una tecnica politica di carattere pratico e superficiale, che forse non si può neanche chiamare cultura, ma soltanto abilità”.
Ciò che Piero Calamandrei non poteva prevedere era l’ulteriore involuzione della originaria figura e funzione del “rappresentante del popolo”: il salumiere e la velina. Se l’impiegato si dedica al partito e trae il sostentamento dal lavoro che svolge per il partito, il salumiere e la velina si dedicano alla Casta o al leader da cui dipende interamente la loro rielezione e la speranza di continuare ad avere uno stipendio, una ottima pensione, privilegi e benefit vari. Anzi, per dare a Calamandrei ciò che è di Calamandrei, bisogna aggiungere che per certi versi aveva previsto anche questo quando notava che “le degenerazioni prodotte dal ‘culto della personalità’, che nei sistemi totalitari possono assumere gli aspetti terrorizzanti di cui oggi abbiamo un esempio nel regime sovietico, si infiltrano in forme attenuate ma forse più diffuse anche nel sistema parlamentare, tradotte dal linguaggio della tragedia in quello della commedia e magari della farsa”. La tragedia, per fortuna, ci è stata risparmiata ma di commedia e farsa ce ne siamo fatti una pancia. La Casta è un fenomeno tipico della Seconda repubblica che ebbe inizio, per un’ironia della Storia, con l’idea della fine del “professionismo politico” o parlamentare, e ha continuato invece con la creazione della Casta che è un’ulteriore degenerazione della figura dell’impiegato di partito. Una commedia, appunto. L’ultima commedia è stata quella delle elezioni anticipate: invocate sono state evitate non solo perché il presidente della Repubblica ha svolto un ottimo lavoro mettendo in sella il governo Monti ma anche perché salumieri e veline si sono rapidamente “rassegnati” ad andare avanti fino al 2013 con la sicurezza così di portare a casa la pensione se non la rielezione.