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Aprosdoketon

Da Shappare
Seduti a tavola, a guardare nel piatto la pasta che ho appena cucinato e a riflettere sull’evidenza sempre più prepotente che non si ha nulla in comune.
“Siamo juventini, non siamo molto alti e siamo sportivi”; il silenzio che consegue a questo nulla.
E non è per la Lombardia e la Calabria più profonda, non è il dicembre 1986 contro al maggio 1988, la musica da discoteca mentre faccio ripetizioni di latino.
Non è che ci piace mangiare ma io con il cibo ho un brutto rapporto, né l’amore per il Sud dovuto a motivi diversi né che io non sappia una parola del mio dialetto, al contrario di te con il tuo.
E’ un po’ che sbuffi ogni volta che parlo di politica e quando compro il giornale, quando ascolto Guccini o De Andrè, quando contesto la tua stima incondizionata nelle forze armate, è che io mi sento ancora e sempre dall’altra parte della barricata.
E’ che credi davvero che tua madre non sia testarda e che a casa tua decida tuo padre.
Non è perché a ventidue anni sei certo di avere una risposta su tutto perché sei cresciuto nella periferia di Reggio. E’ perché la tua risposta è sempre all’opposto della mia, ma la mia non è da non considerare solo perché sono di Brescia, sono bionda e ho fatto il liceo classico.
E’ perché tu il 31 vai a ballare a Lipari e io gioco a Trivial sul Garda.
E’ perché abbiamo tempi diversi praticamente in tutto.
 
E’ un po’ perché mi spingi a fare quel che ho sempre voluto fare “perché non mi pare che scrivi di merda”, e poi non hai mai letto nemmeno un mio articolo, né mai hai il desiderio di farlo. E’ che mi hai convinta che per fare quel che ho sempre voluto fare ci vogliano i cugni.
 
E’ che nonostante tutto si stia bene, insieme.
E’ che con te è tutto così assurdo che la parola “amore” sembra meno assurda.
 
E’ che “Se io avessi un lavoro e non stessi ancora studiando, ti sposerei subito”.
Smetto di giocherellare con le melanzane nel piatto.
Come, scusa?
Ti sembra strano?
Quantomeno prematuro. Ma poi, ti pare la logica conclusione del discorso che stavamo facendo?
 
Siamo ingenui, caro amore. Lo siamo stati ancor di più in un passato che sembra lontanissimo.
Ma ora ci stiamo risvegliando come questa città si alza dalla nebbia, mentre torno dall’aeroporto. Consapevoli e non tristi.
E’ che la mia armatura l’ho lasciata in un cortile che non so se è il tuo

(e Tu, Tu perdonami, se puoi, di questo pegno senza riscatto).
 
E’ che la nostra (s)fortuna, la grande salvezza, è la pigrizia sentimentale, il desiderio di calma emotiva; che perdite, abbandoni e partenze svuotano fino a rendere sterile. E’ l’affetto che copre tutte le differenze democraticamente, come la neve che ha ricominciato a cadere da poco sugli scheletri della mia città.
 

 

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