di Pierluigi Montalbano
Gli scavi di Sant’Imbenia, nei pressi di Alghero, condotti dallo staff di archeologi guidato da Marco Rendeli, ha messo in luce uno spazio collettivo centrale che calamita attorno a sé una serie di ambienti chiusi e spazi aperti, una sorta di intervento urbanistico che si compie nel villaggio. Coinvolge una serie di più antiche abitazioni che vengono abbattute, pesantemente modificate o entrano a far parte di strutture edilizie complesse a più vani. In questa fase si passa da un’edilizia di tipo circolare, generalmente con un unico ambiente, a una complessa nella quale alcune parti di antiche abitazioni sono rimodulate. Parte delle murature diventano rettilinee, gli stipiti degli ingressi sono curati, si realizzano progetti con alternanza di vani chiusi e di ambienti aperti. Nella parte di villaggio scavata è presente una sola capanna circolare, denominata dei ripostigli, anch’essa però profondamente ristrutturata. L’odierno accesso alla capanna a sud, non è quello originario perché una tamponatura sulla parete suggerisce che fosse a nord. Questa trasformazione avviene quando si rialza di un metro la pavimentazione con uno strato di terra che livella la base per il pavimento in lastrine che sarà poi realizzato sopra. Nello strato di livellamento sono venuti alla luce importanti frammenti di materiale greco e fenicio del 900 a.C. (la coppa in fine ware, la coppa a semicerchi pendenti, la coppa a uccelli e la coppa a chevrons).
La ragione per quale si modifica questo ambiente non è casuale, infatti l’apertura più antica dava direttamente sull’andito, a oggi l’unico accesso diretto, in entrata e in uscita, dello spazio aperto collettivo. Dunque, pur se adiacente alla piazza, la capanna dei ripostigli ha una nuova funzione, diventa una struttura viva all’interno del nuovo piano urbanistico.
Dalla pianta si capisce come il progetto abbia come punto centrale lo spazio aperto e come questa parte del villaggio sia stata pesantemente modificata rispetto alle fasi precedenti. Inoltre tutto il complesso è recintato da un muro lungo il quale, nei pressi dell’angolo nord occidentale, si apre un accesso. Quel che si evince dalle indagini svolte fino a oggi da P. Johnson è che l’abitato non si ferma alla zona scavata. Verso nord, infatti, le indagini hanno evidenziato altre strutture, sepolte sotto il campo da calcetto, che giungono fino alla strada che conduce a Capo Caccia e sono interrotte dalla presenza di un canale circolare. Forse il canale è un’opera coeva alla fase di vita dell’abitato, realizzato per bonificare il sito dalla troppa presenza d’acqua. L’insediamento copre un’area di circa 3ettari poiché il nuraghe è probabilmente posto al centro dell’abitato e il canale definisce il limite fisico del sito.
Questo programma urbanistico interessa solo una parte dell’abitato, precisamente il settore più vicino al nuraghe nella sua parte rivolta al territorio piuttosto che verso il mare. La creazione dello spazio aperto collettivo, verosimilmente destinato all’incontro fra il mercato locale e i commercianti che sbarcavano nel golfo di Porto Conte, implica un processo di eliminazione di spazi precedentemente privati a favore della creazione di un’area pubblica. In altre parole, all’interno del villaggio di capanne viene realizzata un’area aperta destinata dalla collettività alle attività di scambio e commercio, sia internazionale sia interno.
La presenza di mercanti che con le loro navi arrivano a Porto Conte suggerì profondi cambiamenti anche nella maniera di concepire la produzione sia all’interno del villaggio, sia nell’area vasta circostante che offriva risorse che rendevano appetibile una sosta. Questa parte della Nurra era nota da tempo ai mercanti mediterranei, soprattutto per le miniere. Rispetto al passato, dal 900 a.C. si assiste a una fase diversa rispetto alle precedenti, con alta partecipazione dei locali e una serie di conseguenze a livello sociale. Il reciproco interesse a sviluppare forme di scambio, comporta da parte dei nuragici una sensibile trasformazione dei modi di produzione, necessaria per rispondere alla domanda dei mercanti. I mutamenti sono visibili in almeno due sfere di azione: quella relativa al materiale metallico semilavorato e lavorato, e quella della produzione di vino. La prima è rafforzata dalla scoperta di un terzo ripostiglio di panelle di rame e di oggetti in bronzo negli ultimi scavi che si aggiunge agli altri due rinvenuti nella capanna dei ripostigli, per un totale di oltre un quintale di materiale metallico riposto in anfore, un vero e proprio tesoretto ad uso del mercato. Inoltre, il recupero di due bronzetti rivenuti al nuraghe Flumenelongu e presso Olmedo, costituiscono una testimonianza di quel fenomeno che rientra nella sfera del dono che si accompagnava alla transazione commerciale. Una vitalità economica che non si ferma solo nel golfo di Porto Conte ma investe una parte del territorio tanto ampia quanto almeno le possibili fonti di approvvigionamento delle risorse metalliche, Argentiera, Calabona, Canaglia. Altri due settori della produzione coinvolgono il centro e il territorio: la produzione vinicola e l’artigianato ceramico a essa connesso. A partire dal 850 a.C. circa, queste due attività sono testimoniate dalla presenza di anfore da trasporto (anfore di Sant’Imbenia), portate alla luce in diverse aree del Mediterraneo centro occidentale. Queste anfore si accompagnano spesso con un contenitore di medio-piccole dimensioni, le brocche askoidi, la cui irradiazione nel Mediterraneo è ampia. Le due forme formano una sorta di set del bere di matrice isolana. Il mondo nuragico segna il passaggio a un modo di produzione che, dalla sussistenza, passa alla realizzazione di cospicue eccedenze che servono a soddisfare la domanda proveniente dai mercanti, compresa la produzione di anfore create per contenere il vino e scambiarlo. Il vino della Nurra meridionale, si attesta nella Spagna meridionale, a Cartagine, in Etruria settentrionale, ponendo l’area algherese in una serie di circuiti commerciali che precedono l’età fenicia sull’isola. I nuragici del Bronzo Finale rispondono con trasformazioni importanti negli assetti organizzativi, economici e sociali interni, mostrando fenomeni propri dell’aristocrazia e che sottintendevano una complessità organizzativa e sociale. Oggi gli scavi testimoniano società complesse, ben strutturate e forti, con un patrimonio simbolico del passato che si riverbera nel presente ed esprimono una spinta propulsiva al cambiamento e alla trasformazione iniziando una lunga stagione di coscienza delle proprie capacità e della propria forza, del controllo dei mezzi e dei prodotti, con forme di organizzazione più complesse e articolate rispetto al passato.
Immagini tratte da http://www.archeologia.beniculturali.it/