Magazine Cultura
di Vitale Scanu
Lo status di isola include già di per sé il concetto di mare, di dover passare il mare per relazionarsi ad altri. Ogni interscambio con altre entità sociali, di qualsiasi genere, avviene ineluttabilmente via mare. Via mare arrivano nell’isola le merci, le idee, le mode, le novità, le religioni, la storia e il progresso. Via mare si esportano i prodotti indigeni, da quelli naturali agli oggetti della manifatturazione…, all’ossidiana. Si devono avere, pertanto, le capacità e i mezzi adeguati per superare la vastità e la forza del mare. Ecco perché i Sardi devono essere stati necessariamente navigatori, e bravi navigatori, secondo quanto ci risulta dalle quasi 400 navicelle nuragiche in bronzo ritrovate. Come infatti la sete insegna l’uso dell’acqua, così l’isolamento insegna la bravura nel navigare.
E’ da sottolineare che “la civiltà” dell’ossidiana precede quella nuragica. L'ossidiana è antecedente al nuraghe, non viceversa. Il nuragico, fino all’apogeo della sua potenza maestosa di Barumini (circa dodicesimo secolo a.C.), è posteriore all’ossidiana. Per questo motivo il villaggio di Brunk’e s’Omu di Bannari (Villa Verde), strettamente relazionato all’ossidiana, secondo me è più primitivo e anteriore, di parecchio, alla reggia nuragica di Barumini. I nuraghi sono successivi e funzionali all’ossidiana, non viceversa, e costituiscono quasi uno status symbol di una "agiatezza" tanto diffusa e conclamata da avere un’eco mitica anche in oriente. Vedi le tante citazioni della Bibbia riguardanti i “re di Tarsis e delle isole” (Quando, il giorno dell’Epifania, sentiamo nella messa: “I re di Tarsis e delle isole porteranno doni” al Messia, sentiamo parlare, secondo gli studiosi, né più né meno che della Sardegna, delle Baleari... e del loro mitico benessere!). A quei tempi, la ricchezza e la potenza delle “Isole agli estremi confini del mare... Dal fiume, fino agli estremi confini della terra (Sal 71,8) ” erano di patrimonio immaginario collettivo e tanto note da non aver bisogno nella letteratura di altre precisazioni particolareggiate con nomi propri. “Il fiume” per antonomasia era l’Eufrate, cosicché l’espressione biblica significa: dall’estremo oriente fino all’estremo occidente.
Siamo nella necessità e, oggi, nelle condizioni, di ripensare e rivalutare con maggiori contenuti scientifici, gli elementi che fanno la preistoria del nostro territorio. Convinciamoci che parlando dell’ossidiana sarda, ci riferiamo sempre e solo al monte Arci, a Pau e a Bannari, che sono stati l’epicentro di questa “civiltà” e «la sede di avvenimenti centrali nella storia dei sardi» (M. Brigaglia in “Storia della Sardegna”). Incredibile, vero? Eppure “«la presenza sul monte Arci di ricchi giacimenti di ossidiana permette non solo di inserire la Sardegna nell’animata vita del Mediterraneo, ma di farne una delle protagoniste… Alla fine del IV, prima metà del III millennio, il Mediterraneo appare attraversato dal complesso intrecciarsi delle rotte commerciali dell’ossidiana, che assegna alla Sardegna un ruolo centrale nell’economia mediterranea… L’ossidiana del monte Arci copre una vasta area che include la Corsica, l’Italia centro-settentrionale, il Midi francese e le coste della penisola iberica» (Brigaglia, o.c.).
Come tutti gli altri popoli storici, anche la gente di su Brunk’e s’Omu, per fare il salto di civiltà, ha dovuto passare il filtro dal bronzo all’aratro: dalla caccia ai selvatici e raccolta dei frutti spontanei, all’agricoltura e all'allevamento del bestiame. Questo passaggio poteva avere, geograficamente, una sola logica direzione obbligata, una sola via di fuga o di espansione: da Brunk’e s’Omu verso la valle di Bannari. A meno che quegli uomini preistorici non si siano tutti estinti lassù, senza lasciare alcuna continuità. Ma se le loro generazioni sono continuate nei secoli e nei millenni successivi, il loro esito finale non può essere che Bannari. Non esistono alternative. Il ritrovamento di qualche elemento organico a su Brunk’e s’Omu (es. un frammento di osso) potrebbe dar ragione della continuità genetica e dell’eredità biologica tra quegli uomini preistorici e i bannaresi di oggi.
L’agricoltura. Ogni società umana, oltre ad addomesticare piante e animali, modifica anche il tempo e lo spazio. I tempi dilatati e non suddivisi in minuti del Medio Evo e dei tempi di Dante, non sono paragonabili certo ai nostri, scanditi dalle lancette dell’orologio. L’uomo addomestica lo spazio trasformando il territorio, costruendo nuraghi, diboscando, aprendo spazi coltivabili, dissodando la terra e cambiando così l'aspetto del paesaggio. In tal modo egli modifica i luoghi che abita; quegli uomini nostri antenati vivevano bene nel loro tempo e sfruttavano a fondo l’ambiente circostante. Pochissimo è mutato nei millenni da quelle primitive modifiche. L'uomo moderno ha inciso in minima parte nella configurazione del nostro territorio. «Quello che vediamo oggi nel paesaggio agrario sardo, discende direttamente dalla preistoria». «Il territorio di dotazione di questo comune – dice su Bannari il Casalis nel suo famoso ‘Dizionario’ - riconoscesi molto adatto ai cereali… Molte sono le sorgenti appellate mizzas dai campidanesi, delle quali la più copiosa è Mizza-e-margiàni, cui sgorga vicina di pochi passi un’altra. E quindi a distanza di 8 minuti comincia a scorrere molto abbondante Sa-mizza-e su-perdiaju, riconosciuta salubre pe’ febbricitanti. Merita, se non per la finezza, certo per la copia, d’essere menzionata la fonte Roia-Melas, la quale, unita alle altre suddette, confluisce col fiume, che questi paesani appellano de sa Mandra».
Immagine di tottusinpari.blog.tiscali.it
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