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Archeologia della devozione popolare salentina: Santini e medagliette

Creato il 10 settembre 2014 da Cultura Salentina

10 settembre 2014 di Redazione

di Riccardo Viganò

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Il rapporto tra archeologia, ricerca storica e devozione popolare è un tema di grande complessità ed ampiezza; una storia che si può “apprendere”  attraverso lo studio di alcuni oggetti con connotati di senso religioso. Ne sono esempio le medagliette devozionali note come li spiragghie o i santini che ben rappresentano  una testimonianza della quotidianità del culto. Tali tracce si possono rinvenire, quasi con quotidiana frequenza, nelle nostre campagne, negli scavi edili o nelle vicinanze di complessi cimiteriali civili ed ecclesiastici, sia post-medioevali che moderni, e addirittura nei cassetti dei nonni.  Queste tracce forniscono l’opportunità di studiare in modo sistematico le credenze, le devozioni e i pellegrinaggi di una comunità ad esse legati.

Le medagliette devozionali cominciarono ad avere una larga diffusione in Italia ed in Europa poco dopo il Concilio di Trento – concluso nel 1563 – e, come noto, le sue disposizioni furono recepite nel territorio salentino con molto ritardo. Per tale motivo anche le medagliette giunsero in quest’area con ritardo rispetto al resto d’Italia.  Esse erano prevalentemente utilizzate come parti terminali dei rosari ai quali erano legate con un applicagnolo e un filo metallico ritorto. In altri casi erano appese direttamente al collo o comunque indossate a contatto diretto con la persona e ciò per il loro valore sacro e per la propria devozione verso l’immagine raffigurata. Molto spesso il legame personale con il santo era tanto forte da arrivare a farsi tumulare con la medaglia che lo raffigurava e che lo stesso defunto aveva tanto venerato durante la sua vita. Questo tipo di utilizzo è attestato fin dai tempi più antichi ed è documentato dall’usura stessa degli oggetti.

Le medagliette rappresentano inoltre un importante indicatore cronologico, specialmente per il periodo moderno, perché alcune immagini dei santi possono concorrere a fissare una datazione di massima del manufatto. Ad esempio alcune medagliette con sant’Ignazio di Loyola, san Francesco Saverio e san Filippo Neri possono farsi risalire, in accordo con altri parametri archeologici, a non prima dell’anno 1622 poiché la loro canonizzazione avvenne proprio in quell’anno. Inoltre il ritrovamento di medaglie in bronzo o in rame con l’immagine di sant’Ignazio di Loyola sono quasi tutte di conio romano e, in particolare,  dimostrano la grande influenza che ebbe nelle regioni meridionali, tra il XVII e XVIII sec., la predicazione gesuitica post-conciliare nonché la sua penetrazione nella devotio popolare del luogo.

Altre medagliette rinvenute in territorio salentino palesano invece la partecipazione a pellegrinaggi di devozione. Indubbiamente tali ritrovamenti in vari contesti salentini sono anche indicativi delle direzioni verso cui si dirigevano i pellegrini. Spesso erano indirizzati verso il nord del Salento e precisamente per Roma o nella zona del Gargano ma non meno ad est con destinazione Otranto oppure ad ovest per il santuario di Santa Maria di Leuca. In particolare, testimonianza dei frequenti pellegrinaggi verso quest’ultima destinazione è una medaglietta rinvenuta all’interno di un muretto a secco in località Tabelle, nei pressi di Galatone (Lecce) che studi archeologici hanno dimostrato essere stato un centro viario importantissimo sin dal Medioevo. Il manufatto rinvenuto che ricorda il pellegrinaggio ad Otranto, inoltre, è datato 1680 e fu realizzato per celebrare il bicentenario dei Martiri idruntini. La presenza nel Salento di decine di pellegrini non pugliesi diretti o di ritorno dai maggiori centri di culto è testimoniata dalle varie documentazioni ecclesiastiche. Da quelli galatonesi, ad esempio, si ricava che il pio ospedale “Santa  Maria della Misericordia” di Galatone dovette dare soccorso al polacco Symeon Lesmisky che qui morì improvvisamente il 13 dicembre 1668. Un secolo dopo, ancora, lo stesso ospedale dovette soccorrere la toscana Maria Sassella che, come il precedente, vi spirò il 16 maggio 1775.

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Nell’ambito della cultura popolare, fortemente influenzata da antichissime pratiche cultuali, medagliette e santini divennero ben presto oggetti apotropaici dal valore benaugurale. Difatti questi erano inseriti tra le pietre utilizzate per la costruzione di case, furnieddhi o pagghiari, o tra le murature dei pozzi in falda o trozze e ciò al fine di allontanare la malasorte dagli operai addetti all’edificazione o all’escavazione di essi. L’uso delle immagini dei santi trovava applicazione anche in altri settori produttivi. San Vito, ad esempio, era esposto nelle stalle a protezione degli animali da tiro e da lavoro, a sant’Antonio Abate, invece, i ceramisti – dei quali era il protettore – affidavano la “conduzione” e la protezione sia della fornace e sia delle ceramiche in essa contenute. L’immagine di Sant’Antonio, difatti, veniva appesa all’ingresso della fornace dopo che era stata stipata del materiale da  cuocere e dopo averla richiusa con mattoni  e sigillata con l’argilla. Il santino, una volta acceso il fuoco nel forno, assumeva anche la funzione di indicatore della raggiunta temperatura di cottura  poiché  in quel momento esso prendeva fuoco. Il fumo prodotto dall’immagine che bruciava realizzava quella sorta di esorcismo voluto dal fornaciaio al fine della buona riuscita della cottura.  Completava questa sorta di rito la recita di un’Ave Maria. Il ceramista dava molta importanza a questa pratica cultuale poiché l’eventuale malriuscita della cottura poteva inficiare non solo l’intera produzione annuale portando una perdita economica ma, molto spesso, anche al fallimento del ceramista, con ovvie conseguenze per tutta la famiglia da egli dipendente, e ciò a causa dell’ampia esposizione debitoria dello stesso verso i suoi fornitori.

Il ritrovamento di oggetti ritenuti superficialmente poco importanti, dunque, se studiati e collocati nell’ambito della storia di una comunità possono essere rivelatori di un passato in cui i retaggi cultuali diventano non solo espressione del sentimento religioso locale ma, al tempo stesso, testimonianza di una cultura che per anni ed anni ha permeato l’intera penisola salentina.

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Bibliografia essenziale:

Giulietta Livraghi Verdesca Zain, Tre santi e una campagna. Culti magico-religiosi nel Salento di fine Ottocento, Bari 1994

Riccardo Viganò, Archeologia della devozione, in “Il giornale di Galatone”, 2001

Vittorio Zacchino, Galatone antica medievale e moderna, Galatina 1990


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