di Pierluigi Montalbano
È stato il mare a creare le terre e le pietre, e l'acqua di mare ha lasciato ovunque la traccia del suo lento lavoro: vicino al Cairo, i calcari sedimentari di grana fine bianco latte, che permetteranno al cesello dello scultore di dare la sensazione del volume giocando su incisioni profonde solo qualche millimetro, le grandi placche di calcare corallino dei templi megalitici di Malta, la pietra di Segovia che si bagna per lavorarla più facilmente, i calcari delle enormi cave di Siracusa, le pietre d’Istria portate a Venezia, e tante rocce della Grecia, della Sicilia, della Sardegna, sono tutte nate dal mare. Se l'attenzione si sposta sulle terre che circondano il mare, si arriva a parlare, come avviene oggi, di Lago Mediterraneo, e di puntare l'attenzione su quei territori di pietra che negli anni hanno dato riparo e ristoro a chi fuggiva dal mare per evitare tempeste, malattie e guerre.
Da uno sguardo allargato al paesaggio del Mediterraneo, restringiamo il nostro orizzonte e fermiamoci alle pietre della Sardegna, alle architetture del suo paesaggio rurale che costituiscono la peculiarità della nostra terra. Lasciamoci incantare da quella architettura rurale che non ha lasciato nomi da ricordare, ma che è un libro aperto in cui si legge la nostra storia. L'architettura rurale, infatti, è il frutto di una molteplicità di relazioni che hanno strutturato nel tempo un determinato luogo, testimonianza concreta di fattori culturali come la morfologia del posto, il clima, l'economia e la tecnologia.
C'è un altro modo per definire l'architettura rurale: muretti a secco, torri, tombe, pozzi, fanno parte della cosiddetta architettura vernacolare con cui si intende il tipo di costruzioni realizzate localmente da genti che lavorano senza l’ausilio di professionisti, ricorrendo alle tecniche apprese per tradizione orale. È 1'architettura consolidata che non presenta segni rilevanti di sviluppo nel tempo, resa sicura dall'esperienza che ha stratificato le conoscenze. Proprio perché è collegata all'ambiente, i materiali sono quelli del luogo, pietre su pietre, senza collanti. Muretti a secco, terrazzamenti, capanne, tombe che assumono nomi diversi e costituiscono un mare di terre e pietre. Dovunque si vada in Sardegna, si vedono pietre che si aggregano, si cercano, si compongono, come se fossero calamite. Questa realtà non si adatta solo alla nostra regione, ma ad terre del Mediterraneo. Le pinnettas sono ripari nati dall'ingegnosità strumentale dei contadini che utilizzavano le pietre strappate alla terra per realizzare un protezione per se e per gli animali, e si trovano fin dall'antichità in tutti i popoli del Mediterraneo. L'architettura di pietre a secco ha origini differenziate per quanto riguarda il tempo e la funzione, e le migliaia di edifici realizzati in Sardegna, a partire dalle grandi muraglie delle genti di Monte Claro fino ai poderosi nuraghi che costellano il paesaggio sardo, richiamano le antiche strutture fortificate di Hattusa, capitale degli Ittiti in Turchia, e gli edifici funerari presenti in Grecia e nell'isola di Pantelleria. L'architettura sarda a secco è più antica di quella della Grecia, certamente non quanto quella dell'Egitto, ma il filo che lega le primitive capanne dei contadini della Mesopotamia alle nostre torri nuragiche, è sempre il medesimo, un filo di pietra.
Nell'immagine: Pierpaolo Saba e le pietre di Monte D'Accoddi (circa 2800 a.C.)