Archeologia. Fenici e Nuragici nel Golfo di Oristano
di Alfonso Stiglitz
In attesa della relazione di Alfonso Stiglitz, programmata per venerdì 25 Marzo alle ore 19 nella sala conferenze Honebu, in Via Fratelli Bandiera 100, Cagliari-Pirri, la redazione del quotidiano on line ha deciso di proporre un articolo sull'argomento per introdurre l'evento di questa settimana.
L’esplorazione dei paesaggi di potere nella Sardegna antica, con particolare riferimento alle lunghe e complesse vicende del primo millennio a.C., non può prescindere dal continuo ridefinirsi di queste identità, nel momento in cui dai processi del contatto culturale ed economico, si passa all’insediamento stabile di identità diverse, derivanti dalla attività di strutture statali organizzate, siano esse quelle della monarchia tiria dello scorcio del II- inizi o I millennio a.C., della potenza cartaginese a parti-re dal VI secolo a.C. o del complesso e lungo potere di Roma. L’oggetto di questa ricerca è il formarsi di quella identità plurale che denominiamo sarda e la cui nascita affonda le proprie radici nell'incontro tra gli articolati mondi nuragico e fenicio. In questa sede, per motivi di spazio, illustrerò la ricerca che consiste nel riesame delle prove, dei reperti che sino a oggi sono stati portati a sostegno dei rapporti fra questi due mondi, per individuare le fasi e le modalità all’interno delle quali si configura la presenza dei Fenici in Sardegna. In particolare illustrerò alcuni esempi di rilettura di oggetti relativi alle fasi iniziali di questo processo, prodotti di pregio per ceti dominanti ed
espressione di ambiti ideologici di potere; questi oggetti e i loro contesti ci offrono lo spunto per un’analisi che superi la vecchia idea dei Nuragici come selvatici addomesticabili con doni e merci esotiche, secondo il modello erodoteo del commercio silenzioso e dei Fenici come prospectors che, novelli Cristoforo Colombo, arrivano sulle coste di nuovi mondi sconosciuti.
In realtà i Fenici sono l’ultima fase di un complesso insieme di contatti diretti tra il mondo nuragico e l’oriente che, iniziato tra il Bronzo Medio Recente, mai si è interrotto. Oggetti “esotici”, precedenti e contemporanei a questo incontro, sono presenti nelle due sponde del Golfo di Oristano (FIG. 1)e nel suo entroterra, a partire da due reperti di tipo egiziano, anche se di probabile fattura vicino-orientale. Il primo è il frammento fittile di sarcofago antropoide da Neapolis attribuito ad ambito filisteo, con una datazione tra XI e X secolo a.C. 4 (FIG. 2).
La mancanza di un’analisi delle argille, che sarebbe auspicabile compiere, non ci permette di sapere se si tratta di un pezzo importato o di una produzione locale. Il riesame dei rinvenimenti dei sarcofagi antropoidi fittili nell’area vicino-orientale ha per-messo di porre in discussione la loro pertinenza all’ambito culturale filisteo per riportarla a quello più propriamente egiziano presente nel paese di Canaan all’epoca sotto il controllo del grande regno faraonico e alle sue influenze sulla popolazione locale. Il che se da una parte riduce ulteriormente il già scarno dossier dei c.d. Popoli del Mare in Sardegna, dall’altra pone il problema del significato di questo oggetto, della sua cronologia e della sua pertinenza. Sempre nell’area del Golfo di Oristano furono elevate le statue di Monte Prama (Cabras) e di Banatou (Narbolia), mute testimoni del sorgere del nuovo mondo dell’Età del Ferro e, successivamente, dell’incontro tra Nuragici e Fenici. Dal sito di Monte Prama proviene il secondo pezzo che esaminiamo, che è anche l’unico che parrebbe avere un contesto di rinvenimento. Si tratta dello scaraboide rinvenuto in una delle tombe della necropoli connessa con le grandi statue nuragiche; pubblicato inizialmente come pseudohyksos con datazione al VII secolo a.C., è oggi inquadrabile con più precisione . Si tratta di uno scaraboide in steatite invetriata (FIG. 3) di tipo egiziano con alla base una decorazione definita in letteratura come «encompassed central “plus” cross» che trova il più chiaro raffronto in uno scarabeo proveniente dall’area di Gaza.
La decorazione della base, di probabile origine cananea,compare nelle sue diverse interpretazioni a partire dal Secondo Periodo Intermedio (1650-1550 a.C., corrispondente alle nostre fasi di passaggio tra Bronzo antico e medio) per proseguire nel pieno delle dinastie del Nuovo Regno, in particolare dalla XX alla XXI (1130-945 a.C., corrispondenti al nostro Bronzo finale); un’interpretazione più recente del motivo è quella rinvenuta in uno strato della prima metà dell’VIII secolo a.C. a Tiro. Il proseguo della ricerca sul pezzo è indirizzato verso l’analisi del dorso e degli aspetti cronologici. Da quanto detto e dall’esperienza generale sugli scarabei, risalta l’inaffidabilità cronologica di questa tipologia di reperti,che possono permanere in uso anche per oltre un millennio, come provano gli esemplari dell’Antico Regno conservati nelle tombe fenice di Tiro datate fine VIII – VII secolo a.C., o gli scarabei del Nuovo Regno provenienti dalle tombe a camera delle città puniche sarde. Interessante è il contesto di rinvenimento dello scaraboide: la tomba 25, che ha restituito anche dei vaghi di collana in metallo e in cristallo di rocca; questo fa pensare che l’oggetto, dotato di foro passante, fosse portato in collana con questi elementi. Non mi sembra senza significato che la tomba sia quella di un maschio di 20 anni;il ritrovamento costituisce materia di riflessione sul ruolo di questa persona nell’ambito di una società che si esprime attraverso sepolture individuali monumentalizzate e con una statuaria colossale, non estranea, evidentemente, ai contatti con l’oriente. Le statue come noto raffigurano guerrieri e sono forse legate a giochi funebri o in onore della divinità. Resta da spiegare la loro connessione con una necropoli nella quale sono presenti varie tombe femminili, prive di distinzione gerarchica rispetto a quelle maschili, tanto che la necropoli nasce con l’inumazione di una donna di 25 anni. L’assenza di tombe di bambini può implicare la presenza di uno specifico spazio di sepoltura per essi oppure l’assenza di rituali funebri specifici, oltre che per i non appartenenti al gruppo; la necropoli sembra destinata esclusivamente a una componente della famiglia detentrice del potere e quindi del diritto sepolcrale. Resta da decifrare l’improvvisa fine della necropoli con un’altra donna di 20-25 anni la cui tomba, la n. 33, è l’ultima di un gruppo che inverte la direzione dell’allineamento rispetto alle precedenti trenta. L’inversione è dovuta alla presenza di un’altra necropoli, ancora inedita, per la quale si è ipotizzata una cronologia più alta; in realtà niente esclude la compresenza contemporanea dei due spazi sepolcrali, per i quali può essere pertinente l’accostamento a due gruppi familiari distinti. Se l’edizione della seconda necropoli confermerà la contemporaneità, anche parziale, dei due spazi, ciò porterebbe a un quadro sociale complesso, nel quale coesistono gruppi distinti, detentori di porzioni di potere, segno di una forte dinamicità sociale ed economica e, inevitabilmente, generatore di tensioni più o meno latenti. L’interruzione della necropoli alla tomba n. 33, non segnata dalla consueta lastra infissa a coltello che delimita i due capi della“strada funeraria”, può essere il frutto di queste tensioni. La datazione del contesto, seppure oggetto di dibattito, non sembra discostarsi molto da quella ipotizzata già oltre trent’anni fa dal prof. Lilliu, che proponeva l’orientalizzante con un possibile rialzo alle fasi iniziali del Primo Ferro; l’ipotesi viene rafforzata dal rinvenimento tra i frammenti di statua di una fibula databile alla prima metà dell’VIII secolo a.C. In altre parole, se il quadro cronologico viene confermato, al limite anche nel caso del ventilato ma non provato rialzo alle fasi terminali del Bronzo Finale, ci troviamo davanti al contesto che vede il cambiamento dei rapporti con il mondo orientale, dato dall’attivismo delle città fenicie orientali, con particolare riferimento a Tiro. Attenendoci al tema del Convegno, le statue sono sicuramente espressione ideologica e politica di un gruppo di potere nuragico nel pieno possesso del proprio territorio, strategicamente centrale. La loro localizzazione geografica indica la valenza di potere territoriale che le statue e la necropoli manifestano. Erano, infatti, collocate lungo l’unica strada naturale che collega lo scalo marittimo alla base del Capo San Marco, dove poi sorgerà Tharros in questo momento ancora centro nuragico, con le risorse metallifere del Monti Ferru; non a caso lungo questa strada è presente la statua di Banatou.Tra Monti Prama e Banatou, a due chilometri da quest’ultimo, è collocato il grande insediamento di S’Urachi (San Vero Milis),costituito da un nuraghe forse pentalobato, racchiuso da un antemurale che potrebbe avere dieci torri. L’area circostante ha restituito un interessante contesto nuragico della prima età del Ferro nel quale sono presenti materiali fenici. Dallo stesso sito proviene, purtroppo fuori contesto, un supporto bronzeo a corolle rovesciate, c.d. torciere, reperto di tipologia orientale di alto pregio, connesso con situazioni di élite (FIG. 4).
La presenza nel nuraghe di uno spazio particolare, delimitato da un muro isodomo, ancorché non scavato e quindi di incerto significato, sembra inserirsi in quelle ristrutturazioni architettoniche e sociali del periodo tra il Bronzo finale e il Primo Ferro, di tipo santuariale connesse talvolta, come visto per Monti Prama, con ambito funerario di rappresentanza, fortemente indiziato per essere lo spazio di provenienza del reperto. Il “torciere” rientra tra quegli elementi di lusso oggetto di intercambio ma anche di rilettura culturale da parte delle comunità nuragiche nelle quali è testimoniata la presenza di Fenici,non solo o non più come mercanti viaggiatori ma come artigiani stanziali in grado di sintonizzarsi con il complesso culturale locale,tanto più se verrà confermata la fabbricazione occidentale, se non anche sarda, del reperto. Gli esiti dei rapporti tra Nuragici e Fenici, palesati dal sito di S’Urachi, mostrano l’assenza di produzioni materiali autonome nuragiche a partire da inizi- metà del VII secolo a.C., impressione rafforzata dalla contemporanea cessazione di attestazioni di vita nell’altro villaggio nuragico coevo di Su Cungiau ’e Funta (Nuraxinieddu) distante una decina di chilometri. Questo ci dà l’altro estremo cronologico di tale fase di contatti iniziata con il momento evidenziato dal possibile sarcofago di Neapolis. Un’area, quella del Golfo di Oristano e del suo entroterra, che costituisce il background del rapido diffondersi di stimoli orientali sin nella Sardegna più interna, come ci mostrano alcuni oggetti di pregio rinvenuti lungo la valle segnata dal fiume Tirso.
In primo luogo i bronzi di origine orientale provenienti dal pozzo sacro di Santa Cristina (Paulilatino) (FIG. 5): un personaggio femminile nudo assiso con tiara ed elemento a treccia sul collo, un busto maschile con braccia levate, un personaggio gradiente con braccia in avanti e, infine, un personaggio maschile gradiente con gonnellino e braccio piegato obliquamente in avanti. La datazione proposta, IX – VIII secolo a.C., appare ancora valida, sebbene la statuina femminile di divinità seduta sia riportata da alcuni alla fine del II millennio. Appare molto interessante e da approfondire l’ipotesi di G. Lilliu che vede nella figurina con gonnellino e incedente il prototipo dei devoti offerenti nuragici. All'estremo geografico e a un contesto cronologico riportabile all’VIII secolo a.C. sta l’ultimo elemento di questa analisi, il Toroandrocefalo di Su Casteddu de Santu Lisei (Nule), con i suoi stimoli orientali, soprattutto di area siriana, evidenziati dalla coda a scorpione (FIG. 6).
Qui siamo, però, non in presenza di un pezzo esotico né di imitazione, ma di un oggetto locale esempio della fase più avanzata rispetto al fenomeno che stava dietro il torciere di S’Urachi, fase conclusiva di un processo nel quale l’artigiano,ormai non più nuragico o fenicio, ma nuova figura intellettuale che recepisce, rilegge e ricrea partendo da entrambe le esperienze, mutuate dai suoi antenati e parte costituente della sua nuova mentalità; siamo, cioè in una fase già più avanzata, di formazione della nuova identità che ormai possiamo a pieno titolo definire sarda. Cos'è accaduto? Qui le domande sono più numerose delle risposte ed è necessaria un’analisi che metta in luce gli interessi eterogenei dei vari gruppi. Quelli delle élite fenicie che nei loro movimenti commerciali mirano ad assicurarsi le risorse primarie, quali i metalli. Un processo che porta, dapprima, allo stabilizzarsi in siti nuragici poi trasformati, in alcuni casi, in città tra la fine dell’VIII -prima metà VII secolo a.C., per assicurarsi l’esercizio del potere con il controllo diretto delle risorse, come nel caso di Tharros. Dall’altra parte gli interessi delle élite nuragiche miranti a rinsaldare il proprio potere nel controllo degli scambi con l’esterno nonché, requisito essenziale, a rafforzare il controllo politico sulle proprie comunità; ad ampliare il proprio range di traffici transmarini, allargando le linee di commercio aprendole ai Fenici o partecipando a quelle loro; a godere dei privilegi dell’acquisizione di uno status. Il maschio ventenne, sepolto nella necropoli monumentale di Monte Prama, defunto nel pieno del proprio vigore fisico e politico, porta con sé lo scaraboide segno di questo peculiare sta-tus ormai indirizzato verso la messa in discussione delle due identità falsamente monolitiche, quella isolana e quella orientale. Ma è anche il quadro di uno scambio ineguale nel quale sarà importante capire cosa scambiavano e con quali vantaggi. I Fenici,come detto, cercavano metalli e derrate alimentari, merci ad alto costo sociale di produzione e, vista l’alta complessità sociale e capacità tecnologica dei Nuragici, è probabile che non si trattasse di materie prime grezze.
Più complesso è il problema delle esigenze nuragiche al di là dei prodotti di pregio, ad esempio i bronzetti o i torcieri, ai quali possono aggiungersi elementi ideologici di stampo orientalizzante, tra le quali quella che si evidenzia nel simposio, nel quale vino s ardo viene esportato con anfore sarde (di tipologia fenicia e tecnologia nuragica), accompagnate dall’askos nuragico e dal tripode per le spezie per il consumo alla moda orientale. L’ipotesi di uno scambio di tecnologie deve far fronte alla già acquisita elevata conoscenza tecnologica dei Nuragici nel campo della lavorazione dei metalli e della vitivinicoltura, che era già presente almeno dal Bronzo finale. Inattesa di maggiori e più chiari riscontri e contesti si può schematicamente ritenere che gli interessi convergenti tra élite di potere spieghino il rapido svolgersi di una piena trasformazione della società isolana, avvenuta in poco più di un secolo/secolo e mezzo; nell’Oristanese, infatti, dalla metà del VII secolo a.C. non si hanno, allo stato attuale delle indagini, effettive attestazioni autonome nuragiche, il che non significa drammatico crollo demografico, ma condivisione di ideologie del potere, immissione di élite nelle strutture di potere, trasformazione dei ceti subalterni. In questo giocano un ruolo importante le logiche meticce verso le quali ci ha indirizzato Jan Loup Ampselle. Logiche che da allora, se non anche prima ovviamente, accompagnano la realtà delle identità sarde sino ai giorni nostri.
Fonte: L'Africa Romana - 2012
Magazine Cultura
Archeologia. Fenici e Nuragici nel Golfo di Oristano, di Alfonso Stiglitz
Creato il 21 marzo 2016 da PierluigimontalbanoI suoi ultimi articoli
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