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Archeologia in Sardegna. Il Tempio del Sardus Pater: Antas
Creato il 05 aprile 2014 da Pierluigimontalbanodi Pierluigi Montalbano
Si trova nel Sulcis, nell’area mineraria di Fluminimaggiore e non presenta insediamenti vicini. Fu ricostruito all’inizio degli anni Settanta, e fra le fonti che lo descrivono abbiamo Tolomeo e l’Anonimo Ravennate, che citano un tempio del Sardus Pater presente in Sardegna. Gli archeologi lo cercavano nelle zone di Capo Pecora e Capo Frasca, in strutture che poi si sono rivelate ville romane. Nel 1954, una laureanda trovò nel sito un frammento dell’epistilio e lo interpretò come una dedica delle Terme di Caracalla pensando che la struttura fosse riferita a una città romana, forse Metalla. Nel 1967 fu portato alla luce un basamento circondato da una serie di elementi, e nel 1974 fu ricostruita la facciata del tempio romano, mentre quello punico si trova nella scalinata davanti all’ingresso.
A 200 m dal tempio c’è un villaggio nuragico del Bronzo Medio, ma l’area del tempio ha tracce di frequentazione solo a partire dal 900 a.C. Nel 1981 l'archeologo Ugas ha scavato tre tombe nuragiche a pozzetto, allineate, profonde circa 40 cm, di forma circolare e con un diametro di circa 80 cm. Nella prima portò alla luce un inumato con corredo composto da una perlina in bronzo e due vaghi in oro; nella seconda non c’era il defunto ma solo un vago in cristallo di rocca. Era, dunque, un cenotafio ossia un monumento funerario a ricordo di un personaggio sepolto altrove. Nella terza tomba trovò un inumato dolicomorfo inginocchiato, un bronzetto e numerosi oggetti d’ornamento in pasta vitrea, argento, cristallo di rocca e un anello.
Intorno al 500 a.C., nei pressi del villaggio nuragico, fu impiantato il tempio punico, con muri in pietra cementata con malta di fango e pavimento in calcare e pietrame. Presentava tre gole egizie, poi riutilizzate nel tempio romano. Nella prima fase edificatoria fu realizzato un grande recinto quadrato con un edificio di culto rettangolare che custodiva al centro una roccia sacra, citata in un’iscrizione scoperta recentemente nell’area, circondata da un muretto di protezione. In prossimità della roccia sacra sono stati trovati resti di fuochi e ossa animali che dimostrano l’adozione di pratiche cultuali. Una seconda fase di lavori avvenne nel 300 a.C. quando l’area posteriore del tempio fu divisa in due da un muretto, e l’ordine dorico delle colonne fu sormontato da gole egizie. L'archeologo Bernardini sostiene che il recinto non è punico visto che sorge sopra strati di deposito romano, e che l’altare sia in realtà la copertura di una sepoltura posizionata sotto la struttura. Il tempio punico si troverebbe dunque sotto quello romano ma si dovrebbe smontare tutto per cercarlo.
Le iscrizioni puniche citano un Sid Addir Bab, e gli studiosi propongono che il culto fosse svolto da devoti e da funzionari, come se il tempio fosse una sede centrale presso la quale arrivavano fedeli da tutte le città puniche. Gli amuleti ritrovati costituiscono un problema per la ricostruzione storica di Antas perché nel mondo punico questi portafortuna erano oggetti della vita quotidiana e diventavano poi caratteristici dell’ambito funerario. Fra gli altri materiali ci sono piccoli giavellotti di bronzo, una testina maschile in osso, teste in marmo di produzione greca, numerose monete, caducei in bronzo e oggetti in oro, testimoni del livello di benessere dei fedeli. Le tracce di fuoco dimostrano che la struttura fu distrutta intenzionalmente insieme alla frantumazione degli oggetti votivi.
Alcuni elementi architettonici, come i gocciolatoi a testa di leone, dimostrano che il tempio fu ricostruito nel I a.C. Una moneta con impresso il Sardus Pater dell’epoca di Azio Balbo, parente di Augusto e suo pretore in Sardegna nel 59 a.C. fu coniata fra il 39 e il 19 a.C., quindi è in questa epoca che il vecchio tempio del Sid Addir Bab fu trasformato in tempio del Sardus Pater. Un’ultima trasformazione è del 213 d.C. quando il tempio, come indica l’iscrizione nell’epistilio, fu restaurato dall’imperatore Caracalla.
Brevemente, in età nuragica c’era un culto di Sid Addir Bab, ripreso in età punica e poi trasformato in Sardus Pater in età romana. Manca completamente la fase fenicia fra l’VIII e l’inizio del V a.C. e ciò non dovrebbe stupire visto che in questo periodo, come nel precedente, i sardi costituivano l'ossatura dei popoli dell'isola. Chi giungeva dall'esterno, per commerciare o aprire bottega, si integrava molto rapidamente e nel corso di una generazione assumeva tutti i caratteri dei locali. Finora il tempio di Antas è l’unico tempio dedicato a Sid in tutto il Mediterraneo, una divinità secondaria che significa potente, associata con Tanìt (la dea madre) e Melqart (la divinità dei commerci e delle esplorazioni), pur se ad Antas è da sola. Un altro significato di Sid è “cacciare”, e in questo caso i giavellotti di bronzo si riferiscono al Dio della caccia. Bab forse si riferisce a una divinità nuragica, Babbai, un padre. In semitico padre si dice Ab, quindi Babai potrebbe essere di matrice orientale.
La distruzione del tempio verosimilmente è da attribuire ai mercenari di Cartagine in occasione della rivolta del 241 a.C. perché la capitale dell’impero non rispettò i patti con le truppe dislocate nell’isola: iberici, sardi, siciliani, italici, libici e balearici chiamarono in aiuto Roma e determinarono la perdita della Sardegna da parte di Cartagine. Il tempio di Antas era strategico per Cartagine perché si trova nel cuore delle miniere. La città africana, per affermare la supremazia e per tenere in armi l’esercito, aveva bisogno di metalli e risorse agricole (orzo e grano) e forse i mercenari distrussero il tempio proprio per cancellare il ricordo della potenza di Cartagine.
Immagini e testo tratti da "Porti e approdi nel Mediterraneo antico" di Pierluigi Montalbano, Capone Editore, in pubblicazione.
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