Quanto i Fiorentini stessi possono dire di conoscere davvero del tutto la loro Firenze? Ogni tanto mi capita di passare da via dell’Anconella, ad esempio quando vado a cena in zona San Frediano, oppure quando nel corso delle mie passeggiate lungo l’Arno mi allungo oltre la Porta San Frediano. Qui appare alla mia vista una struttura davvero insolita: un cilindro costituito da 16 colonne in lamiera sormontate da un bulbo – o una fiaccola – una struttura che al tempo stesso sembra industriale ed elegante, quasi un’installazione di arte contemporanea. Inoltre si trova all’interno di un piccolo parco pubblico per cui, a chi passa velocemente da questa via di passaggio, la struttura potrebbe apparire come un’immenso gazebo o recinto. Tante volte mi sono chiesta “ma che è ‘sta cosa? Ma che rappresenta?”. E poi la soluzione era la più semplice di tutte, scritta proprio lì, davanti al naso, nei toponimi di via della Fonderia e della chiesa di Santa Maria del Pignone. Sì, perché l’area nella seconda metà dell’800 era occupata dalle fonderie del Pignone. Distretto industriale fiorente, appena all’esterno della cinta muraria della città, cresceva talmente tanto che negli anni ’20 ne fu disposto il trasferimento in un’area lontana dalla città (per l’epoca): in quella che oggi si chiama Firenze Nova, dove infatti ha sede la Nuovo Pignone (GE Oil&Gas).
Ma andiamo con ordine. Che cosa c’era qui allora all’inizio del Novecento? Iniziamo col dire che nella seconda metà del Settecento quest’area, posta lungo la riva sinistra dell’Arno, immediatamente all’esterno di Porta San Frediano, cominciò a popolarsi, grazie alla presenza di un piccolo porto fluviale cui attraccavano i “navicelli”. E proprio il pignone in pietra cui venivano attraccati i navicelli avrebbe dato il nome al quartiere. Nel 1842 nacque la Società Anonima Fonderia del Pignone; nel 1856 nell’annessa officina meccanica fu realizzato il primo motore a scoppio. La fabbrica si distinse anche per la produzione di armi, cosa che si rivelò molto utile e redditizia durante la Prima Guerra Mondiale. L’azienda crebbe, tanto che nel 1923 fu necessario trasferire lo stabilimento nella zona di Firenze Nova, dove divenne il Nuovo Pignone. Il complesso industriale fuori San Frediano fu interamente demolito. Fu risparmiato soltanto l’ex-gazometro. Ecco allora cos’è la nostra particolarissima architettura, che a vedersi sembra allo stesso tempo elegante e terribile.
Le colonne del gazometro si stagliano minacciose contro il cielo plumbeo
Il gazometro fu installato nel 1846, con lo scopo di immagazzinare e regolare la pressione del gas di città, impiegato per usi domestici, riscaldamento e illuminazione pubblica. La struttura è costituita, nella parte aerea, da 16 colonne in lamiera, i condotti del gas, sormontate da altrettanti bulbi (o fiaccole, dato lo scopo che il gazometro si prefiggeva); nella parte sotterranea vi era un serbatoio che conteneva una vasca d’acqua profonda 9m, mentre a livello del suolo c’è un anello in muratura alto 4m, ancora molto ben visibile. Il gazometro fu utilizzato finché l’avvento del metano non ne decretò l’inutilità quasi da un giorno all’altro. Allora fu lasciato a testimonianza del passato industriale di questo piccolo distretto e attualmente è inglobato in un piccolo parco pubblico (bruttino e mal tenuto, ahimè) accanto ad un circolo ricreativo per anziani.
Il gazometro dell’Ex-Pignone è un monumento di archeologia industriale. Come tale va tutelato perché parte del nostro passato, dunque, a suo modo, del nostro patrimonio culturale. E va conosciuto e riconosciuto. Altrimenti continueremo a passare in via dell’Anconella, a girarci verso sinistra, a guardare con occhio incredulo e stupito, curioso, la struttura circolare davanti ai nostri occhi e però, poi, a proseguire in avanti, come se niente fosse.
*Fonti: non avrei mai scoperto cosa fosse questo cilindro in lamiera se non mi fosse capitata per le mani l’interessantissima “Guida all’archeologia industriale della Toscana“, di Giuseppe Guanci: un librino prezioso per esplorare il territorio e le città con occhi diversi, volti a guardare anche i dettagli, le piccole cose. Allora scoprirete che anche le vecchie officine e industrie hanno il loro fascino, e che l’archeologia industriale è il ringraziamento più sentito a chi vede in essa un motore di ripartenza delle città.