Archeologia. Le prime genti che popolarono la Sardegna: Bonu Ighinu e San Ciriaco.
Creato il 07 dicembre 2014 da Pierluigimontalbano
Le prime genti che popolarono la Sardegna: Bonu Ighinu e San Ciriaco.di Pierluigi MontalbanoNegli studi di preistoria con il termine cultura si raggruppa quell'insieme di manufatti, oggetti d'uso e strutture, che caratterizzano una determinata regione in una precisa fase cronologica, ad esempio il neolitico o l'età del bronzo. Spesso la denominazione deriva dal sito nel quale la fase è stata scoperta per la prima volta. Le più antiche genti di cui abbiamo testimonianze corpose in Sardegna sono quelle di Bonu Ighinu, dal nome di una chiesa campestre nei pressi di Pozzomaggiore. In una grotta della zona, Sa Ucca e su Tintirriolu (la bocca del pipistrello) furono scoperti oggetti che caratterizzano il neolitico medio della Sardegna. L'imboccatura del cunicolo era chiusa con un masso è stato trovato ancora in posizione. Cinque stele parallelepipede con incavi semicircolari e riquadri rettangolari simboleggiano in forma astratta la divinità. Questa grotta, utilizzata anche come abitazione, è il luogo di culto dalla metà del quinto millennio avanti Cristo. In questo periodo è attestata in tutta l'isola la presenza di genti di Bonu Ighinu in grotte, ripari sotto roccia e villaggi all'aperto con capanne realizzate in legno e frasche. La ceramica si distingue per la finezza e l'eleganza delle superfici bruno-lucide, decorate con motivi impressi con un tratteggio minuto e con piccoli punti, oppure graffiti dopo la cottura. Sono tipiche le piccole anse verticali a nastro, arricchite da bottoni e appendici, talvolta con rappresentazioni del volto umano stilizzato. Tutta la produzione ceramica mostra padronanza nell'approvvigionamento della materia prima e nella produzione dei vasi, sia per quanto riguarda le forme sia per quanto riguarda la tecnica, decisamente superiore a quelle dei vasi del neolitico antico. I ritrovamenti hanno restituito produzioni in pietra scheggiata con cui si realizzavano strumenti come punte, lame, perforatori, raschiatoi, in ossidiana e in selce. È abbondante la lavorazione di strumenti e ornamenti in osso come punteruoli, aghi, spazzole e lesine. Nella grotta rifugio di Oliena sono stati trovati bracciali e collane realizzate con valve di piccole conchiglie e dischetti cilindrici di clorite e aragonite. A volte le grotte avevano destinazione sepolcrale, in pozzi nei quali l'ossario conteneva materiale funerario proveniente da sepolture primarie si tratta, quindi, di deposizioni secondarie, ossia la pratica di deporre in un luogo diverso le ossa dopo che la carne non c'è più. La fase finale della cultura Bonu Ighinu è attestata nel territorio di Cabras, in località Cuccuru s'arriu, dov'è stato scoperto un cimitero con 19 tombe, delle quali 13 scavate sotto terra con una sola camera e un pozzetto d'accesso, quattro del tipo a fossa e due inserite tra il terreno vegetale e un bancone roccioso. Sono tutte tombe singole e il defunto è sempre accompagnato da una statuina femminile di divinità e una serie di vasi prevalentemente lisci, con pochi motivi decorativi. Si nota la presenza di ocra rossa con evidente valore simbolico collegato al sangue, e quindi con l'idea della rigenerazione del defunto. Le tombe di Cuccuru s'arriu costituiscono la più antica testimonianza di sepolcri scavati intenzionalmente nella roccia. Nei villaggi all'aperto le capanne erano realizzate in legno e frasche, con tracce di depositi di forma ellittica pieni di cenere, carbone, frammenti di ceramica e ossa di animali. Le genti della cultura di Bonu Ighinu praticavano la cerealicoltura, l'allevamento del bestiame, la caccia e la raccolta dei molluschi. Si nota l'aumento in percentuale dell'ossidiana rispetto alla selce. La componente maschile era alta 162 cm, quella femminile 150. Una popolazione dinamica, abituata a un'alimentazione varia con cibi cucinati, ricchi di grassi, come testimonia l'assenza di malattie distrofico-rachitiche e la presenza di un apparato masticatorio buono. In questo periodo si nota in Sardegna la produzione di figurine femminili in pietra o in argilla che rappresentano una divinità femminile. Nella prima fase, quella di Bonu Ighinu, gli idoletti femminili sono definiti di tipo volumetrico per le forme arrotondate. Si tratta di statuine in pietra con forme opulente, obese, una delle quali rappresenta la madre con bambino. Sempre al neolitico medio è attribuita una raffigurazione fallica in pietra trovata a Terralba. È la prima attestazione della rappresentazione del simbolo maschile nel repertorio figurativo neolitico della Sardegna, nonché la prima testimonianza del dualismo fecondità femminile-potenza maschile che vedremo svilupparsi nella successiva cultura di Ozieri. Tra la fase Bonu Ighinu e quella di Ozieri esiste una cultura che ha preso il nome dall'abitato preistorico di San Ciriaco di Terralba.
I siti più significativi per questa cultura sono quelli di Cuccuru s'arriu di Cabras, Sant'Iroxi di Decimoputzu e Perfugas, ma il villaggio all'aperto più interessante è quello del sito di Monte d'Accoddi, lungo la strada che da Sassari conduce a Portotorres, caratterizzato da capanne di forma ovale parzialmente infossate. Le ceramiche San Ciriaco si distinguono per un’accurata lavorazione che produce vasi a pareti sottili o superfici lucidate color cuoio o nere. Sono prive di decorazione oppure con motivi incisi, graffiti o impressi, costituiti da linee, cerchi concentrici e piccoli punti racchiusi dentro triangoli. Sono presenti piccoli recipienti in pietra, tra i quali la famosa coppa in steatite di Li Muri, in territorio di Arzachena. Caratteristico della fase San Ciriaco è un tipo di statuetta femminile che segna il passaggio dalla produzione volumetrica del neolitico medio a quella geometrica della cultura di Ozieri. L'insieme di queste statuine mostra le braccia conserte, ripiegate sotto i segni e la rappresentazione accuratissima dei dettagli anatomici. È attribuita a questa fase la necropoli di Li Muri ad Arzachena, costituita da cassette in pietra realizzate con lastre poste a coltello nel terreno e coperte da un'altra lastra, circondate da circoli in pietra. Siamo alla metà del quarto millennio avanti Cristo, e dopo questa fase inizia quella definita di San Michele, o di Ozieri, che prende il nome dalla grotta nella quale gli archeologi portarono alla luce un complesso di vasi che appaiono per la prima volta nel repertorio del neolitico sardo e sembrano quelli presenti nei contesti del Mediterraneo orientale: pisside, vaso tripode e vaso a cestello hanno la stessa ricchezza ed eleganza dei motivi decorativi presenti nella Grecia insulare e Malta. Abbiamo anche connessioni con le culture dell'Europa occidentale, testimoni dell'esistenza di una notevole rete di scambi nel Mediterraneo, anche per il ruolo centrale che la Sardegna aveva nel commercio dell’ossidiana. Si conoscono anche numerosi esempi di fusaiole e pesi da telaio, a volte decorate con motivi geometrici. Sono testimoni di una pratica notevole della tessitura. La cultura di Ozieri vede l'inizio dei sepolcri a gruppi di cella scavati artificialmente nella roccia e destinati a sepolture collettive: le domus de janas, oggi oltre 3500. Queste tombe si possono presentare isolate, oppure in piccoli gruppi come quelli di Montessu a Villaperuccio, Anghelo Ruju ad Alghero e Sant'Andrea Priu a Bonorva.Foto delle Dee Madri esposte al Museo di Cagliari.
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