ato, fotografato, localizzato e georeferenziato:
si trova, ancora oggi dall’aspetto minaccioso, su una distesa sabbiosa a circa
80 metri di profondità. Causa il maltempo non c’è stato il tempo per issarlo a
bordo: bisognerà attendere ancora un anno per aggiungerlo alla già ricca collezione.
Quella appena conclusa, durata 45 giorni, è l’ottava campagna di ricerche del
progetto Archeorete Egadi, realizzato grazie alla collaborazione della
fondazione americana RPM Nautical diretta da George Robb jr che dal 2005 mette
a disposizione la Hercules, la nave oceanografica a posizionamento dinamico
(DPS) dotata di sistemi di ricognizione elettroacustica e visive di ultima
generazione. In questa ultima campagna, iniziata il 14 giugno 2013, è stato
utilizzato, per la prima volta in Italia, un particolare sonar a scansione
laterale montato su una particolare struttura metallica che permette di
lavorare agevolmente in profondità per tracciare, con il suo esclusivo sistema
di scansione a 360°, ancor meglio e con una precisione millimetrica i fondali.
L’innovativo strumento è stato portato in Sicilia da John Henderson del
Dipartimento di Archeologia dell’Università di Nottingham con la collaborazione
dell’Ingegnere Geofisico Brian Abbott della Nautilus Marine Group. È un team
italo-americano che conduce le ricerche con la direzione di Tusa e di Jeff
Royal e la consulenza di William Murray (University of South Florida), e dei
coordinatori tecnici Stefano Zangara, Salvatore Palazzolo e Francesca Oliveri
della Soprintendenza del Mare. Merito a chi collabora alle ricerche: la
Capitaneria di Porto di Trapani, i sommozzatori della Guardia Costiera, la
Soprintendenza per i Beni culturali di Trapani, l’Area Marina Protetta delle
Egadi, la Shipping Agency di Luigi Morana, e la marineria locale, con i diving,
i subacquei e l’Associazione Culturale Tempo Reale. Finora nelle otto campagne
di ricerche iniziate nel 2005, è stato esplorato appena il 15% di quei fondali
marini che ancora conservano chissà quanti e quali reperti, mute testimonianze
dell’epico scontro tra romani e cartaginesi. “C’è ancora molto da esplorare – commenta Sebastiano Tusa – e, ne siamo certi, solo facendo una semplice
proporzione incrociando le dita, tanto da recuperare. Diamo tempo al tempo, e
poi dobbiamo pur lasciare qualcosa a chi continuerà le ricerche dopo di noi!
Anche perché con la convezione che abbiamo stipulato con la fondazione
americana, la Hercules è a disposizione circa 45 giorni per stagione. Voglio sottolineare che tutto ciò per noi è a costo
zero! In cambio delle loro collaborazione la RPM Nautical ha soltanto il
diritto a pubblicare, sempre insieme a noi, i risultati delle ricerche. Hanno
la loro base a Malta, dove svolgono la manutenzione di routine della nave, e
sono impegnati in altre campagne simili alla nostra nell’Adriatico, in Albania,
Montenegro e Croazia.” “Considerando
e studiando i materiali che abbiamo già recuperato – aggiunge il soprintendente
Tusa – ci siamo chiesti come mai abbiamo trovato in uno spazio molto ristretto
un solo rostro punico e mentre tutti gli altri sono romani? L’ipotesi, tutta da
verificare con ulteriori ricerche, è che probabilmente in quel caso i romani le
abbiano prese! In questo piccolo spazio ci fu una sorta di scaramuccia, visto
che le battaglie navali di quei tempi avvenivano quasi come duelli, dei corpo a
corpo come nelle battaglie terrestri. Potremmo essere incappati in una zona che
in quel preciso momento è stata favorevole ai cartaginesi e che un piccolo
gruppo di triremi romane si sia trovato in difficoltà per un repentino cambio
di venti. Oppure, molto più semplicemente, la circostanza si può spiegare
immaginando che le triremi cartaginesi, pur colpite, siano andate alla deriva”
affondando poi in un luogo più lontano. ”A conclusione Sebastiano Tusa, nella veste
di insegnante oltre che di direttore dell’unica in Italia Soprintendenza per il
Mare si è lasciato andare a un piccolo sfogo a proposito del suo lavoro e della
situazione in cui versano i Beni Culturali nel nostro Paese. Ci sentiamo in
obbligo di riportarlo. “Sto creando una scuola di archeologia subacquea con
l’Università di Palermo. Quando ho insegnato a Trapani ho formato tanti giovani
archeologi che ora sono in giro per il mondo. Ma il vero problema è che in
Italia c’è un blocco, una cesura generazionale perché nella pubblica
amministrazione non si fanno più concorsi per il ricambio, non si formano più i
quadri”. Magazine Società
ato, fotografato, localizzato e georeferenziato:
si trova, ancora oggi dall’aspetto minaccioso, su una distesa sabbiosa a circa
80 metri di profondità. Causa il maltempo non c’è stato il tempo per issarlo a
bordo: bisognerà attendere ancora un anno per aggiungerlo alla già ricca collezione.
Quella appena conclusa, durata 45 giorni, è l’ottava campagna di ricerche del
progetto Archeorete Egadi, realizzato grazie alla collaborazione della
fondazione americana RPM Nautical diretta da George Robb jr che dal 2005 mette
a disposizione la Hercules, la nave oceanografica a posizionamento dinamico
(DPS) dotata di sistemi di ricognizione elettroacustica e visive di ultima
generazione. In questa ultima campagna, iniziata il 14 giugno 2013, è stato
utilizzato, per la prima volta in Italia, un particolare sonar a scansione
laterale montato su una particolare struttura metallica che permette di
lavorare agevolmente in profondità per tracciare, con il suo esclusivo sistema
di scansione a 360°, ancor meglio e con una precisione millimetrica i fondali.
L’innovativo strumento è stato portato in Sicilia da John Henderson del
Dipartimento di Archeologia dell’Università di Nottingham con la collaborazione
dell’Ingegnere Geofisico Brian Abbott della Nautilus Marine Group. È un team
italo-americano che conduce le ricerche con la direzione di Tusa e di Jeff
Royal e la consulenza di William Murray (University of South Florida), e dei
coordinatori tecnici Stefano Zangara, Salvatore Palazzolo e Francesca Oliveri
della Soprintendenza del Mare. Merito a chi collabora alle ricerche: la
Capitaneria di Porto di Trapani, i sommozzatori della Guardia Costiera, la
Soprintendenza per i Beni culturali di Trapani, l’Area Marina Protetta delle
Egadi, la Shipping Agency di Luigi Morana, e la marineria locale, con i diving,
i subacquei e l’Associazione Culturale Tempo Reale. Finora nelle otto campagne
di ricerche iniziate nel 2005, è stato esplorato appena il 15% di quei fondali
marini che ancora conservano chissà quanti e quali reperti, mute testimonianze
dell’epico scontro tra romani e cartaginesi. “C’è ancora molto da esplorare – commenta Sebastiano Tusa – e, ne siamo certi, solo facendo una semplice
proporzione incrociando le dita, tanto da recuperare. Diamo tempo al tempo, e
poi dobbiamo pur lasciare qualcosa a chi continuerà le ricerche dopo di noi!
Anche perché con la convezione che abbiamo stipulato con la fondazione
americana, la Hercules è a disposizione circa 45 giorni per stagione. Voglio sottolineare che tutto ciò per noi è a costo
zero! In cambio delle loro collaborazione la RPM Nautical ha soltanto il
diritto a pubblicare, sempre insieme a noi, i risultati delle ricerche. Hanno
la loro base a Malta, dove svolgono la manutenzione di routine della nave, e
sono impegnati in altre campagne simili alla nostra nell’Adriatico, in Albania,
Montenegro e Croazia.” “Considerando
e studiando i materiali che abbiamo già recuperato – aggiunge il soprintendente
Tusa – ci siamo chiesti come mai abbiamo trovato in uno spazio molto ristretto
un solo rostro punico e mentre tutti gli altri sono romani? L’ipotesi, tutta da
verificare con ulteriori ricerche, è che probabilmente in quel caso i romani le
abbiano prese! In questo piccolo spazio ci fu una sorta di scaramuccia, visto
che le battaglie navali di quei tempi avvenivano quasi come duelli, dei corpo a
corpo come nelle battaglie terrestri. Potremmo essere incappati in una zona che
in quel preciso momento è stata favorevole ai cartaginesi e che un piccolo
gruppo di triremi romane si sia trovato in difficoltà per un repentino cambio
di venti. Oppure, molto più semplicemente, la circostanza si può spiegare
immaginando che le triremi cartaginesi, pur colpite, siano andate alla deriva”
affondando poi in un luogo più lontano. ”A conclusione Sebastiano Tusa, nella veste
di insegnante oltre che di direttore dell’unica in Italia Soprintendenza per il
Mare si è lasciato andare a un piccolo sfogo a proposito del suo lavoro e della
situazione in cui versano i Beni Culturali nel nostro Paese. Ci sentiamo in
obbligo di riportarlo. “Sto creando una scuola di archeologia subacquea con
l’Università di Palermo. Quando ho insegnato a Trapani ho formato tanti giovani
archeologi che ora sono in giro per il mondo. Ma il vero problema è che in
Italia c’è un blocco, una cesura generazionale perché nella pubblica
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