Magazine Architettura e Design
Pantaleo R., Gerardi M., Molinari L., Architetture resistenti. Per una bellezza civile e democratica, Sommacampagna (Vr), BeccoGiallo, 2013
Tamassociati è uno studio di Architettura poliedrico e multidisciplinare. All’insegna del motto: “Taking Care”, fa dell’architettura e della professione una missione di vita, etica, uguaglianza e pace. Lo studio ha sede a Venezia. http://www.tamassociati.org
Ecco per voi la lista, con alcuni approfondimenti, delle Architetture Resistenti segnalate a Beni dal Prof. Luca Donato:
Parco archeologico di Selinunte, Minissi, Porcinai, Arena.
L’attuale ingresso al Parco archeologico da Marinella è stato progettato negli anni ottanta dall’architetto Franco Minissi, con Pietro Porcinai e Matteo Arena.
La città non ha mai accettato di buon grado quest’opera e fortissimi furono i contrasti tra Soprintendenza e Amministrazione comunale per quella che, da una parte, era ritenuta un’opera di salvaguardia di un bene che rischiava di essere distrutto dall’avanzare delle nuove costruzioni, e dall’altra invece la negazione di un diritto, quello di fruire liberamente di un bene da sempre patrimonio della cultura locale. In quel momento storico il sito era abbastanza compromesso da un’edilizia disordinata che fronteggiava da est i templi della collina orientale e avanzava da ovest verso le sponde del Modione dove sorgono i templi delle divinità Ctonie.
Il progetto, dimostra la sua vocazione ad essere utilizzato per creare uno spazio pubblico per la città, un giardino aperto sia ai turisti che ai cittadini, pur rispondendo alla necessità del Soprintendente di arginare l’avanzare dell’edilizia. Purtroppo per le alterne vicende della politica e delle amministrazioni locali si realizzò una soluzione diversa, quella oggi esistente. Là dove doveva esserci il giardino è stato costruito un parcheggio a raso, circondato da una seconda duna, non prevista nel progetto originario, che aumenta la separazione tra Parco e città.
Architettura resistente perché: “(…)il significato di quest’opera va ben oltre il mero segno architettonico e paesaggistico, perché ha una dimensione politica inestimabile; in un Italia dove la speculazione e l’abusivismo non possono essere fermati da regole di civile convivenza o più semplicemente dai vincoli di legge, l’unica mossa possibile sembra essere un muro invalicabile. Da qui non si passa, sembra dire. (…) segno forte ed ottimista che dice semplicemente: l’inciviltà si può fermare.”
fonte
Risera S. Sabba, Romano Boico.
La Risiera di San Sabba - stabilimento per la pilatura del riso edificato nel 1913 - venne utilizzata dopo l'8 settembre 1943 dall'occupatore nazista come campo di prigionia, e destinato in seguito allo smistamento dei deportati diretti in Germania e Polonia oltre che come deposito dei beni razziati e alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei. Il 4 aprile 1944 venne messo in funzione anche un forno crematorio. Nel 1965 la Risiera di San Sabba fu dichiarata Monumento Nazionale con decreto del Presidente della Repubblica. Nel 1975 la Risiera, ristrutturata su progetto dell'architetto Romano Boico, divenne Civico Museo della Risiera di San Sabba. Al pianterreno dell'edificio a tre piani in cui erano sistemati i laboratori di sartoria e calzoleria, dove venivano impiegati i prigionieri, nonché camerate per gli ufficiali e i militari delle SS, vi erano 17 micro-celle in ciascuna delle quali venivano ristretti fino a sei prigionieri: tali celle erano riservate particolarmente ai partigiani, ai politici, agli ebrei, destinati all'esecuzione a distanza di giorni, talora settimane. Le due prime celle venivano usate a fini di tortura o di raccolta di materiale prelevato ai prigionieri: vi sono stati rinvenuti, fra l'altro, migliaia di documenti d'identità, sequestrati non solo ai detenuti e ai deportati, ma anche ai lavoratori inviati al lavoro coatto. Nel cortile interno, proprio di fronte alle celle, sull'area oggi contrassegnata dalla piastra metallica, c'era l'edificio destinato alle eliminazioni - la cui sagoma è ancora visibile sul fabbricato centrale - con il forno crematorio. L’impianto, al quale si accedeva scendendo una scala, era interrato. Una canale sotterraneo, il cui percorso è pure segnato dalla piastra d’acciaio, univa il forno alla ciminiera. Sull’impronta metallica della ciminiera sorge oggi una simbolica Pietà costituita da tre profilati metallici a segno della spirale di fumo che usciva dal camino.
L’edificio del forno crematorio e la connessa ciminiera vennero distrutti con la dinamite dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, per eliminare le prove dei loro crimini, secondo la prassi seguita in altri campi al momento del loro abbandono. L' architetto Romano Boico: “La Risiera semidistrutta dai nazisti in fuga era squallida come l’intorno periferico: pensai allora che questo squallore totale potesse assurgere a simbolo e monumentalizzarsi. Mi sono proposto di togliere e restituire, più che di aggiungere. Eliminati gli edifici in rovina ho perimetrato il contesto con mura cementizie alte undici metri, articolate in modo da configurare un ingresso inquietante nello stesso luogo dell’ingresso esistente. Il cortile cintato si identifica, nell’intenzione, quale una basilica laica a cielo libero. L’edificio dei prigionieri è completamente svuotato e le strutture lignee portanti scarnite di quel tanto che è parso necessario. Inalterate le diciassette celle e quelle della morte. Nell’edificio centrale, al livello del cortile, il Museo della Resistenza, stringato ma vivo. Sopra il Museo, i vani per l’Associazione deportati. Nel cortile un terribile percorso in acciaio, leggermente incassato: l’impronta del forno, del canale del fumo e della base del camino”.
Architettura resistente perché: “riesce ad avere la forza e la capacità evocativa (…) che nel suo desolante silenzio oltre ad una condanna inappellabile lancia un messaggio di speranza attraverso segni che soltanto in quel nulla si possono cogliere, come la cima dell’albero che spunta dai muraglioni di cemento quasi a dire che al di là di tutto il nulla c’è solo la vita. Si esce quasi con un senso di sollievo da questa esperienza eppure carichi di quell’energia vitale che solo le grandi opere di architettura sanno evocare.”fonte
Museo Itavia, Christian Boltanski
L'installazione permanente di Christian Boltanski al Museo per la Memoria di Ustica di Bologna circonda i resti del DC9 abbattuto il 27 giugno 1980 mentre si dirigeva verso l'aeroporto di Palermo. Il relitto dell'aereo passeggeri viene mostrato nella cornice suggestiva ed evocativa che l'artista francese ha generosamente e appositamente creato per la città. Le 81 vittime della strage sono ricordate attraverso altrettante luci che dal soffitto del Museo si accendono e si spengono al ritmo di un respiro. Intorno al velivolo ricostruito, 81 specchi neri riflettono l'immagine di chi percorre il ballatoio, mentre dietro ad ognuno di essi 81 altoparlanti emettono frasi sussurrate, pensieri comuni e universali, a sottolineare la casualità e l'ineluttabilità della tragedia.
Nove grandi casse nere sono state disposte dall'artista intorno ai resti riassemblati del DC9: in ognuna di esse sono stati raccolti decine di oggetti personali appartenuti alle vittime. Scarpe, pinne, boccagli, occhiali e vestiti che documenterebbero la scomparsa di un corpo, rimangono così invisibili agli occhi dei visitatori. Solo le loro immagini sono state ordinatamente impaginate da Boltanski nella "Lista degli oggetti personali appartenuti ai passeggeri del volo IH 870" una pubblicazione che, coinvolgendo lo spettatore direttamente nella memoria dell'avvenimento, lo vede protagonista nella ricostruzione della verità.
Per Boltanski la dimensione evocativa del ricordo impone visioni molteplici e soggettive, ogni narrazione viene abbandonata per divenire solitudine del pensiero individuale, per rimandare all'azione e alla ridefinizione di una realtà che ci vede sempre e costantemente protagonisti e complici. Christian Boltanski nasce a Parigi nel 1944.
Vive e lavora a Parigi.
Architettura resistente perché: “questo su Ustica è un museo della memoria (…) emette frasi sussurrate, pensieri di persone che non hanno più passato né futuro, ma solo l’eterno “attimo”!”
fonte
Collegi del Colle, Giancarlo de Carlo.
Posti su una collina coronata dall'antico convento dei Cappuccini a circa un chilometro dal centro storico di Urbino, i quattro collegi articolati in forma di città-campus per universitari vengono realizzati da De Carlo tra il 1962 e il 1983. Considerato il suo progetto manifesto, è certamente uno degli esempi più rilevanti per l'architettura italiana degli anni Settanta, molto apprezzato anche a livello internazionale.
La realizzazione del primo collegio, detto "il Colle", su commissione di Carlo Bo, rettore dell'Università di Urbino, risale agli anni 1962-1966; la forma disegnata è quella di un corpo centrale sul belvedere e una serie di case studio indipendenti, inserite sulle terrazze digradanti del colle, collegate da rampe, scale e da percorsi paralleli alle curve di livello. In simultaneità poi si avviano i cantieri dei nuclei detti "Tridente" (1973-1980), "Aquilone-Serpentine" (1973-1981) e "Vela" (1973-1983), che apportano complessivamente 1.150 alloggi. Nel progetto d'insieme, De Carlo, appronta una struttura policentrica, sviluppando il tema della forma a grappolo, secondo precisi parametri suggeriti dal contesto territoriale e morfologico di Urbino. Al primo posto colloca il rapporto interattivo tra tessuto edificato e tessuto naturale codificato nel concetto di naturalità del costruito, dove ricerca la massima compenetrazione tra la forma dei volumi e la forma del suolo (pendenze del terreno, giardini sulle coperture, pluralità di fonti di luce naturale dall'alto), senza però standardizzazioni, anzi procedendo con grande varietà di schemi, forme e tipologie. Al secondo sta il principio dell'unità del materiale, con l'uso predominante del mattone, accostato al calcestruzzo a vista per le sole strutture e parti a sbalzo.
Privilegia, infine, gli spazi sociali e creativi, i luoghi pubblici e i punti d'incontro aperti agli universitari ma anche a tutta la cittadinanza.
Architettura resistente perché: “è un luogo duro per materiali ma perfetto per il luogo esso si apre guardando la serie infinita delle colline marchigiane, i percorsi hanno tante panche di cemento incorporate nei muretti con grandi aperture che riquadano il paesaggio (…) tante finestre alla Leopardi che ti fanno perdere in quell’infinito di verde e cielo”
fonte
Stabilimento Olivetti a Pozzuoli, Luigi Cosenza.
Su incarico di Adriano Olivetti l'idea dello studio distributivo rielabora l'intero processo esecutivo per la produzione di una macchina da scrivere e nello stesso tempo imposta un progetto in grado di prevedere successive espansioni architettonicamente efficaci. Il rapporto tra gli spazi esterni e quelli interni è in funzione del modo di lavorare dell'uomo in una fabbrica moderna e rappresenta l'obiettivo per i nuovi incrementi in unità produttive di varie dimensioni e diverse tecnologie. Sono previsti quindi gli schemi aperti e chiusi delle corti. Sono studiate definite soluzioni: sovrapposizione tra officina e montaggio, composizione chiusa ed aperta dei corpi di fabbrica, articolazione dei volumi edilizi adattati alle pendenze ed integrati nella vegetazione, il tutto secondo le varie funzioni assegnate. Decisivo lo studio della sezione trasversale. Nonostante le continue modifiche dei cicli produttivi della Olivetti, si è determinata l'unitarietà figurativa e di contenuto di un'opera in grado di sostenere le nuove esigenze poste nel tempo.
Architettura resistente perché: “Ed ecco perché in questa fabbrica meridionale rispettando, nei limiti delle nostre forze, la natura e la bellezza, abbiamo voluto rispettare l'uomo che doveva, entrando qui, trovare per lunghi anni tra queste pareti e queste finestre, tra questi scorci visivi, un qualcosa che avrebbe pesato, pur senza avvertirlo, sul suo animo. Perché lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci e allora essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi una immensa forza spirituale.”
fonte
Auditorium a L’Aquila, Renzo Piano.
Il progetto nasce nel 2009 in seguito alle distruzioni del sisma del 6 aprile, in virtù della volontà di Renzo Piano di contribuire alla ricostruzione dell'Aquila ed evitare l'allontanamento dei cittadini dal suo centro storico. L'architetto ha dichiarato che, inizialmente, il suo intervento si sarebbe dovuto concentrare sui temi del recupero e del restauro dell'edificato esistente ma non vi erano in quel momento le condizioni per attuare un progetto del genere
La scelta di realizzare una sala da concerti, per sopperire alla mancanza di spazi musicali in città, è attribuita al maestro Claudio Abbado che, nel giugno 2009 era stato in concerto all'Aquila. In particolare viene proposta l'ideale sostituzione della celebre sala Nino Carloni, posta all'interno del Forte spagnolo, con un nuovo auditorium temporaneo da realizzarsi nelle vicinanze. Per la copertura economica del progetto, lo studio di Renzo Piano decise di affidarsi alla provincia autonoma di Trento che aveva da poco finanziato la realizzazione del villaggio temporaneo di Onna.
L'Auditorium è costato complessivamente circa 6,7 milioni di euro, interamente coperti dalla provincia autonoma di Trento, mentre la progettazione preliminare ad opera del Renzo Piano Building Workshop è stata offerta a titolo gratuito.
Il complesso è situato su viale delle Medaglie d'Oro, all'interno della vasto parco che circonda il Forte spagnolo e leggermente decentrato rispetto alla direttrice che congiunge il bastione ovest alla fontana Luminosa. È formato da tre cubi, di cui due secondari, contenenti i servizi al pubblico e agli artisti, ed uno principale contenente la sala vera e propria; quest'ultimo è ruotato rispetto alla linea di terra e sull'inclinazione delle due facce inferiori poggiano gli spalti. I tre volumi, realizzati interamente in legno, sono collegati tra loro mediante passerelle e scale in ferro e vetro.
La sala dispone di un palco rialzato capace di contenere 40 musicisti circondato da una doppia platea caratterizzata da 8 gradoni sul lato sud e 2 su quello nord, per un totale di circa 250 posti a sedere (musicisti esclusi); in caso di necessità, i posti della gradinata ridotta (48) possono essere utilizzati dai coristi. La scenografia della sala, di colore rosso, richiama l'abete rosso con cui è stata realizzata parte della struttura. Anche le sedute sono in legno e rivestite in tela rossa.
All'interno della struttura, in sistema di pannelli acustici in legno garantiscono una perfetta acustica. Nei dintorni dell'Auditorium sono stati, inoltre, piantati circa 200 alberi per una cubatura di legno complessiva equivalente a quella utilizzata nella costruzione dell'edificio.
Architettura resistente perché: “A L’Aquila la musica è parte importante dell’identità cittadina! Dopo il terremoto era necessario ripristinare un minimo di stabilità! Ecco il perché dell’auditorium!”
fonte
Giardino degli incontri, Giovanni Michelucci.
“Il mio interesse fondamentale non è il carcere, ma la città”, così Michelucci spiegava, a quanti se ne meravigliavano, il suo interesse per il carcere, che lui vedeva simbolicamente come la più insuperabile delle barriere che si andavano moltiplicando nel tessuto urbano, e che spesso l’architettura si impegnava a trasformare in mura, in separazioni fisiche.
Il progetto del “Giardino degli incontri” nel carcere fiorentino di Sollicciano (uno spazio pubblico della città dentro il carcere), preparato insieme ad un gruppo di detenuti, fu il primo dei progetti che vide impegnati Michelucci su questo versante.
L’opera, con il nuovo edificio, il relativo giardino, il teatro all’aperto e le opere annesse, è destinata agli incontri dei detenuti con i loro familiari ma anche ad altre iniziative utili all’apertura di rapporti da parte della società civile e delle sue istituzioni al mondo del carcere.
Giovanni Michelucci, considerato un maestro dell’architettura contemporanea, giudicava questa straordinaria esperienza di progettazione partecipata «tra le più belle e significative» della sua vita, un’esperienza realizzata col gruppo di detenuti che lo invitò e collaborò con lui nelle difficili condizioni di un carcere metropolitano.
Il «Giardino degli Incontri» esprime una forza innovatrice in tema di umanizzazione della pena, oltre al riconosciuto valore architettonico del progetto.
Il punto di partenza del progetto è stato la ricerca di una migliore risposta da parte dell’Istituto alle esigenze di incontro delle persone detenute con i propri familiari. Ciò ha permesso di focalizzare l’attenzione soprattutto sui minori, la parte più esposta e fragile in una situazione di detenzione del genitore. Scriveva a questo proposito Michelucci: «Saranno soprattutto i bambini, oltre le nostre intenzioni, che scopriranno il senso dello spazio e i tanti loro modi di poterlo usare».
Architettura resistente perché: “L’idea di un giardino come luogo d’incontro fra carcerati e i loro famigliari è nata dagli stessi detenuti! Giovanni Michelucci ha voluto cogliere questa sfida creando un’oasi di verde, un luogo di contatto e apertura, fra l’istituto penitenziario e il resto della città.”
fonte
Altre opere segnalate dal testo:
Villaggio la Martella, Alberto Quaroni e altri
Chiesa Mater Misericordie, Mangiarotti, Morassutti
Banca Popolare Etica, studio Tamassociati
Centrale di Teleriscaldamento “Mozart”, Modus Architects, Matteo Scagnol
Area Municipale costruita sui terreni confiscati alla mafia Castelvetrano, La Monaca, Giunta.
Il cretto, Alberto Burri
Case popolari a piscinola, Gambardella
Parco Sonoro da ex cava arenaria, Perra, Loche
Centro civico noivoiloro, Ifdesign, Franco Tagliabue Volontè - Ida Origgi
Chiesa San Bernardino, Citterio, Viel and Partners
Pista ciclabile e progetto di recupero, Navarra, Nowa
Monumento dei martiri delle fosse ardeatine, Aprile, Calcaprina, Cardelli, Fiorentino, Coccia, Perugini, Basaldella.
Possono interessarti anche questi articoli :
-
Vacanze: prepariamo le valigie!
Ed eccoci qui a pensare alle vacanze. Alcuni forse staranno già commentando con un sorriso scanzonato : “veramente è luglio e siamo già in vacanza!!”. Vero. Leggere il seguito
Da Lfm
LIFESTYLE -
Disaronno Terrace Palermo
Metti un Disaronno Sour, la vista del mare nella splendida location dello Yatching club all’arenella, il giusto mix che ha accompagnato le due tappe del... Leggere il seguito
Da Modemme
LIFESTYLE, MODA E TREND -
Moda inverno 2016: tailleur color pastello e accessori vintage per Prada
Molto belle le nuove fantasie di Gucci, femminili e più audaci. Abiti al ginocchio dal taglio anni Settanta. Gli accessori come sempre sono in coordinato con gl... Leggere il seguito
Da Trescic
LIFESTYLE, MODA E TREND, PER LEI -
Un lunedì inspirato – GipsyTips.
Cerca di essere felice con quello che hai, mentre lavori per ottenere ciò che vuoi. Buon lunedì Gipsies. Spero che il vostro stia procedendo meglio del mio. Leggere il seguito
Da Agipsyinthekitchen
LIFESTYLE -
Commenti su Dolce&Gabbana Spring/Summer 16, alla MFW la Sicilia incontra la...
Culture lontane che si uniscono in un viaggio di contaminazioni stilistiche, unite tra loro in un mix dal gusto mediterraneo e dal retrogusto esotico; le... Leggere il seguito
Da Pescaralovesfashion
CONSIGLI UTILI, LIFESTYLE, MODA E TREND -
Outfit floral printed midi skirt - gonna stampa a fiori kocca abbinata ad una...
"Devo avere fiori vicino a me, sempre, e sempre".. Diceva Monet ed io, la penso allo stesso modo. Fiori ovunque. Sul balcone, sulla scrivania, fotografati per... Leggere il seguito
Da Colorblock
LIFESTYLE, MODA E TREND