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Argentina al bivio. O no?

Creato il 03 dicembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
800px-Flag_of_Argentina.svgdi Michele Marsonet. Gli europei hanno sempre fatto fatica a comprendere il panorama politico dell’America Latina, e quello dell’Argentina in particolare. In quest’ultimo caso la fatica riguarda soprattutto gli italiani, poiché oltre la metà della popolazione è composta da discendenti di connazionali emigrati laggiù, ed è ovvio l’interesse del nostro Paese per una nazione in cui l’impronta italiana risulta così evidente.


Non è certo un caso, dunque, che entrambi i candidati in lizza alle ultime elezioni presidenziali portino cognomi italianissimi. Il vincitore, Mauricio Macri (o Macrì), è di origini calabresi. Il perdente, Daniel Scioli, di ascendenze abruzzesi. Del resto, chi ha avuto occasione di visitare Buenos Aires sa bene che percorrendo le sue strade si ha spesso l’impressione di trovarsi “a casa”. Le comunità provenienti dalle varie regioni italiane tengono molto a preservare la loro identità. Per quanto mi riguarda, vivendo a Genova, ho notato soprattutto una presenza costante di riferimenti alla Liguria.
Il “mistero” principale della politica argentina è comunque costituito dal peronismo. Si tratta di un movimento politico fondato negli anni ’40 del secolo scorso dal generale Juan Domingo Peron, e che da allora ha sempre avuto un ruolo di primo piano nella vita politica locale.
Definire con esattezza il peronismo, detto anche “giustizialismo”, è molto difficile. E’ un curioso impasto di populismo, socialismo patriottico e assistenzialismo economico. Notevole anche, almeno alle origini del movimento, l’influenza del corporativismo fascista, con l’idea che le classi sociali debbano cooperare tra loro in armonia piuttosto che combattersi. Celebri i “descamisados”, i militanti del partito che tributavano al generale e alla sua prima moglie Evita – protagonista in seguito di un altrettanto celebre musical – una vera e propria idolatria.
Il fatto è che l’influenza del peronismo nella vita politica e sociale argentina non è mai venuta meno, anche a tanti anni di distanza dalla morte del fondatore. Tale influenza attraversa in pratica tutte le classi sociali, pur essendo più forte in quelle popolari. Anche il primo Papa argentino della storia, Jorge Mario Bergoglio (di origini piemontesi), fu peronista in gioventù, e non sono pochi gli osservatori che colgono spesso nei suoi discorsi echi della “filosofia” del movimento.
Come notavo in precedenza, tuttavia, è assai difficile dire quale sia esattamente tale filosofia. Usando le tradizionali categorie politiche di “destra” e “sinistra”, bisogna ammettere che esse sono entrambe presenti in ambito peronista. Il fondatore vedeva con simpatia nazismo e fascismo, ed è noto che l’Argentina divenne, a partire dal 1945, il principale rifugio di gerarchi e criminali nazisti in fuga dopo il crollo del Reich hitleriano.
D’altro canto Peron e i suoi seguaci hanno sempre adottato politiche che da noi si definirebbero di sinistra, puntando sulla nazionalizzazione dei servizi pubblici, sui sussidi agli strati più poveri della popolazione e sull’istruzione di massa. Agli esordi fu tutto facile poiché l’Argentina era, allora, una potenza economica e grande esportatrice di materie prime. Poi giunse il crollo, e l’assistenzialismo fu pagato con un’inflazione apocalittica e l’indebitamento estero del Paese. Ancor oggi il termine “bond argentini” fa parte del linguaggio comune.
La vittoria di Macri rappresenta l’ultimo episodio di un pendolo che oscilla da sempre in questa grande nazione sudamericana. Il partito peronista, osteggiato dalle dittature militari a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, è poi riemerso con prepotenza. E’ stato al potere dal 2003 prima con Nestor Kirchner e poi con la moglie Cristina Fernandez Kirchner. E questa delle mogli che succedono ai mariti è un tratto caratteristico della storia del movimento.
Mauricio Macri ha vinto guidando un partito che si definisce liberale e che, in teoria, intende applicare ricette liberiste in economia. Intende riallineare il cambio del “peso” alla realtà, negoziare con i creditori internazionali per diminuire l’enorme esposizione debitoria e porre fine alla stampa di cartamoneta che ha reso l’inflazione incontrollabile. Non a caso il suo avversario peronista, Daniel Scioli, l’ha accusato di essere un “affamatore del popolo”. In politica estera Macri vuole riavvicinarsi agli Stati Uniti e prendere le distanze dal “fronte bolivariano” creato da Hugo Chavez con Venezuela, Ecuador e Bolivia.
Prevedere cosa accadrà – visti i precedenti – non è certo impresa facile. La vittoria di Macri è piuttosto striminzita: 51% dei voti contro il 49% di Scioli. E’ un abile comunicatore e si è, per così dire, fatto le ossa come presidente della famosa squadra di calcio del Boca Juniors, portandola ai vertici del football internazionale (e pure questo rammenta tanto l’Italia). Ma i peronisti restano molto forti sia in ambito politico che sindacale, e sono in grado di rendere la vita dura al nuovo presidente.


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