Magazine Cinema
di: B. Affleck
con: B. Affleck, A. Arkin, J. Goodman, B. Cranston, T. Donovan, C. Du Val
- USA 2012 -
Il dietro le quinte delle attività del Dipartimento di Stato e, più in grande,
della politica estera americana, almeno da quel poco che ci viene restituito
dal giornalismo e dalla saggistica d'inchiesta come dagli avamposti non
addomesticati del cinema, e' un guazzabuglio di tragiche mascalzonate, topiche
colossali e isolati quanto spesso casuali oltreché inutili eroismi: queste e
quelli, in ogni caso, a bagnomaria nell'inesauribile brodo retorico
dell'"interesse-del-popolo-
americano".
La vicenda mostrata in "Argo", terza prova registica di Affleck dopo "Gone,
baby gone" e "The town", prende le mosse da uno degli episodi più controversi
della storia recente della prima democrazia del mondo e propone una delle
possibili variabili al sopracitato schema.
1979. Iran. L'Ayatollah Komehini proclama la "rivoluzione islamica" e
l'intervallo di tolleranza che separa gli Stati Uniti da paese guida del
pianeta a "Satana occidentale" si annulla di colpo. In particolare nella
capitale, Teheran, migliaia di persone scendono in piazza. Le dimostrazioni
contro il cosiddetto "mondo libero" mano mano si moltiplicano: la tensione
sale. Sino al fatidico quattro novembre di quello stesso anno, durante il quale
numerosi militanti assaltano l'ambasciata USA e prendono in ostaggio una
cinquantina di membri del personale diplomatico. La richiesta per la loro
liberazione e' chiara: estradare l'ormai deposto Scia' Reza Pahlavi (riparato
nel frattempo proprio negli USA, che ufficialmente lo accolgono in esilio per
motivi di salute) per poterlo processare in patria.
Tratto dall'omonimo libro, scritto a quattro mani da Antonio "Tony" Mendez ex
agente tecnico della CIA e Matt Baglio, e sceneggiato da Chris Terrio, il film
si snoda lungo gli estenuanti negoziati avviati sopra e sottobanco tra le due
nazioni, intervallati da un tentativo tragicamente fallito di liberare gli
ostaggi con la forza (la denominata "Operazione Eagle Claw" dell'aprile del
1980, patrocinata dall'aministrazione Carter, conclusasi con la perdita di otto
militari, diversi mezzi tra elicotteri e aerei e nessun risultato
apprezzabile).
Tutto ha inizio quando sei appartenenti al corpo diplomatico americano, al
momento dell'irruzione all'ambasciata, fuggono per le strade di Teheran finendo
per trovare asilo nella residenza dell'ambasciatore canadese Ken Taylor e del
suo vice John Sheardown.
Mentre la permanenza si protrae - una settantina di giorni - cresce il
problema per l'intelligence USA di arrivare ai sei e farli uscire dal paese
prima che le forze rivoluzionarie li scovino.
L'idea rischiosa ma forse risolutiva la CIA, nei panni proprio di Mendez
(interpretato da Affleck), la trova... ad Hollywood.
L'azzardo, pericoloso ma di certo originale, consiste nell'infiltrare Mendez
in Iran e far credere alle autorità che i sei non sono diplomatici ma effettivi
di una troupe cinematografica in ricognizione per dei sopralluoghi in vista
della realizzazione di un film di fantascienza, "Argo" appunto.
La pellicola, diligente ma astuta quel tanto da evitare le trappole esiziali
del cinema-nel-cinema (lasciando comunque intatta la sottile notazione per cui
una rivoluzione d'impronta religiosa così radicale unita al fascino esotico di
luoghi lontani potesse rappresentare nell'immaginario americano medio uno dei
luoghi fisici e psicologici ideali per ambientare un film di fantascienza),
abbastanza equilibrata nella struttura, con un buon ritmo interno e un finale
in crescendo, debitrice di un immaginario legato a filo doppio agli anni
settanta che spesso Affleck ha ricordato essere uno dei suoi riferimenti
cinematografici più cari, si avvale di una puntuale ricostruzione sia
giornalistica che ambientale. Si vedano i colli delle camicie da uomo protesi
alla conquista delle spalle; le gonne femminili ben sotto il ginocchio; i
maglioni a "v" profonda o dolcevita. O gli occhialoni rettangolari; i capelli
lunghi, i basettoni e il fumo libero nei luoghi chiusi. E gli arredamenti e
gl'interni color colite, le telescriventi, le macchine da scrivere, i telefoni
grossi come panettoni e i primi computer a caratteri verdastri... Allo stesso
tempo e' chiara l'economia di scelte linguistiche che rimanda direttamente alla
stagione d'oro del cinema USA d'impegno e di denuncia ("Tutti gli uomini del
presidente", "I tre giorni del Condor"): dialoghi serrati e disillusi, quindi;
primi piani e piani americani che aiutano a stare sempre "addosso" al cuore
della storia; morbidi e discreti movimenti di macchina ad intercalare,
concedendo respiro all'azione.
Collante fondamentale di tutti questi elementi, la fotografia porosa di
Rodrigo Prieto, in grado, restituendo la luce per grumi di colore - dal sabbia
all'ocra, virando sui toni del grigio e dell'azzurrino - di creare, allo stesso
tempo un effetto di nostalgica lontananza e di immediatezza storica. I momenti
meno convincenti si hanno invece quando, da un lato, si tenta di variare tema
introducendo la complicata sfera privata del protagonista; dall'altro, quando
si ritrae la società e il popolo iraniano all'interno di un cliché che non
spazia mai molto al di la' della solita tiritera noi-buoni/loro-cattivi.
Tutti d'accordo mette pero' il cast, davvero ben assortito e ben calato nei
personaggi - una menzione particolare se la meritano i sempre preziosi Arkin e
Goodman - in omaggio alla più che collaudata tradizione del cinema a stelle e
strisce per ciò che riguarda i ruoli di contorno. Più in generale, e' il
complesso della recitazione ad essere impostato sul registro del sottotono,
della sottrazione: "ambiente controllato" che influenza favorevolmente anche
Affleck spesso, davanti alla macchina da presa, reo di troppi ammicchi e
bamboleggiamenti. Qui e' il primo a giocare d'attesa, di silenzi: a non
scomporsi troppo, insomma, facendo del "suo" Mendez un uomo riflessivo ma
determinato a portare in fondo la missione perché cosciente del debito di
responsabilità verso le vite che gli sono state affidate.
Nel rispetto delle linee guida di un cinema consacrato dalla storia, "Argo" va
ad aggiungersi agli omaggi postumi di certo non originali ma d'impianto solido
e di sicuro intrattenimento.
The FisherKing
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