Francesca Ponzanelli
Abbozzo un sorriso, mentre mi guardi.Come mi guardi tu, non c’è nessuno al mondo che mi guarda così. Seduta composta, le mani sulla borsa, la borsa sulle ginocchia ossute. Sembri una scolaretta che va in gita. Arruffata, un Calimero con gli occhi grandi. Certo che sono felice, ho messo tutto il mio mondo in macchina. Chiudo la portiera, come farebbe un autista o forse un cavaliere d’altri tempi e faccio il giro per mettermi al posto di guida. Con gli occhi in su, verso i palazzi. Bocche spalancate, qualche persiana a metà mi fa l’occhiolino. Registro il respiro del mio cuore mentre un brivido gelato mi attraversa la schiena. Colpa dei rumori. Sono le risate scoppiettanti dei motorini che si inseguono e si perdono tra le vie del mio paese.
“Beata gioventù” sentenziava Beppe quando gli passavamo vicino con la marmitta scassata e il fumo che gli faceva girare la testa. “Beata gioventù” gridava Massimo quando entrava al circolo la sera, prima di diventare padre, marito e muratore. Peccato non ci fossimo neanche salutati, io e Massimo. Lui non aveva perdonato me, quando gli avevo detto che me ne sarei andato e io non riesco a perdonare lui che è diventato tutto quello che abbiamo sempre odiato. Apro la portiera e mi metto comodo. Sarà un viaggio lungo. Sistemo lo specchietto e infilo la mano in tasca per cercare la chiave. Mi viene istintivo accarezzare il cornetto nero che ci sta attaccato. “Proprio nero, dovevano regalarmelo?” poi ti guardo e sorrido. Tu non conosci i miei pensieri, ma lo sguardo che mi dai è sempre quello giusto. Sono contento di portarti con me, di poterti ricordare che mi aspetti sotto il portone di casa mia, prima di trasformarti in una signora di Milano. Ieri sera ti stringevo e ti rubavo un bacio, proprio là sotto, proprio tu. Filomena, quella femmina, ti aveva fulminata, in fila dal macellaio, fortuna che non era lei a tagliare la carne, che con quegli occhi di brace ci faceva un bell’arrosto con le tue gambe lunghe. Io neanche me la ricordo bene, Filomena. Ricordo le sue mani. Le mani da bambina che mi toccavano dappertutto e mi stringevano fino a soffocarmi con i suoi “per sempre”, ma anche se non t’avessi incontrata non l’avrei mai portata via con me, lei rappresenta quello da cui scappo. E ci sei adesso tu, a dare un senso ai giorni miei. Mi sorprendo a cantare il ritornello della canzone alla radio, probabilmente me lo porterò dietro per tutto il viaggio. Succede così, senti un motivo la mattina presto e ti rimane in testa fino a sera.E la sera non tarda a venire, anche se a da ragazzo non ci pensi mai. Vecchio, in una casa antica e lussuosa, in una via del centro, sono sempre io. “Papà, mi senti? Papà, è venuto un signore a trovarti, è un tuo amico. Ora lo faccio entrare, ma tu non ti agitare, devi stare tranquillo. Il dottore si è raccomandato.” Giulia assomiglia a sua madre. Ha gli stessi occhi grandi, attenti a tutto quel che succede. Si è fatta bella, la mia Giulia. È la più bella ragazza di Milano, e non lo dico perché sono il padre, neanche perché ormai me ne andrò a raggiungere la madre al camposanto. Sento che le ossa non mi reggono più, sento che il respiro si fa più affannoso. Vorrà pur dir qualcosa essere un buon medico, essere il chirurgo dalle mani d’oro. “I più bravi vengono dal sud. È gente che ha faticato per farsi strada, gente che poi quando ci arriva alla vetta, sono i meglio.” Mi sembra di sentirli ancora i miei pazienti bisbigliare davanti alla porta dello studio e ora, chi sarà questo scocciatore? Un vecchio miracolato dalle mie mani che viene a darmi l’estrema unzione? Qualcuno entra, all’inizio un po’ impacciato, poi riconosco la voce.“Beata gioventù” lo dice e ride con gli occhi da ragazzo, il mio Massimo. Sento le lacrime scendere sulle guance di due vecchi e gli stringo la mano, mentre lui appoggia il bastone al comodino e si siede vicino al letto, io non riesco a contenermi e come spinto da un torrente in piena ascolto la mia voce che lo implora “Portami a casa, Massimo! Convincila tu, Giulia, voglio tornare là, voglio morire nella mia terra.” E mi accorgo di non essermene mai andato.
Foto di rachael tilton