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Arisa, l’ex-brutto anatroccolo dell’Ariston approda sui lidi della letteratura

Creato il 04 settembre 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

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Palco dell’Ariston, 2009. Tra le nuove proposte del gran Festival spunta una ragazzina un po’ cresciuta, con occhialoni neri, rossetto vermiglio e una bizzarra capigliatura sulla testa. Dice di chiamarsi Arisa (il suo vero nome, però, è Rosalba Pippa), è un po’ impacciata e parla tanto di Sincerità, arrivando a vincere il premio della sua categoria. Il suo look da cartone animato diverte, la sua musica spensierata attrae. Arisa su quel palco lascia il segno. Tanto da ritornare nel 2010 con Malamorenò e nel 2012 con La notte, brano lento che segna una svolta nella sua carriera e che si piazza al secondo posto del Festival italiano. In questa esibizione Arisa è diversa da come il pubblico si è abituato a vederla: i grandi occhiali sono scomparsi, trucco e acconciatura sembrano più raffinati e curati, il tutto avvolto in un elegante abito nero. La notte propone un’impensabile variazione di atmosfere e melodie, ora più dolci e sentimentali, dato che il testo narra del dolore dovuto ad una infelice separazione. Ecco che così il brutto anatroccolo si trasforma sul palco dell’Ariston in un cigno risplendente, emozionando la platea ed accrescendo l’ammirazione nei riguardi della cantante che nel 2014 vincerà il Festival della città dei fiori con il singolo Controvento.

Arisa

Non ancora appagata dalla sua carriera di cantante, Arisa si cimenta anche in altri campi: prende parte ad un programma televisivo di LA7, è giudice nel talent show X Factor, è pure attrice, doppiatrice italiana e scrittrice. Nel 2012 esce Il paradiso non è un granché. Storia di un motivetto orecchiabile, edito da Mondadori. È la storia di M‘arisa’, giovane proveniente da un Sud chiuso e superstizioso che si trasferisce a Roma in cerca di successo. L’ottiene, ma si rende presto conto che la sua vita non è felice come quella che immaginava: l’attendono incomprensioni, solitudine e delusioni. Grazie alla sua risolutezza, però, Marisa riuscirà a fronteggiare le difficoltà in cui s’imbatterà lungo il suo percorso.

cover
Un anno dopo, nel 2013, Mondadori pubblica il secondo romanzo della cantante, Tu eri tutto per me, il cui titolo è preso in prestito da una poesia di Edgar Allan Poe. «Ricordo che mia madre mi diceva sempre: quando aspetti qualcuno, i secondi sono minuti, i minuti sono ore, le ore sono giorni, i giorni sono mesi, i mesi sono anni e gli anni sono vite intere». Tu eri tutto per me è il racconto della drammatica love story di Lara, una giovane frustrata che consuma la sua intera esistenza in una casa di montagna prigioniera dei suoi desideri, dei suoi ricordi e insieme delle sue paranoie, aspettando l’uomo che lei stessa sa bene non tornerà mai. È l’uomo di cui si è perdutamente innamorata, tanto più grande di lei, uno psicologo senza nome e consigliato dall’amica, un terapista che inizialmente l’aiuta a superare una delusione d’amore adolescenziale e che successivamente diventa oggetto delle sue morbose passioni. I due si vogliono, si amano, ma poi la rottura: lui scompare dalla sua vita e lei si rintana nella baita di montagna ad attenderlo. Scrive per lui una lettera di pace, gli chiede soltanto una cosa: che possa raggiungerla per trascorrere insieme i giorni del Natale, si convince che l’uomo della sua vita tornerà lì ad amarla, e se non lo farà lei lo aspetterà in eterno. «Quando trovi l’uomo che fa per te, non puoi convincerti che ne vada bene anche un altro, e se questo vuol dire passare la propria vita da sola, be’ papà, sono pronta. “Passerai la vita ad aspettare un fantasma mi dicevi”. Mi sono detta che era un fantasma che comunque avrei amato».

Attanagliata dalla neve e dalla solitudine che la barricano in casa, Lara si lascia travolgere da una valanga di ricordi: rammenta le vacanze allegre con la sua famiglia, quelle al mare e quelle in montagna, rammenta le prime sedute terapeutiche, l’infatuazione, i primi regali. Il tempo continua a scorrere mentre la ragazza rimesta, sola, i suoi pensieri. Sono in pochi i vicini di casa che la conoscono. Qualcuno di buon animo la invita anche a cena, ma lei declina con gentilezza perché dice di attendere una “persona speciale”.

Lara si dà da fare perché la cena della vigilia di Natale possa essere perfetta: esce a comprare i pastorelli del presepe, gli addobbi per l’albero, i peperoni per la cena, raccoglie i fiori per farne una composizione, indossa l’abito che la farà sembrare bella e si sistema i capelli. Segue anche i vecchi ammonimenti della nonna: «Il trucco è non guardare dalla finestra: se non lo fai, poi la persona arriva» diceva lei, ma pur non osservando al di là del vetro nessuno verrà a farle compagnia dinnanzi a quella tavola imbandita. Nessuno.

Quello con cui Arisa tratteggia la breve storia di Lara è uno stile fresco, giovanile, a tratti sarcastico e che arriva subito al dunque. Uno stile semplice, forse fin troppo. Come la trama del resto. Basta sfogliare le prime pagine per capire chi sia Lara, quali siano i suoi comuni pensieri e le sue fisime uggiose, perché il personaggio rimane inalterato per tutto il libro. Basta sfogliare le prime pagine per comprendere cosa accadrà a breve, per immaginarsi già il finale (piuttosto scontato, tra l’altro). La storia in sé per sé potrebbe funzionare: è una disperata tragedia, una straziante disfatta della protagonista degna d’attenzione, ma le pagine sono esigue (poco più di cento) perché il romanzo possa prendere la dovuta consistenza, la superficialità rasentata in alcune parti del testo impedisce al romanzo (se così si può definire) di spiccare il volo. La lettura è rapida, piacevole sì, ma lascia il tempo che trova.

Insomma, che dire dell’Arisa scrittrice? Quanto al canto il suo successo è indiscutibile, la critica e i premi lo confermano; ma sulla carta forse l’artista non riesce a raggiungere la profondità dovuta, non riesce a toccare “le corde più profonde dei nostri sentimenti” (come si legge nella descrizione del libro stesso). E poi, diciamoci la verità, quanti curatori la casa editrice avrà messo a disposizione della cantante? Sarà tutta farina del suo sacco? Non possiamo dire nulla. Forse sapere che questo romanzo nasce da un particolare periodo di solitudine della cantante e dai suoi studi sulla disperazione di Mia Martini, che – come dice Arisa in un intervista – “faceva parte di lei”, aiuterà a rivalutare questo scritto? O magari brevità e apparente superficialità saranno i tratti precipui di Arisa scrittrice e non scontati difetti? Ai posteri (lettori) l’ardua sentenza.

Antonio Puleri

Fonte: ultimariga.it



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