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Armenia: cento anni dopo

Creato il 01 maggio 2015 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Il 2015 é l’anno in cui ricorre il centenario del genocidio armeno, che si commemora, anche nel nostro paese, con numerosi eventi, come ad esempio la rassegna pittorica che a Milano, il 6 e 7 giugno, verrà aperta al pubblico presso la Casa Armena di Piazza Velasca. In questo ponte del primo maggio  é invece ancora possibile visitare a Roma la mostra allestita al Vittoriano, che é stata inaugurata dall’Ambasciatore della Repubblica Armena in Italia, e che é intitolata al ‘popolo dell’Arca’ (poiché, secondo la tradizione, é proprio nel territorio ‘storico’ dell’Armenia, ed esattamente sul monte Ararat, che l’arca di Noé ebbe il suo definitivo arenaggio).  Degno di grande interesse é anche il concerto che si terrà il 7 maggio al conservatorio Giuseppe Verdi di Torino.

Come ormai é risaputo, il termine ‘genocidio’, se riferito agli armeni, é ancora oggetto di vive polemiche, poiché molte nazioni (come ad esempio gli Stati Uniti d’America) preferiscono ancora definirlo ‘eccidio’, al fine di non contrastare la storiografia ‘ufficiale’ del popolo turco.  Papa Francesco, nell’ omelia di domenica 12 aprile, citando un discorso di Giovanni Paolo II, ha parlato di ‘primo genocidio del XX secolo’, sottolineando quindi come l’ olocausto degli armeni non meriti minore attenzione rispetto alle uccisioni pianificate da Hitler e da Stalin. La parola-chiave della questione é proprio il verbo ‘pianificare’, poiché secondo molti storici (e non solo) lo sterminio di questo popolo non fu soltanto conseguenza di un atteggiamento filo-russo nel cruento contesto della prima guerra mondiale, ma fu semmai il risultato di un piano studiato a tavolino per annichilire un’intera etnia. Le impietose dinamiche del 15-18 sarebbero quindi l’ultimo anello di un catena di suprusi, come dimostrano, ad esempio,  il massacro hamidiano di fine Ottocento e quello perpetrato in Cilicia nel 1909.  Le parole di Papa Francesco, come ormai tutti sappiamo, hanno suscitato le ire del governo turco, che  oltre a richiamare il proprio ambasciatore dalla Santa Sede, ha anche redarguito il Pontefice. Una tregua distensiva fra la Turchia ed il Vaticano é comunque prevista, seppur in data ancora imprecisata,  durante l’ Expo milanese, poiché il nostro schietto Papa Francesco ha risposto positivamente all’ accomodante invito del padiglione turco.

Il termine ‘genocidio’ é stato ufficialmente riconosciuto da venti nazioni (fra cui anche l’Italia nel novembre del 2000) tuttavia il governo turco persiste nel punire col carcere chiunque adoperi questa parola in riferimento al popolo armeno, poiché ritenuto ‘vilipendio all’identità nazionale’ (art. 301 codice penale). Lo storico turco Taner Akçam, ad esempio, fu condannato per questo motivo nel 1976, e lo scrittore turco (premio Nobel) Orhan Pamuk nel 2005 ha rischiato il carcere per via di un’intervista rilasciata ad un giornale svizzero. La Francia, in quanto ospitante una gran parte della diaspora (fra cui il famoso artista Charles Aznavour)  é invece assai severa con chiunque si avvalga di strumenti dialettici per non ammettere l’evidenza dei fatti. La Turchia é quindi ancora assai lontana da una possibile entrata nell’ Unione Europea, anche se la scrittrice di origine armena Antonia Arslan, autrice del romanzo La masseria delle allodole (diventato film nel 2007 grazie ai fratelli Taviani) sostiene che molti cittadini turchi non avrebbero problemi ad ammettere le serie responsabilità che gravano sulla nazione.  I testimoni oculari viventi dei fatti del 1915 sono, ovviamente, assai pochi, e fra loro vi é anche il nonno di Serj Tankian, uno dei componenti del gruppo musicale ‘System of a Down’.

Antonio Gramsci (1891-1937) vide nell’ isolamento e nell’ incomprensione il principale rischio del negazionismo che si riversa sulle vicende storiche degli armeni. Si tende infatti a minimizzare il numero delle vittime (che ammonterebbero, nell’arco di tre anni, a circa 1.300.000) oppure a cadere in banali generalizzazioni, del tipo che gli armeni non furono gli unici, durante il primo conflitto mondiale, ad essere decimati da atroci avversità.  Chi nega si appella poi a fatti avvenuti in precedenza, come ad esempio il fatto che furono proprio i Turchi (Selgiuchidi) a salvare gli armeni dalla persecuzione bizantina del 1071. Oppure, come ho già accennato, si é ricorsi a giustificazioni, ed in particolare che si voleva rimuovere una seria minaccia sul piano delle alleanze (per via della spontanea affiliazione coi soldati arruolati nelle file russe, alcuni dei quali erano a loro volta armeni).  Infine si é perfino ricorsi all’argomentazione semantica che il termine ‘genocidio’ fu coniato solo nel 1943 (dal giurista ebreo Raphael Lemkin) e quindi anacronistico se applicato al 1915! Paradossalmente, uno dei pochi a non far mistero sul genocidio fu il Fuhrer, il quale, nel 1939, a chi lo redarguiva per le sue scellerate orchestrazioni,  rispondeva: ‘Chi si ricorda più degli Armeni?’

Ammettere il genocidio, per il governo turco,  non significherebbe soltanto porgere delle scuse, ma (come si é augurato Hollande durante le celebrazioni a Yerevan lo scorso 24 aprile) anche aprire le frontiere, e quindi rivedere i confini territoriali, nonché rivalorizzare una cultura che si é andata perdendo nel corso dei secoli, accanto alle verità che porta con sé. Un esempio simbolico é offerto dalla medioevale cattedrale di Akhtamar, che é stata trasformata in un museo, e nella quale, in via eccezionale, nel 2010 si é tenuta, dopo ben novantacinque anni,  una funzione religiosa.  Gli armeni avevano anche un loro alfabeto, una loro arte, una letteratura conservata in antiche biblioteche, rapporti commerciali documentabili (anche con il nostro paese), uno stile architettonico, archivi storici.  Nel X secolo avevano la loro capitale ad Ani, denominata ‘la città delle mille ed una chiesa’, della quale rimangono soltanto delle rovine.

Come ho già menzionato, gli armeni sono stati definiti ‘Il popolo dell’Arca’ poiché, secondo la Bibbia, l’arca di Noé ebbe la sua tappa finale sulle pendici del monte Ararat, un’altura che, seppur oggi in area turca, é lo stesso visibile da Yerevan. L’Armenia era infatti considerata ‘la terra di Halk’, ovvero di un discendente di Noé che sconfisse il re assiro Nimrod. Il termine Amenia deriva invece da ‘Armenak’, un condottiero che aveva Halk come antenato. Il monte Ararat si scorge anche dal monastero di Khor Virap,  e quindi in concomitanza al pozzo in cui fu fatto rinchiudere San Gregorio Illuminatore prima che il re armeno Tridate III si convertisse e si facesse da lui battezzare, adottando quindi nel 301,  per la prima volta nella storia, il cristianesimo come religione di stato.  La fondazione della chiesa armena avvenne grazie ai due apostoli Taddeo e Bartolomeo,  ed rito armeno si contraddistingue soprattutto per l’ iconostasi  (una suggestiva parete divisoria, decorata con immagini sacre, che cela l’altare su cui viene celebrata l’Eucarestia) ed anche per l’abitudine di non tagliare il vino con l’acqua, il che condusse ad aspre polemiche con la chiesa sia di Roma che di Costantinopoli, poiché questo significava, a livello simbolico, il rifiuto di credere che in Gesù Cristo la natura umana fosse strettamente interrelata a quella divina. Il concilio di Calcedonia del 451 si concluse infatti con la condanna del monofisismo, che si ripercosse anche sulla chiesa apostolica armena.

Gli armeni subirono la prima invasione Turca nell’ XI secolo, e nel XVI secolo la loro regione fu assorbita dal vasto impero ottomano. Nel 1890 quest’ultimo era in declino, ed i sudditi armeni ebbero il coraggio di occupare una banca ottomana ed anche di chiedere maggiori diritti, nonché la fine di un’ ingiusta pressione fiscale.  Il sultano Abdul Hamid rispose a queste richieste con la forza, cosicché fra il 1894 ed il 1897 gran parte dei villaggi armeni furono distrutti e 50.000 persone uccise (‘massacro hamidiano’).

Nel 1913 tre componenti del partito nazionalista dei ‘Giovani Turchi’ salirono al potere con un colpo di stato, formando il cosiddetto triumvirato Talaat-Enver-Diemal. Questi tre megalomani dittatori avevano in mente di padroneggiare un immenso territorio (‘Turkestan’), che si sarebbe esteso dal Mediterraneo fino all’ Asia centrale, e dove si sarebbe parlata una sola lingua (turco) e professata una sola religione (musulmana). Anche se il partito dei ‘Giovani Turchi’ nacque e rimase in seno all’impero ottomano, tuttavia non andrebbe identificato ad esso, poiché quest’ultimo era sempre stato eterogeneo, ovvero composto da diverse etnie, laddove i ‘Giovani Turchi’ non tenevano affatto in considerazione le minoranze nel loro ambizioso progetto. Le aree di influenza armena, ed in particolare l’Anatolia, erano un ostacolo non indifferente alle loro mire espansionistiche verso il Caucaso, anche perché erano costituite da millet, ovvero da consistenti comunità cristiane, che erano legalmente tutelate ed anche assai organizzate al loro interno.  I ‘Giovani Turchi’ temevano gli Armeni anche perché, a differenza dei Turchi (che erano sempre stati abituati all’artigianato, oppure al  tradizionale lavoro dei campi)  tendevano generalmente a studiare ed a viaggiare, e quindi erano più ricettivi alle innovazioni (sociali, scientifiche, politiche) che provenivano dai paesi occidentali.

Il 24 aprile 1915 vennero prelevati con forza dalle loro case trecento leaders politici armeni ed altre eminenti personalità (come insegnanti, scrittori, esponenti del clero, dignitari) che vivevano a Costantinopoli (l’attuale Istanbul). Questo gesto fu assolutamenre eclatante (non a caso l’inizio del genocidio armeno si riconduce a questa data), poiché  gli abitanti di Costantinopoli, fin dal XV secolo (ovvero dai tempi del sultano Mehmed II) erano una componente sociale assai rispettata, e quindi praticamente intoccabile.

Nel maggio 1915 gli ottomani entrarono, seppur di malavoglia, nel conflitto mondiale, a fianco degli austro-ungarici e dei tedeschi. Nel caos guerresco dei campi di battaglia non erano inusuali dei provvedimenti che coinvolgevano anche la popolazione civile.  I turchi iniziarono col disarmare di prepotenza gli armeni, con la solita scusa che le loro simpatie erano volte alla nemica Russia, e molti valorosi soldati vennero quindi convertiti in costruttori di strade, o destinati ad altri faticosi e brutali lavori. Nel giugno 1915 uscirono doversi bandi nella città di Trebisonda, dove si leggeva che il governo turco si era visto ‘costretto a prendere misure straordinarie per garantire l’ordine e la sicurezza’. Gli armeni furono ingiunti a presentarsi entro cinque giorni ad Aleppo, e da questo luogo vennero poi indirizzati verso i deserti siriani. Durante il tragitto, che veniva oltremodo prolungato, e che si svolgeva anche su carovane sottoposte ad assalti di ogni tipo, molti morirono di sete, di fame e di stenti. Altri vennero fucilati, impiccati oppure gettati da delle rupi. Analogo destino ebbero coloro che riuscirono a raggiungere i campi di concentramento gestiti anch’essi  dalle ‘organizzazioni speciali’, ovvero dai bracci esecutivi dei ‘Giovani Turchi’. Come avvenne anche durante i massacri hamidiani, dei guerrieri curdi parteciparono agli abusi.  Dal momento che parecchi soldati disertarono gli ordini (e quindi riuscirono a fuggire oppure vennero precedentemente eliminati)  soprattutto anziani, donne e bambini vennero condotti verso queste ‘marce della morte’, col pretesto iniziale che in una zona ‘non militare’ sarebbero stati maggiormente protetti.  Invece quasi tutti perirono sotto il sole cocente del deserto,  e se qualche bambino sopravvisse, fu soltanto perché venne rapito, ed educato secondo i precetti della religione musulmana. Le donne e le ragazze, prima di morire, venivano ripetutamente violentate e torturate,  e soltanto qualcuna particolarmente bella venne salvata, a condizione di essere ridotta in schiavitù.  Questo sterminio fu denominato Medz Yeghern (Grande Male), e prese forma non solo in un desolante scenario di villaggi abbandonati e chiese diroccate, ma anche in un paesaggio pieno di cadaveri, che nessuno provvedeva a seppellire. Di conseguenza, non furono pochi i viaggiatori, fra cui missionari e diplomatici, che si trovarono dinanzi questo orrendo scenario. Le potenze alleate sul fronte occidentale (Francia, Gran Bretagna e Russia) tuonarono con inefficaci avvertimenti, ed anche giornali come il New York Times pubblicarono invano articoli corredati di titoli volti a smuovere le coscienze.

Nel 1917 molti armeni (esattamente 500.000) seguirono le truppe zariste, costrette ad indietreggiare per via della Rivoluzione Russa, e nel maggio 1918,  divenuti nuovamente oggetto di pericolose angherie per via del controllo sul Caucaso,  gli armeni seppero eroicamente difendersi nella battaglia di Sardarabad.  Nel novembre di quello stesso anno si concluse anche il conflitto mondiale, con la sconfitta degli ottomani e dei relativi alleati. Il triumvirato dei ‘Giovani Turchi’ (prima di perire in un attentato) chiese ed ottenne asilo in Germania, una nazione che, seppur non si sia mai particolarmente sbilanciata a riguardo (anche per via dei numerosi cittadini di origine turca che accoglie al suo interno) ha comunque ammesso, soprattutto ultimamente, una sua corresponsabilità nelle persecuzioni subite dal popolo armeno durante la Grande Guerra.

Oggi gran parte dei territori facenti parte dell’ Armenia ‘storica’ si trovano in area turca, soprattutto per via di un trattato che venne firmato a Losanna nel 1924, e che contraddiceva quello di Sévres del 1920, promosso dal presidente americano Wilson, il quale caldeggiava l’idea di un’Armenia indipendente (sia dalla Turchia che dalla Russia) all’interno della sua antica regione di appartenenza. In base agli accordi di Losanna (che scaturirono anche a causa della prepotenza del primo presidente turco Mustafa Kemal) agli armeni fu assegnata soltanto una piccola area, costituente la Repubblica Democratica Armena, che rimase parte dell’ Unione Sovietica fino al 1991, ovvero fino a quando quest’ultima si dissolse. Da allora l’Armenia ha sempre mantenuto la sua indipendenza e, forse non a caso, il gioco degli scacchi é diventato disciplina scolastica obbligatoria, un po’ come se il mentale rispetto delle regole, l’ideazione di nuove strategie e la paziente attesa del momento giusto fosse la speranza, riposta sulle nuove generazioni, per uscire da secoli di crudeli ingiustizie, immorali oblii ed opportunistiche dimenticanze.

 

Le notizie storiche di questo articolo le ho prevalentemente tratte dal sito di Philip Gavin The History Place (historyplace.com)

 


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