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Armi e ragioni di cui servirsi

Creato il 23 marzo 2015 da Francosenia

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Quella che segue. tradotta dal sito web "Ballast", è un'intervista a Jean-Christophe Angaut, autore di "Bakounine jeune hégélien" e di "La liberté des peuples - Bakounine et les révolutions de 1848".

Ballast: Si dice che Bakunin abbia tradotto il "Manifesto del partito comunista": quali sono stati i suoi rapporti intellettuali con il comunismo marxista?

Jean-Christophe Angaut: In realtà, non vi è alcuna prova che Bakunin abbia effettivamente tradotto il Manifesto. Invece, doveva tradurre il I Libro del Capitale, ma non è mai arrivato in fondo, era un compito che richiedeva un lavoro troppo continuo e regolare per uno che era continuamente preso dall'urgenza dell'attività rivoluzionaria. Nondimeno, resta il fatto che il Manifesto è il testo di Marx (ed Engels) che Bakunin conosceva meglio, e che è quella la versione della teoria di Marx che non ha mai smesso di criticare, oltre vent'anni dopo la sua pubblicazione - il ché può anche spiegare certe storture. Se mettiamo da parte la dimensione personale dei rapporti con Marx (che non è affatto trascurabile), ma anche la componente più immediatamente politica, per concentrarci sulla critica "intellettuale", direi che il rapporto di Bakunin con il marxismo (e non solo col comunismo) è segnato da tre divergenze fondamentali. La prima verte sulla questione dello Stato. Nel Manifesto, Bakunin legge che il compito del proletariato è quello di impadronirsi del potere dello Stato per farlo funzionare a proprio vantaggio. Per i marxisti, si tratta di una gestione provvisoria, il tempo di far scomparire ogni dominio di classe, e dal momento che lo Stato è solo uno strumento di dominio di classe, si estinguerà insieme a tale dominio. Bakunin non lo crede affatto, e stima che anche se lo Stato è solamente uno strumento esso possiede un'autonomia relativa e può, a sua volta, generare una nuova classe - nel caso, una burocrazia rossa. Anche prima di essere anarchico, Bakunin era ostile alle forme autoritarie de comunismo, come dimostra il suo articolo "Il comunismo", pubblicato nel giugno del 1843, nel quale prende partito per "la vera comunità degli uomini liberi" contro le forme di asservimento del comunismo.
Questa critica dello Stato si approfondisce, in secondo luogo, sul terreno della filosofia della Storia.Bakunin reagisce a ciò che conosce della filosofia marxiana della Storia, che egli interpreta come un determinismo socio-economico a senso unico, e sottolinea il ruolo storico giocato dallo Stato nel dominio di classe - ragione per cui, sul piano politico, per esempio, insiste sul diritto di eredità (cosa che non manca di attualità, quando sappiamo che la principale fonte di fortuna, nei nostri paesi, è la nascita - e certo non il lavoro). E' proprio perché lo Stato gioca storicamente questo ruolo che è impossibile farne uno strumento di emancipazione: si crede di prendere lo Stato, ma è lo Stato che ci prende. Da qui anche una terza critica, che riguarda ciò che Bakunin considera come fosse un'approvazione di Marx nei confronti del corso della Storia, l'idea per cui la Storia lavorerebbe alla realizzazione del comunismo, in virtù delle eterne leggi della dialettica. Questo, ancora una volta, non è senza conseguenze pratiche: per esempio, per quel che riguarda quei paersi nei quali il capitalismo non avrebbe ancora raggiunto il suo pieno sviluppo, si sarebbe dovuto attendere che questo avvenisse, per poter sperare in una rivoluzione sociale. Va notato infine che Bakunin ed i suoi amici, nella Prima Internazionale, vengono definiti come "collettivisti", e non come "comunisti", ma non sono certo a proposito dell'eccesso di interpretazione di tali qualificativi, dal momento che, qualche anno più tardi, sono i comunisti a definirsi come "collettivisti" (quelli intorno a Jules Guesde, in particolare), mentre gli anarchici si richiamano al comunismo.

Ballast: Oltre allo Stato, una delle divergenze di fondo, fra Marx e Bakunin, attiene al loro rapporto con il sottoproletariati: gentaglia parassitaria per il primo; un focolaio rivoluzionario per il secondo. Come si spiega quest'opposizione teorica, e quindi pratica?

Jean-Christophe Angaut: Questa è effettivamente una differenza importante. Più in generale, mi sembra che ci fosse una grande attenzione, in Bakunin, per le dinamiche sociali che sottendono ogni rivoluzione. Di fatto, questa categoria di "Lumpenroletariat" è abbastanza estranea a Marx, in quanto essa ricopre, secondo i testi, ambienti sociali assai differenti (talvolta vestiti di stracci, ma, per dirla in termini contemporanei, talvolta hanno anche un Rolex ed un bracciale d'oro al polso); d'altra parte, non si può non rimanere colpiti dalle analogie che esistono, in particolare nei testi sulla questione slava, fra le parole di Marx ed Engels sul sottoproletariato e ciò che dicono a proposito delle società pre-capitaliste, entrambi sembrano avere come destino storico quello di servire come sicari della reazione. Ora, dire che ciò che Marx ed Engels chiamano Lumpenproletariat sia necessariamente, per Bakunin, una forza rivoluzionaria, sarebbe sbagliato: innanzitutto perché, per i due rivoluzionari tedeschi, i contorni di tale popolazione sono tutto tranne che chiari, ma anche perché Bakunin è cosciente che può essere difficile. per esempio, arruolare dei banditi (ne parla nel contesto della Russia) al servizio della rivoluzione (anche se ritiene che bisogna tentare di farlo). Comunque, ci sono numerosi testi di Bakunin sul fenomeno del declassamento e sulle sue conseguenze politiche. Forse si potrebbe arrivare a sostenere (ed è quello che altri autori anarchici, come Landauer, faranno dopo di lui) che la rivoluzione non è un affare di classe, ma di declassamento, nel senso letterale del termine: se si rimane nella propria posizione di classe, non si farà mai la rivoluzione.

Ballast: Onfray, ritiene, in "La politica del ribelle", che Bakunin diverga da Marx soltanto sui mezzi, e niente affatto sui fini: "I due credono nell'uomo totale, che si libera dalle sue alienazioni per il semplice fatto di evolvere in una società senza classi." Fratelli nemici, quei due?

Jean-Christophe Angaut: Ah, questa certezza maschile che permette di pronunciare delle belle frasi, definitive ed altisonanti, senza preoccuparsi di citare gli autori in questione! Può essere che, un vero filosofo ... Scherzi a parte, ho l'impressione che siano due domande in una. Per prima cosa, c'è questa fede nell'uomo totale in Bakunin, e perfino in Marx? Io non ne sono del tutto convinto. Certo, c'è un periodo esplicitamente umanista, in Marx, che è quello dei Manoscritti del 1844, ma questo segna l'inizio in assoluto del suo impegno comunista, che è ancora assai poco definito, ed in seguito, la tematica antropologica sarà in lui sempre molto problematica -  di fatto, la tematica dell'uomo nuovo viene appicciata a Marx. Quanto a Bakunin, sostenere questo riguardo a lui mi sembra del tutto fantasioso. Ho l'impressione che nella citazione menzionata, Onfray rigiochi la carta della buona natura umana cui gli ingenui della rivoluzione credono in maniera impenitente. Ancora una volta, bisogna vedere che cosa raccontino effettivamente gli autori di cui si parla.
Per quanto riguarda Bakunin, ci sono molti testi che parlano della natura umana, ma altri  testi che la riscrivono dentro una storia, sono molto più eloquenti circa i suoi aspetti iniqui. Piuttosto, Bakunin suggerisce che è un compito rivoluzionario quello di pervenire a delle configurazioni sociali dove gli aspetti iniqui della natura umana (egoismo, vanità, cupidigia, ecc.) possano trovare espressione senza nuocere agli altri. E poi, in secondo luogo, c'è la questione dei mezzi e dei fini. Trattandosi di Bakunin, sostenere che in fondo il fine possa rimanere lo stesso, anche quando si cambia mezzo, questo mi sembra che vada del tutto in senso contrario a ciò che è stato il senso esplicito del suo impegno: se Bakunin è così battagliero sulla questione dell'organizzazione dell'Internazionale, è perché considera che un'organizzazione autoritaria potrebbe costituire il germe di certa burocrazia rossa di cui si parlava prima - ed anche perché crede che il fine si costruisca a partire dai mezzi (ad esempio, nell'attuazione di forme non autoritarie di organizzazione, di cooperative, ecc.).

Ballast: Bakunin - come, in generale, tutta la tradizione anarchica - si è mostrato assai ostile nei confronti di Dio e delle religioni costituite (cosa che fu meno il caso di un Engels, di un Marx o di un Lenin - quest'ultimo riteneva per esempio che fosse sbagliato dividere i lavoratori, facendo dell'ateismo una parola d'ordine). Quest'ateismo militante ti sembra ancora attuale?

Jean-Christophe Angaut: Quel che è sorprendente, è che Bakunin si sia espresso egli stesso contro il progetto di fare dell'ateismo una condizione per aderire all'Internazionale, quando si conoscono i suoi numerosi testi che descrivono il suo anti-teologismo. Mi sembra che la posizione di Bakunin sia particolarmente interessante, anche per oggi, poiché combina una forma radicale di ateismo (che non è semplicemente dell'ordine di una emancipazione individuale, ma si basa su una critica molto interessante dei legami fra teologia e politica) che è, allo stesso tempo, una concezione dell'organizzazione operaia dove tali questioni devono essere dibattute senza che siano ufficialmente decise, ed una concezione dell'organizzazione sociale che alla stessa maniera deve permettere la libertà totale di culto - ma anche il suo carattere interamente privato. Rispetto ai dibattiti contemporanei sulla laicità, che sono talmente avvelenati, è una posizione feconda: si può conservare una totale libertà di espressione religiosa (ed antireligiosa, evidentemente) e si può relegare la pratica religiosa nella sfera dell'iniziativa privata. Su entrambi i piani, in Francia, siamo ancora lontani, in quanto da un lato si reprime il portare segni religiosi negli utenti dei servizi pubblici (mentre la neutralità religiosa dovrebbe essere quella delle istituzioni), mentre dall'altro si sovvenzionano i culti, le scuole confessionali, ecc. (cosicché le imposte pagate dai liberi pensatori vengono usate per finanziare questo genere di strutture).
Per quanto riguarda l'attualità dell'ateismo militante, sotto la forma che rivestiva all'epoca di Bakunin, sono più cauto. Bakunin scrive in un'epoca in cui la Chiesa non è separata dallo Stato in nessun paese europeo, dove la religione cristiana esercita una vera e propria influenza sulla vita degli individui e costituisce un potere politico. Anche se tutto questo non è affatto finito (come attesta la mobilitazione della Chiesa cattolica in Francia, contro l'estensione dell'istituto del matrimonio alle coppie omosessuali), oggi abbiamo spesso a che fare con delle forme di estremismo religioso che si manifestano al di fuori dello Stato - anche se a volte aspirano a conquistarlo.

Ballast: Scrivi che "la filosofia occupa un posto particolare" in Bakunin. Ne fai perfino un "punto d'incontro" unico fra le diverse tendenze della sua epoca. Vale a dire?

Jean-Christophe Angaut: Inizialmente, Bakunin riceve una formazione filosofica - la prima in Russia, dove si è formato come autodidatta insieme a qualche amico, poi in Germania, dove ha cominciato ad affinare la sua formazione nella filosofia tedesca e di cui si è tenuto al corrente per tutta la vita circa i diversi pensieri filosofici; si trova perfino, negli ultimi testi, qualche menzione di Schopenauer. Tuttavia, non sembra che si possa considerare Bakunin come un filosofo: i suoi testi si nutrono di filosofia, quando ce n'è bisogno, ma le sue preoccupazioni cessano ben presto di essere teoriche. Per esempio, quando costruisce teoricamente il suo anti-teologismo, mobilita autori come Feuerbach, Comte, o i materialisti tedeschi, ma il suo fine non è propriamente quello di parlare della ricerca della verità: e questo perché la religione, e più precisamente la teologia, è stata riconosciuta da lui come un potere nefasto di cui ritiene necessario estirpare le radici teoriche. Così, di fatto, Bakunin costituisce un punto singolare d'incontro fra differenti correnti filosofiche che, all'epoca, a malapena dialogavano: l'hegelismo, il marxismo, il positivismo, il materialismo scientifico - correnti di cui ha, credo, una buona comprensione. Ma quello che mi sembra oltretutto interessante, è il modo in cui rimette in causa l'uso che la filosofia fa di un certo numero di concetti - lo Stato, la storia, la politica, ecc..

Ballast: Camus, che confessa che Bakunin è "vivo" in lui, riteneva pertanto che esisteva nella sua opera delle inclinazioni "nichiliste ed immoraliste" insieme ad un romanticismo mortifero. Qual è la tua opinione su quest'analisi, che si trova ne "L'uomo in rivolta", così come nella sua polemica con Gaston Leval?

Jean-Christophe Angaut: Per inciso, si vede bene come in questo genere di discorso che Onfray amerebbe essere Camus (d'altronde, il suo libro su Camus, così come del resto tutti gli altri suoi libri, sono un pò un libro su lui stesso), ma ha ancora da lavorare - soprattutto perché in occasione della polemica con Leval, Camus è stato capace di riconoscere che aveva fatto la caricatura di Bakunin. La difficoltà col saggio di Camus, è di sapere a che cosa esattamente alluda. Beninteso, non si tratta di ostinarsi a difendere Bakunin a tutti i costi: c'è in lui una tendenza "negativistica", legata alla sua convinzione di essere parte di una generazione di distruttori, e che sarebbe venuta un'altra generazione che avrebbe potuto costruire altre cose. Non so se ci sia del romanticismo mortifero, e non so neppure se ci sia del nichilismo, nel senso in cui li intende Camus - l'uso di questo termine è del resto assai problematico, dal momento che rinvia ad un periodo ben preciso della storia russa, in cui i testi di Bakunin hanno potuto giocare un ruolo, ma senza che si possa essere in grado di fare di Bakunin un nichilista. Quanto all'immoralismo, mi chiedo in quale misura Camus non sia portato a confondere fra i testi di Bakunin e quelli di Necaev. Tuttavia, c'è un aspetto discutibile dell'attività di Bakunin, e sta nel ruolo che egli fa giocare alle società segrete - anche se senza dubbio non c'era bisogno di farne lo spaventapasseri che ne hanno fatto Marx e i suoi amici, al momento dell'esclusione di Bakunin dall'Internazionale. Anche in questo caso, mi sembra che il tempo trascorso cvi dovrebbe permettere di leggere i testi in una maniera critica, piuttosto che per pronunciare giudizi tagliati con l'accetta.

Ballast: Esattamente: Bakunin, come hai scritto, gode di una cattiva pubblicità nel mondo accademico e presso un vasto pubblico: lo si accusa di essere, di volta in volta, terrorista, barbaro o violento... A proposito della sua concezione della violenza, Leval notava nel "La pensée constructive de Bakounine" che: "La leggenda ha distorto la verità". Lo confermi?

Jean-Christophe Angaut: Quando si confronta quella che è stata effettivamente l'attività di Bakunin, ed anche i suoi scritti, con quello che si legge a suo riguardo scritto da gente che con ogni probabilità non l'ha mai letto, ci si chiede a volte se si stia parlando della stessa persona. Bakunin non è stato un non-violento, non è stato un angelo, è stato un rivoluzionario il quale pensava che la rivoluzione comportasse necessariamente un momento di violenza, o come egli stesso diceva, lo scatenamento di cattive passioni - ma si tratta di qualcosa che registra come un fatto, non di qualcosa che invochi. Questo è ben lontano dal ritratto che ne fa il liberale Isaiah Berlin, che lo dipinge come un mostro pronto a guadare fiumi di sangue... Tanto più che se si vuole affrontare seriamente questo problema della violenza, ci sono dei testi assolutamente chiari scritti da Bakunin a tale riguardo. Bakunin rifiuta l'uso del terrore, inteso come pratica di assassinio individuale o come applicazione sistematica da parte di un governo rivoluzionario. Quando un giovane russo, nel 1886, tenta di assassinare lo zar, Bakunin, pur rendendo omaggio al suo coraggio, dice in maniera molto chiara che un simile tentativo, anche se coronato dal successo, non serve a niente: un monarca prenderà il posto del monarca defunto.Quanto all'uso del terrore da parte di un governo rivoluzionario, basta rileggere i passaggi in cui Bakunin parla della Rivoluzione francese per rendersi conto che, secondo lui, il compito dei rivoluzionari non è quello di suscitare le cattive passioni per indirizzarle contro le persone, ma di volgerle contro le cose e le istituzioni.
Mi sono chiesto da dove provenisse questa reputazione che si è fatta Bakunin, ma anche, più in generale, dell'anarchismo: certo, c'è un uso della violenza in diversi momenti della storia del movimento anarchico, ma dopo tutto, in una cifra ben minore di quella della maggior parte delle correnti politiche nei confronti delle quali il mondo accademico mostra maggior rispetto. Tanto per fare un esempio, la nostra cara Repubblica francese non è esattamente costruita su dei petali di rosa. Oltre il fatto che in un certo momento della Storia del movimento, degli anarchici hanno potuto fare un uso spettacolare della violenza (cosa che non è da trascurare nella costruzione di un mito), mi domando se tale reputazione che si è incollata a Bakunin e agli anarchici non attenga al fatto che essi non delegano ad altri, e soprattutto non delegano allo Stato, l'uso della violenza. Ma bisognerebbe tornare su questo più in dettaglio... Forse, semplicemente le persone che si situano a sinistra percepiscono la critica degli anarchici come una violenza insopportabile, ma è un loro problema...

Ballast: Bakunin, in qualche, aveva previsto la disfatta di un regime fondato sulla "dittatura del proletariato" ed il carattere totalitario (se è lecito usare l'anacronismo) del socialismo centralizzato di Stato. Come si spiega che il comunismo abbia suscitato, su scala mondiale, molte più adesioni del socialismo libertario?

Jean-Christophe Angaut: Quest'idea di un Bakunin che profetizza la catastrofe del socialismo di Stato è seducente, ma bisogna fare attenzione, anche se numerosi testi adottano questo tono profetico. Retrospettivamente, questi testi in effetti suonano in questo modo, ma credo che Bakunin indichi un pericolo generale, assai vago in fin dei conti (e come poteva essere altrimenti?), che si è attualizzato in seguito in maniera assai precisa. Oggi, evidentemente, quando si legge "burocrazia rossa", si immagina il tipo che riempie un modulo per sbatterti in un gulag... Per tornare al tema della questione, purtroppo non si può parlare di disfatta del preteso socialismo di Stato - certo, abbiamo visto la sconfitta finale, ma soprattutto abbiamo avuto l'egemonia pressoché totale di questa versione del marxismo, la quale ha gettato discredito su tutti i movimenti di emancipazione. Perciò direi piuttosto che il trionfo del socialismo di Stato ha portato alla sconfitta del socialismo in generale. Questa è una delle grandi catastrofi del XX secolo.
Ora, spiegare in poche parole questa vittoria delle forme autoritarie del socialismo sulle forme libertarie, mi sembra difficile - altri avranno senza dubbio meno scrupoli a farlo! Invece di tentare una spiegazione audace, preferisco chiedermi dove sia la vittoria di questo preteso socialismo, che ha trionfato trasformandosi nel suo nemico. Quindi, se vogliamo, questa può essere una spiegazione: hanno vinto perché si sono uniti a delle logiche di potere che erano già delle logiche dominanti - ma facendolo, è stata perduta la causa che pretendevano di difendere.

Ballast: Si suppone che tu non consideri Bakunin come un oggetto di studio buono per i musei anarchici: cosa può apportare alla nostra difficile epoca?

Jean-Christophe Angaut: La mia parte "ricercatrice" ha sempre la tendenza ad interessarsi al grigiore dei testi e degli archivi: bisogna essere un po' (molto) ossessivi per poter fare ricerca, e dopo tutto, non c'è in alcun modo da vergognarsi, dal momento che non si va a fare la predica ai militanti a colpii di grandi lezioni apprese sugli autori sacri. Ed ecco, che comincio a deludervi: ci sono delle cose in Bakunin che mi appaiono datate, oppure che sono fortemente dipendenti dal contesto nel quale sono state dette, oppure, ancora, che hanno per noi un interesse pratico limitato, di modo che è difficile trovarci un'attualità - oltre alla difficoltà che pone, in ogni caso, se lo si affronta un po' scientificamente, l'idea secondo cui un pensatore nato due secoli fa potrebbe essere attuale. Senza contare il fatto che c'è sempre la scuola di canonizzazione dei grandi antenati: "Bakunin l'aveva ben detto! Rileggiti Bakunin, compagno !" Purtroppo, ho l'impressione che si sentono solo questo genere di frasi fra gli anarchici, i quali hanno un rapporto sia tenero che ironico con i loro predecessori.
Ma hai ragione, non avrei mai lavorato su Bakunin se non avessi trovato nei suoi testi (ed in quelli di molti altri!) una fonte d'ispirazione per l'oggi. E dopo tutto, è questo il punto: per pensare ed agire oggi, quali energie e quali strumenti ci può dare la lettura di Bakunin ed il suo percorso? E pur se a me queste cose interessano, non importa per esempio (ed a ragione) sapere quali elementi dell'anti-teologismo di Bakunin sono presi in prestito da Comte, quali altri provengono da Feuerbach, ecc.. Invece, continuo a trovare assai belli i testi sulla libertà e sul sentimento di rivolta, e trovo degno odi considerazione tutto ciò che ha scritto su (e contro) la necessità storica, sui rapporti tra classe e rivoluzione, la sua concezione della politica e del politico. Di fatto, si trova in Bakunin quello che ci si aspetta da ogni teoria militante: armi e ragioni di cui servirsi.

fonte: Ballast


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