di: Fulvio Grimaldi - fulviogrimaldi.blogspot.it -
L’Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade, ancora truffe al forestiero, ai presenti come vuole. Ognuno pensa per sé, è vano, dell’altro diffida, e i capi dello Stato, pure loro, pensano solo per sé. (Johann Wolfgang von Goethe)
Le Pussy Riot del Kazakistan e i loro mentori Avete visto come è stata sotterrata la vicenda dello Stato canaglia capo e dei suoi crimini spionistici insieme a quella di uno, Edward Snowden che, a rischio di tutto, vita compresa, ha denudato questo orrido imperatore? E’ bastato che la polizia trattasse una donna con figlia alla stessa identica maniera di decine di migliaia di innocenti migranti per far esplodere un putiferio della stessa scatenata rabbiosità – e malafede – di quelli che avevano raso al suolo qualsiasi verità con i presunti martirii delle varie Neda Soltan, o Sakineh, o Pussy Riot in laica orgia nelle cattedrali, di iraniana e russa memoria. La signora kazaka Alma Shalabayeva e la signorina Alua, prelevati da un’orda di sgherri della Cancellieri e, nel giro di tre giorni, espulsi verso il loro paese. Senza, orrore!, che se ne fosse informato il presidente del Consiglio, cosa che, si sa, succede regolarmente con ognuno dei migliaia di senegalesi, somali, tunisini, polacchi, per ognuno dei quali viene meticolosamente sollecitato il potere riparatore del governo. Eppure la signora non era mica stata salvata, nuda, disidratata, in procinto di partorire, da un gommone alla deriva. Era entrata illegalmente in Italia con passaporto falso della Repubblica Centroafricana (!) e sotto falso nome, checché si cerchi di oscurare il dato rilevato dalle autorità preposte. La classica clandestina, secondo le simpatiche leggi bipartisan del nostro accogliente regime. Di lei si sono occupati ben tre magistrati, cosa non proprio abituale per i “soliti” clandestini. Ma era la moglie del “massimo oppositore del dittatore kazako Nazarbaev”. E non è forse una splendida preda per gli avvoltoi mediatici che, dalla voliera di Washington e di tutti gli zoo dell’Occidente, spiccano il volo al primo comparire di un “dissidente”? Alla stessa stregua dei vari oligarchi impinguitisi del sangue dei russi sotto Eltsin e martirizzati dal nefando Putin che gli ha sottratto, non tanto i miliardi rubati ed esportati, magari attraverso mafia e IOR, ma i beni dello Stato già al servizio della collettività nazionale. Il consorte, Mukhtar Ablyazov, condannato a sei anni per corruzione, sia da industriale che da banchiere che da ministro, fugge a Londra dopo aver rapinato 6 o 10 miliardi di dollari dei cittadini kazaki, sul modello dei vari Khodorkovsky o Abramovic, viene inseguito da tre mandati di cattura internazionali dell’Interpol, agenzia non nota per particolari favori ai delinquenti fuorusciti da paesi anti-atlantici. Li hanno spiccati in Russia, Ucraina, Kazakistan. Un bel tipetto. Non solo, avendo perseverato nel vizietto, dall’Alta Corte del Regno Unito è messo sotto processo per truffa e appropriazione indebita della BTA Bank e, a coronamento della sua vita di “dissidente” perseguitato, è condannato a due anni di carcere per aver occultato al tribunale inglese la reale consistenza patrimoniale costruita sui suoi furti. Ovviamente la moglie del delinquente abituale, rintanatasi in un villone con parco (“villetta” per gli scrivani) di Casal Palocco, sotto la protezione di quelle teste di cuoio israeliane (tout se tien!) che hanno l’abitudine di occuparsi affettuosamente degli “esuli” farabutti cresciuti sotto Eltsin, di tante efferatezze delittuose non sapeva niente. Era convinta che i miliardi che le svolazzavano attorno fossero il frutto di un onesto lavoro al catasto. Le bastava figurare come moglie del “principale oppositore del dittatore”. Alla faccia dell’assoluta falsità, a madre e figlia in Kazakistan sarebbero stati subito imposti gli arresti domiciliari, inizio di chissà quali spietate angherie, quando, invece, è stata loro assicurata libertà di residenza e movimento, salvo l’obbligo della firma. Fosse, tutto questo, successo a un qualsiasi Abu Omar, altro che espulsione sancita da un giudice ed effettuata su aereo di Stato. Ricordate le extraordinary renditions verso le carceri di paesi torturatori, se non verso Guantanamo?
Dissidente delinquente? Santo subito! Conclusione. Nell’Oceania, nome che il veggente Orwell diede alla regione sotto dittatura del Grande Fratello d’Occidente, governata da quel Partito Unico che poi si è incarnato sotto l’egida della Cupola, da noi come in gran parte dell’Asse del Male che noi chiamiamo “comunità internazionale”, si può delinquere oltre ogni misura, ma, per essere protetto, immunizzato e glorificato, basta porsi come “dissidente” nel nome dei diritti umani. Come per quei vendipatria al soldo della Cia, che a Cuba diventano “intellettuali dissidenti” perseguitati dal regime (e magari liberati da Raul per disposizione del vescovo dell’Avana). Di Nazarbaev so poco, “dittatore sanguinario”, come si dice da queste parti, ripetendo il modulo Gheddafi, Assad, Putin, Chavez, o Ahmadinejad, o presidente tanto appoggiato dal popolo da venire eletto e rieletto a stragrande maggioranza, pure sotto l’occhio di centinaia di osservatori. So però per sicuro che i ritratti disegnati in Occidente di personaggi non convenzionati valgono quanto il Premio Nobel di Obama. E so altrettanto bene che nessun governante dei regimi Nato e, tanto meno, un loro qualsiasi sciuscià mediatico, ha titoli per condannare e demonizzare chicchessia si trovi fuori da questo nostro parnaso delle democrazia. So anche che sotto il persecutore di Ablyazov, della sua famiglia e dei suoi famigli, il Kazakistan, paese tracimante di idrocarburi, massimo produttore di quell’uranio che gli Usa destinano alla fine del mondo, confinante con Russia e Cina,ha compiuto una giravolta dalla benevolenza verso gli USA, con tanto di basi, a rinnovato amico di Mosca, con tanto di basi e di sintonia geopolitica. Peggio, ha favorito la costruzione di pipelines che convogliassero petrolio e gas kazaki fuori dai tragitti voluti dagli Usa e dalle sue multinazionali. C’era di mezzo anche la solita ENI, partner di “dittatori”, con i quali traffica (e non v’è dubbio che lo faccia alla maniera sporca di tutte le multinazionali, ma questo qui non c’entra) e persegue rotte sconvenienti. Non per nulla è caduta sotto la mannaia di Milena Gabanelli, come tanti altri disturbatori della quiete atlantico-napolitanesca, da Di Pietro a Grillo e ai disobbedienti che prediligono il contante alle carte di credito dei benefattori bancari.Tutti crimini, quelli del dittatore kazako, che ampiamente giustificano il risentimento, lo sdegno e gli ululati di protesta della solita unanimistica camarilla che confonde in unico empito democratico i comunisti del “manifesto”, i liberal del “Fatto Quotidiano”, i mainstream media apologeti di Napolitano. In attesa dell’immancabile “monito” di quest’ultimo, dell’immancabile accorato pippone di Saviano, della furia dirittoumanista di Amnesty e HRW (chiaviche Cia-Mossad, sempre sugli altari del “manifesto”) e della gigantografia delle due vittime, Alma e figlia, appesa dal sindaco Marino al Campidoglio, non possiamo che riconstatare: tout se tien.
Pussy Rioti kazake: il gioco geopolitico e gli squittii dei roditori dirittoumanisti nei bassifondi dell’Impero Emma Bonino, la moneta più falsa dai tempi delle colonie ioniche, la brava ecopacifista che si affanna a scrivere “diritto umano” su ogni missile e ogni autobomba della”comunità internazionale”, a proposito delle Pussy Riot kazake balbetta grullaggini, paralizzata dalla contraddizione tra l’ennesima replica della farsa dei diritti umani e l’obbedienza alle malefatte di Cia e Mossad. Il manichino vice-premier e ministro di polizia, Alfano, si contorce nel suo inane burocratese di questurino colto in fallo. La stampa, con orgasmo buonista bipartisan, si straccia le vesti sulle capocce coperte di cenere dei governanti felloni. Nessuno di questi riesce a far la pace con il proprio cervello. Nella commedia dell’arte recitata dalle marionette di Washington, il costume più pulito è tessuto di coliformi fecali. Insomma, sotto il tavolo del padrone, ai roditori è stato servito un bel piattino di formaggio andato a male. Qual è il retroterra geopolitico dell’affaire che ha gettato nel marasma il nostro Partito Unico e i suoi sicofanti di media e regime, da Letta ad Alfano, dal “manifesto” a “Il Fatto” al Corriere? Il Kazakistan è il più grosso, potente e ricco paese tra Russia e Cina, incombe sul Caspio delle più vaste ricchezze minerarie dell’Asia, è governato da un ex-comunista sovietico, registra un PIL positivo del 5%, è entrato nell’ odiosa Unione Economica Euroasiatica con Russia e Bielorussia, noti Stati Canaglia, ha iniziato a dare segni di autonomia nel quadro di rapporti più sbilanciati verso Cina e Russia che verso gli Usa. L’Italia è il suo secondo partner commerciale. Vi fanno grossi affari, a dispetto del pretesto monopolio multinazionale Usa, ENI, Salini-Todini, Impregilo, Italcementi, Renco, Unicredit, il Gruppo Cremonini che si è accaparrato la fornitura a tutti i McDonald’s della regione. Tutto sommato, quel poco che resta dell’apparato produttivo italiano dopo l’assalto e il saccheggio delle corporation straniere. Troppo. Ulteriore elemento di disturbo, l’immagine che l’invadente “tiranno” kazako s’è dato nel nostro paese. Vista l’efficienza dei ricostruttori nazionali dell’Aquila, il presidente Nazarbaiev s’è pure fatto mecenate della città mandata in malora dal suo governo, restaurando vari edifici, compreso l’Oratorio di S. Giuseppe, e alla spedizione archeologica del Centro Ligabue di Venezia ha assicurato i diritti esclusivi per gli scavi delle necropoli scite, massimo patrimonio storico del Kazakistan. Ce n’è quanto basta per irritare quella che si pone come Unica Potenza Mondiale e, a questo fine, dopo aver manipolato il commercio mondiale con il suo spionaggio su Stati e imprenditori concorrenti, si prepara, con il Trattato di Libero Commercio UE-Usa ai nastri di partenza, a eliminare dallo scenario dei padroni del mondo il concorrente europeo. Quando qualcosa sfugge al controllo sulle tentazioni europee di svolgere un ruolo da protagonista allacciandosi alle economie asiatiche, ben più prospere e promettenti di quella Usa, ecco che sui potenziali partner dell’accolita di Bruxelles piovono apocalissi bombarole, invasioni di mercenari subumani, sanzioni da genocidio, campagne terroristiche. E, nel caso di alleati Nato, il dissanguamento mediante acquisti di F-35, la contaminazione con MUOS, l’intronamento di fantocci freschi e più disposti alla rinuncia alla sovranità e alla decimazione del proprio popolo, come Monti, Letta e, su tutti, Matteo Renzi l’uomo delle Cayman, di Briatore, di Arcore, della privatizzazione di Ponte Vecchio. Ma è con operazioni come quella delle Pussy Riot kazake che i ragazzi di bottega della macelleria imperiale vengono distolti dalla pretesa di farsi un po’ di affari loro. Si acchiappa un furfante matricolato, ampiamente ricattabile, lo si incorona “dissidente” e, sotto tutela del Mossad, primatista di ogni operazione sporca, se ne spedisce la famiglia, possibilmente povere donne e bambine meritevoli di appassionata solidarietà dirittoumanista, nel paese che ancora si permette giretti di valzer con partner proibiti e che il più disponibile a fare figure di merda. Il “dissidente” stesso, inseguito dalle polizie di mezzo mondo (anche da quella di Londra, che però si è subito rimessa in riga coprendo, con la concessione del diritto d’asilo, la condanna inflitta a Ablyazov da incauti giudici per truffa e appropriazione indebita), viene messo al sicuro perché possa collaborare alla demonizzazione del “dittatore” Nursultan Nazarbayev. La marcia sull’Eurasia, “Cuore del mondo” e, quindi, condicio sine qua non per il dominio mondiale, pianificata sotto Carter da Zbigniew Brzezinski negli anni’80, ha compiuto un altro passo. Russi, cinesi, kazaki nuovo Asse del male, insieme all’Iran che ne costituisce la porta d’ingresso. Con l’operazione Pussy Riot kazake l’antropofagia planetaria governata da Bilderberg e attivata da Obama come mai nessuno prima di lui, ha preso due piccioni con una fava. Uno, ha messo alla gogna dell’Occidente cristiano e democratico, custode di tutti i valori democratici, un governante che, insieme a Putin, Xi Jinping e gli ayatollah di Tehran, a quella marcia si oppone con dovizia di mezzi economici e militari. Due, ha dato una bella lezione ai muselidi che, insoddisfatti delle briciole sotto il tavolo, occhieggiavano verso la cucina. Che sia di esempio ad altri topastri che volessero strattonare il guinzaglio. Il resto verrà con il Trattato di Libero Scambio UE-USA.
Sapete chi è stato l’unico, per quanto ne so, ad aver detto cose simili? Nientemeno che Maurizio Belpietro, quello di “Libero”. Quello che la pace la fa, non con il suo di cervelli, ma con quello di Berlusconi. Che magari ha qualche affaruccio in ballo anche in Kazakistan. Ma guarda un po’ con quali compagni di strada tocca scarpinare.