Da garantista senza se e senza ma, mi chiedo: ancora per quanto? Ma l'inchiesta Public Money non è già chiusa?
Senza scomodare la politica (politica che comunque e nonostante tutto, comprese le prevedibili resistenze, deve rinnovarsi, a prescindere dalle inchieste della magistratura, abbandonando la supponenza e l'arroganza di comportamenti, quali quelli della coordinatrice del Pdl di Fidenza, non "eletta" ma "nominata" da L.G.Villani e confermata da Paolo Buzzi, che, ad esempio, ha portato sia il gruppo consigliare del Pdl fidentino a frantumarsi sia in Consiglio comunale, perdendo 4 dei 6 consiglieri, che il partito, oramai ridotto a gestione simil-famigliare) e senza entrare nel merito delle accuse, che per ora rimangono accuse tutte da provare in un processo, non posso non sottolineare che la Costituzione italiana ha fra i suoi capisaldi il principio di non colpevolezza (art. 27, comma 2): “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
Questo quanto scritto in Costituzione, poi, nei fatti, anche l’art. 27 può essere bypassato, ma solo in casi specifici, giuridicamente definiti dal codice di procedura penale (parte prima, libro quarto, titolo primo): secondo quanto disposto dall’art. 273, nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza e, qualora questa condizione di base si verifichi, le misure di custodia cautelare possono essere disposte (ex art. 274) solamente quando sussistono specifiche e inderogabili esigenze attinenti il pericolo di inquinamento delle prove, il pericolo di fuga e il pericolo di reiterazione del reato. La legge non si riferisce all’eventualità in astratto che questi comportamenti vengano messi in atto, ma a un rischio concreto e dimostrabile. Così il pericolo di inquinamento delle prove dovrebbe venire a mancare quando le indagini sono concluse; il pericolo di fuga dovrebbe essere dimostrato sia sulla base della gravità del reato che sulle possibilità effettive dell’imputato di sottrarsi alla giustizia (per esempio qualora possegga adeguate somme di denaro e/o appoggi all’estero); e il pericolo di reiterazione del reato dovrebbe essere reale (come nei casi di gravi comportamenti illeciti seriali, o nel crimine organizzato). Ma ciò non significa ancora la prigione, dal momento che il giudice può e deve scegliere fra tre modalità alternative di custodia cautelare, tenuto conto “della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare"; nel caso concreto di Villani: arresti domiciliari.
Bene, da quel 16 gennaio sono passati oltre due mesi e Luigi Giuseppe Villani, unico tra gli indagati, è ancora privato della sua libertà personale. Per quanto ancora?
(cp)
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