Che freddo. Non riusciva a pensare ad altro. Freddo, ansia, paura. Batteva i piedi e se li guardava, mentre tentava di nascondere il viso nella sciarpa. Poi alzava il capo ed espelleva fiato verso l’alto, creando una piccola ciminiera che si disperdeva nel freddo dopo pochi centimetri. Cercò di pensare ad altro, guardò la piccola stazione di campagna in cerca di qualsiasi cosa gli consentisse di deviare le energie psichiche. Tentò pure di concentrarsi sulla martellante campana che segnalava l’arrivo del treno, quasi fosse un ossessivo ed efficace mantra. L’ansia aumentava il freddo. Non c’è niente di meno protettivo del freddo. Il freddo rappresenta la solitudine, l’abbandono, la mancanza di protezione, mentre il caldo, pensò, è la sicurezza di una coperta, di una madre vicina. E lui ora era solo. E al freddo. E sarebbe potuto arrivare quell’uomo da un momento all’altro, mentre il treno non arrivava e non aveva nemmeno la maniacale consolazione di guardare continuamente nella direzione da cui sarebbe arrivato, perchè sapeva benissimo che finchè la campanella non si fosse spenta, il treno non sarebbe arrivato. Non c’era un’anima viva. Pensò che, tutto sommato, il suono della campanella gli teneva compagnia. Il treno o la campanella, ma non lasciatemi da solo.
Tlin. Ultimo colpo della campanella. Un ultimo rintocco che si perde nell’aere come un diapason.
Lontano, apparse una piccola luce. Si distrasse, finalmente. Il treno gli aveva fatto dimenticare freddo e paura e la sua mente vagò tra i ricordi cinematografici portandogli alla mente i treni del film “Il Dottor Zivago”. Tre luci, tre luci a triangolo poteva ora vedere. Si girò verso la stazione.
C’era un uomo. Quell’uomo. Il binario li separava. Due misere strisce di ferro.
Il diaframma si contrasse e il respiro morì in qualsiasi posto si trovasse in quel momento. Erano passati tre secondi da quella vista, ma già, ci avrebbe giurato, sentiva un rivolo di sudore percorrergli la spina dorsale e fermarsi nella zona del gluteo destro. Lo guardò. Era in un angolo buio, non si distingueva nulla.
Il treno si avvicinava. Fischiò. Una, due, forse tre volte, ma non ne era sicuro. Sferragliava, questo si. L’uomo tirò fuori la pistola, la puntò e disse “Addio”. Lui si sentì perduto. Pensò che era strano che tutto dovesse finire così. Si ricordò di quella frase secondo cui prima di morire si rivede la vita in un attimo. Non vide nulla del suo passato, vide solamente una pistola puntata verso il suo petto. Non si muoveva. Non sapeva dove andare e, comunque, era paralizzato.
Clic.
Lo sentì imprecare, bestemmiare. Non l’aveva mai visto perdere le staffe. Il treno era sempre più vicino, bastava poco, pochi metri e gli avrebbe chiuso la visuale di tiro. Ricominciò a respirare. Il ciclo vitale, sospeso per qualche secondo, aveva ripreso il suo corso. L’uomo frugava nelle tasche, alla fine estrasse un proiettile, ma cadde. Allora si gettò a terra e da li, sdraiato come un romano su un triclino, ricominciò l’operazione. Il treno frenava, le ganasce stringevano con la massima forza le rotaie. Il mondo intero sembrava sferragliare.
Cinque metri.
Lo vide inserire il proiettile.
Quattro metri.
Pensò che, dopo aver visto la salvezza insperata per qualche secondo, il baratro era tornato a stringergli la vita. Tutto si era capovolto di nuovo.
Tre metri.
L’uomo caricò l’arma. Non avrebbe potuto muovere nemmeno un millimetro del suo corpo, ormai.
Due metri.
Gli puntò la pistola verso il petto. Sentì l’epiglottide scendere verso la faringe, come volesse nascondersi, rattrappirsi in quel corpo che stava per abbandonare la vita.
Un metro.
Il grilletto era duro. Premette con l’indice con forza maggiore e il colpo partì. Un attimo prima del treno.
Come vide il lampo partire dalla pistola, capì che era perduto. L’istinto gli suggerì d’irrigidìre i muscoli, come a tentare, in un’ultima disperata mossa, di parare il colpo o renderlo almeno indolore. La morte sembrava non arrivare mai.
La morte non arrivò. Né l’uomo della pistola né tanto meno lui avevano pensato che quella locomotiva, piuttosto vecchia, aveva sul davanti i due respingenti, prolungamenti in ferro in grado di ammortizzare gli urti con il rotabile vicino. La pallottola, sfiorando uno di questi, aveva cambiato direzione. Poco, ma quanto bastava per passare tra la vita e il braccio destro.
Capì solamente dopo qualche secondo. Davanti a sè le porte del treno si aprirono, Erano le porte della libertà. Pensò a Mosè e capì come ci si sentiva davanti ad un mare che si apre per consentirti il passaggio. A te. Aveva il piede sinistro bagnato.
Si era fatto la pipì addosso.