Arriva l’estate: più tempo per essere bambini

Da Lundici @lundici_it
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Più tempo per l’infanzia: più tempo da dedicare ai bambini e più tempo da concedere all’infanzia per restare bambini. L’estate e il gioco sono due occasioni da non perdere.

Mehr Zeri für Kinder  Reduce da un viaggio nella Repubblica Federale Tedesca, la mia mente è ancora catturata da uno slogan stampato su migliaia di adesivi – nei taxi, nei metro, nei market – dove sorridono volti di pargoletti biondissimi. In calce, campeggia la scritta: Mehr Zeit für Kinder: più tempo per i bambini. Incuriosito dal massiccio spot pubblicitario mi sono posto alcune domande.

Mehr Zeit für Kinder significa più tempo da dedicare ai bambini (da parte dell’adulto) oppure più tempo da concedere all’infanzia per restare (essere) bambina o bambino? Certo, ricordare questo sacrosanto diritto dell’infanzia – più tempo nei suoi confronti – raccoglie unanimi consensi. Ma accende anche un primo dubbio pedagogico. Al di là della sua saggezza di facciata, se decifrata ai raggi infrarossi esiste un’altra lettura del “più tempo per i bambini”. La argomentiamo.

Il tempo da investire a favore dei figli o degli scolari non si presenta come uno spazio esistenziale “neutro”. Al contrario, è intriso ideologicamente perché abitato dai modelli educativi dei genitori e degli insegnanti. E’ il dominio adulto del tempo infantile a far sì che tali modelli conducano i figli-scolari su spiagge di segno opposto: di subalternità o di autonomia, di oppressione o di liberazione, di indottrinamento o di emancipazione intellettuale.

Passeggiando per Francoforte e per Monaco di Baviera ho colto, nel mio monitor pieno di dubbi, un’ulteriore ambiguità nello slogan “Mehr Zeit für Kinder”. Questa. Più tempo per restare (essere) bambina e bambino, si è detto. Ma quale infanzia? Parliamo dei figli-scolari che giocano, liberi di consumare il tempo/più per soddisfare i loro interessi in libertà; oppure parliamo dei bambini drogati dalla Tv che consumano il tempo/più come altro-da-sè? Un mondo mercificato e fittizio di umanità: sempre più immagine, spettacolo, consumo e sempre meno parola, corpo, fantasia.

Guai a censurare il gioco.
Là a oriente già albeggia l’Estate. Per chi è in età scolastica, con le vacanze tramonta la Scuola: i mesi dell’anno che censurano la parola, il corpo e la fantasia di chi la frequenta.  I Curricoli coniati dal Ministero dell’Istruzione presentano un volto pieno di rughe (nascono vecchi) e di pallori (sono privi di sangue culturale). Sono conoscenze antiquate e mediocri, poco attraenti per gli allievi perché scritte con la penna di nonna Speranza. Per questo non fa sorpresa l’assenza – nel cielo dell’istruzione – della “stella”: il Gioco – che illuminò il firmamento della nostra virtuosa Scuola a Tempo pieno di fine Novecento.

Dall’inizio del Secolo, nel mirino dei Curricoli di casa nostra  campeggia un’istruzione declinata soltanto sui saperi “utili”, sulle conoscenze di uso sociale gradite dal mercato del lavoro: sono le tre “i” dell’informatica, dell’inglese e dell’impresa. Mai le sue frecce mirano al bersaglio grosso delle conoscenze non utili: prive di contropartite mercantili e spendibili lungo l’intero arco della vita. Parlo della stella polare/Gioco: carica di logiche divergenti e di rotture cognitive.

Dunque, gli attuali Programmi ministeriali censurano – vero Ministre Moratti e Gelmini? – l’apprendere giocando: ridotto per di più alla povertà pedagogica, ad alleviare l’immobilità patita in classe. E come? Calzando la maschera (tragica) della sua caricatura. Una spremuta di quattro salti all’aperto, conditi con una microesplosione di motricità, permette di avere di ritorno allievi silenziosi e disciplinati nei luoghi dell’istruzione ufficiale. Siamo alla sua parodia. La pratica programmata (i dieci minuti dell’intervallo) del Gioco-in-libertà è molto remunerativa per una Scuola che intende usarlo da preziosa “valvola” di scarico della fatica mentale accumulata ascoltando l’insegnante e memorizzando le conoscenze stampate nel libro di testo o sulla lavagna. Purché – è il suo prezzo pedagogico – resti fuori dall’uscio della classe il suo profumo alfabetico: i suoi canoni semiologici e semantici, le sue grammatiche e sintassi, il suo gusto per l’imprevisto e per l’avventura, la sua voglia inesauribile dell’emozionante, del comico, del magico.

Domanda. E’ un “profumo” che si può divulgare ancora negli spazi didattici del plesso scolastico? Sì è possibile. A partire da un’Estate vissuta dai bambini nella liturgia del Gioco: e non chini sui compiti delle vacanze. Allora non perdiamolo dal nostro olfatto, non lasciamocelo del tutto sfuggire verso quel cielo che raffigura il paradiso perduto di un’infanzia e di un’adolescenza  felici!


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